E’ un accordo fragile, quello tra sindacati e la Medcenter Container Terminal a Gioia Tauro.
Così come imposto dall’azienda ‘l’accordo della resa’ raggiunto notte tempo, tra il 17-18 novembre a Gioia Tauro prevede il reintegro di soli 40 lavoratori e il licenziamento dei restanti 402 che passeranno alla neo Agenzia pubblica del lavoro. Una parte significativa dei lavoratori vi si è opposto, il SUL e il Coordinamento dei portuali, e c'è un diffuso clima di sfiducia mista a rabbia e scontento che aleggia in banchina, per quella che viene vissuta come l’ennesima ingiustizia. E poiché la forza lavoro, da cui dipendono i tempi di carico e scarico è il tallone d’Achille della logistica integrata, quest’aspetto non è da sottovalutare
Nonostante nei mesi si sia cercato di sedare le proteste e di impedire blocchi del porto- motivando la ‘’cacciata’’ dei 442 lavoratori come dettata dalla crisi e dai cali nei volumi di traffico movimentati negli ultimi due anni da MCT-, per i portuali i motivi più che economici sono politici e disciplinari così come emerge da un volantino fatto circolare al porto nei giorni che hanno preceduto ‘’l’accordo-resa della notte’’.
Quell’’immaginario positivo’ sul porto ed MCT, così ben consolidato negli anni con la retorica dello sviluppo, è andato definitivamente in frantumi. ‘’Il porto dei miracoli’’ ha lasciato il posto ad un mare di scontento e rabbia. L’immagine dell’azienda-famiglia che tutela i suoi dipendenti e porta benessere e sviluppo nell’area cede il passo a una più realistica visione dei rapporti di sfruttamento e delle possibilità di resistenza fuori dal sindacato. E non sono pochi quelli che iniziano a chiedersi se i sindacalisti e i politici conoscono veramente l’accordo che hanno firmato e le conseguenze sulle vite dei lavoratori portuali ai cui occhi molte delle soluzioni da raggiungere appaiono infondate. L’agenzia per il lavoro viene vista come un’area di posteggio temporaneo – l’ennesimo bacino di manodopera, da far sopravvivere per tre anni con l’indennità, sempre disponibile per MCT nel caso ne avesse bisogno. In questo modo all’interno del porto, per caricare e scaricare container, sulla stessa nave si troveranno dipendenti MCT più quelli delle ditte esterne di rizzaggio e derizzaggio e, in aggiunta, quelli dell’Agenzia del lavoro- ex dipendenti MCT, aumentando così le possibilità di sfruttamento e flessibilità per l’azienda, così come è già accaduto in altri porti.
Dopo anni di lavoro, anni in cui si sono accumulati i danni dello stress psico-fisico, ore di guida con pause ridotte, ritmi sempre più serrati che aumentano i rischi d’incidenti, alterazione dei ritmi sonno/veglia, stanchezza cronica- la cacciata dalla MedCenter e la presunta ricollocazione al lavoro attraverso l’Agenzia, è vissuta come la resa definitiva del sindacato agli imperativi MCT; l’ennesima concessione ai danni dei portuali.
Diversamente sostengono i sindacati firmatari; ad esempio, Nino Costatino segretario regionale della Cgil della Piana di Gioia, dopo l’accordo ha dichiarato che ‘’si tratta del rimedio migliore a uno strappo profondissimo’’ e che attende che la Legge di stabilità garantisca i soldi, come da impegni.
Su cosa è avvenuto questo strappo profondissimo? Il blocco del porto di metà ottobre era legato ai reintegri. Per i portuali almeno la metà di quei 442 portuali licenziati sarebbe dovuto rientrare in MCT, mentre per l’azienda non più del 10%, come poi è stato, un mese dopo, a metà novembre. L’accordo della resa, come accennato, è un salto nel buio non solo per i portuali ma anche per MCT.
Vediamo: i profitti del porto dipendono in modo significativo dal lavoro dei portuali. Quei milioni di contenitori che ogni giorno viaggiano pe il mondo per arrivare a destinazione necessitano del lavoro umano, quello dei gruisti, dei carrellisti, deckman, checker, etc. I lavoratori diretti e indiretti del porto di Gioia sono circa 2700; quelli MCT prima dei licenziamenti erano circa 1290, ora dopo la ‘cacciata dei 400’ ne restano circa 900. Ai sindacati confederali s’imputa la responsabilità di non aver sostenuto la lotta per il reintegro dei lavoratori ritenuti in esubero accettando il diktat dell’impresa a svantaggio degli operai, alimentando rabbia, frustrazione, incertezza e sfiducia sui piani di reintegro. L’agenzia per il lavoro che dovrebbe riqualificare e ricollocare i licenziati è per i portuali l’ennesimo ‘regalo’ fatto al padronato, alla MCT. L’intervento statale e quello della politica in generale, viene vissuto come l’ennesima prova del fatto che lo stato serve gli interessi dei capitalisti non quelli degli operai. L’Agenzia per il lavoro, finanziata per tre anni con 45 milioni di euro, da spartire anche per i 500 licenziati da Evergreen a Taranto1, per i portuali gioiesi non è una soluzione per le loro vite ma solo un buon servigio reso alla MCT con la complicità del sindacato.
Su queste premesse è difficile ottenere il coinvolgimento dei portuali. La cooperazione al lavoro è indispensabile ma difficile da imporre in un sistema complesso nonostante le innovazioni e l’aumento della sorveglianza sul lavoro.
Negli anni, raccontano i portuali, è stato possibile verificare l’infondatezza di certi piani di sviluppo. Un esempio è quello dello scorso anno. Nel 2015 c’era un accordo con la LCV Capital Management per l’insediamento a Gioia Tauro e a Bari di due fabbriche di auto; per Gioia Tauro significava la riapertura dei cancelli arrugginiti della ex Isotta Fraschini per farne uscire, questo l’impegno, nuove auto2. La regione aveva stanziato un milione e ottocentomila euro, in parte finiti al Cefris per dei corsi di formazione ai portuali che andavano riconvertiti in operai metalmeccanici.
Le vuote promesse del presidente PD Oliverio
Nel comunicato della Regione Calabria, che in parte riportiamo, le motivazioni di questa ‘’ricca’’ formazione e le aspettative espresse dal presidente della Regione Calabria Mario Oliverio nel 2015: ‘’Il Programma prevede sostanzialmente l'avvio di un progetto di formazione dei 1200 lavoratori della MCT S.p.A. (Medcenter Container Terminal) dell’area Portuale di Gioia Tauro in cassa integrazione guadagni, finanziato dalla Regione sul PAC, con un investimento di 1.800.000 euro.
“E’ un primo passo – aveva detto il Presidente della Regione Calabria Oliverio- di un percorso avviato nel mese di gennaio scorso e si colloca nella scelta del sottoscritto e della Giunta regionale di fare di Gioia Tauro uno dei pilastri della crescita e dello sviluppo della nostra regione. A tal proposito abbiamo costituito un assessorato “ad hoc” con una delega specifica e strategica. Nel nostro dialogo con il governo sul “Patto per la Calabria” abbiamo posto Gioia Tauro come uno dei punti irrinunciabili per la sottoscrizione dello stesso. E’ la prima volta che un governo ha mostrato la propria attenzione verso questa realtà inserendola nella Legge di Stabilità”. “L’altra tappa –aveva aggiunto Oliverio- dovrà essere l’approvazione della Zona Economica Speciale (ZES). Per quanto ci riguarda utilizzeremo anche una parte delle risorse europee rafforzare i nostri investimenti. La Calabria non può rinunciare ad una ipotesi di investimenti industriali. Da qui ad un anno, comunque, cominceremo a vedere i primi frutti di questo discorso. L’Accordo di oggi prepara le condizioni per andare in questa direzione’’. Il comunicato della Regione continuava illustrando il ruolo e i servizi del Cefris: ‘’Il Soggetto Attuatore del programma sarà il Consorzio CEFRIS (Centro per la formazione, la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo) di Gioia Tauro, accreditato per la formazione professionale dei lavoratori interessati al percorso formativo, già titolare di precedenti interventi formativi per la MCT, in quanto organismo "in-house" dell’ASI di Reggio Calabria (Asireg) rappresentato dal CORAP, con procedura di affidamento diretto "in house providing".3
Il piano poi fallì, l’azienda svanì e con questo anche l’ennesimo falso rimedio alla crisi occupazionale e sociale di Gioia Tauro; e per quanto riguarda, invece, la formazione i portuali che hanno seguito i corsi li hanno trovati inutili, ripetitivi. Dopo questo flop ora la promessa del reimpiego ruota intorno alle infrastrutture, da cui si vuole far dipendere il destino occupazionale dei portuali.
Da notare che una fetta consistente dei fondi pubblici vengono assorbiti dall’ennesimo traballante piano di rilancio dell’area: i costi delle opere che riguardano il porto riportate nel Patto per la Calabria prevedono solo per il bacino di carenaggio, ben 220 milioni di euro a cui vanno sommati altri milioni per l’adeguamento ferroviario, formazione, etc. I tempi di realizzazione di queste opere è di tre anni, almeno questi sono i tempi previsti che suscitano più di qualche perplessità da parte dei portuali.
Vi è poi, la questione ZES, la Zona Economica speciale, che è solo l’ultima delle false promesse di felicità per l’area gioiese. L’entusiasmo con cui i politici e i tecnici sostengono che la Zes è un buon piano per Gioia Tauro e per la Calabria tutta, andrebbe calibrato alla luce della conoscenza. Non mancano studi sull’impatto di queste zone economiche speciali e non sempre i risultati sono confortanti, sia in termini di posti di lavoro creati sia per l’impatto ambientale. Per chi volesse approfondire alla luce degli studi si consiglia, in particolare ai politici, di leggere questo articolo (vedi link http://www.economist.com/news/leaders/21647615-world-awash-free-trade-zones-and-their-offshoots-many-are-not-worth-effort-not), che cerca di spiegare perché, come indicato dal titolo, le Zes, le Zone economiche speciali, ‘non sono così speciali’, e a quali fallimenti ed ulteriori rischi di sfruttamento, abuso del territorio e dispendio di soldi pubblici si vada incontro.
La piana, terra di sfruttamento e ribellione
La piana di Gioia, nella storia, è spesso stata oggetto di regalie e contese. Nell’ottocento, i Borboni concessero al generale Vito Nunziante anche per ricompensarlo dell’aiuto militare nella cacciata dei francesi, una grossa parte dei terreni della piana di Rosarno. Questa concessione era vincolata alla bonifica della piana acquitrinosa e malarica che il marchese avrebbe dovuto realizzare a sue spese, in cambio dei tre quarti del terreno bonificato, in tutto 470 ettari. La bonifica iniziata nel 1817 e finita nel 1822, costò la vita a decina di lavoratori, alcuni locali, altri provenienti da Cosenza, Tropea; e altri, ancora, deportati dalla galera di Napoli ai campi di lavoro- sempre per concessione dei Borboni. Lo stesso insediamento di san Ferdinando venne costruito dopo la bonifica, anche con lo sfruttamento del lavoro forzato dei cosiddetti ‘servi di pena’, tra cui detenuti politici, per l’esigenza di collocare e ‘gestire la forza lavoro’ che prima viveva accampata in baracche, in condizioni igienico-sanitarie simili a quelli che oggi i migranti subiscono sulle stesse terre. Una gestione non facile, alla fine dell’ottocento, ad esempio, una parte dei sottoposti al marchese Nunziante, lasciò il villaggio di San Ferdinando e ne fondò un altro scegliendo il nome, evocativo, di Euronova. Il blocco duro che contestava la politica di Nunziante, il suo ruolo nell’economia locale, produce il suo esodo. L’immagine del marchese benefattore, anche in questo caso, s’incrina a vantaggio di quella dello sfruttatore del luogo e delle vite che lo abitano. I canti contadini, l’uso dissacrante dell’ironia, riportano traccia del conflitto tra i braccianti e il padrone della piana. E’ lo stesso Nunziante nel libro sulla bonifica della piana ne fa cenno senza approfondire.
Nel volgere del tempo la bellezza di quella piana è stata stravolta. Nonostante si trattasse si uno dei più bei golfi del Mezzogiorno, coltivato a vite, ulivo e agrumi, si era deciso di piazzare proprio lì il V polo siderurgico, per fortuna mai realizzato, e poi a seguire il porto, l’inceneritore, le fabbriche o gli scheletri di quelle finanziate e mai aperte. La trasformazione della piana gioiese è il risultato di decenni d’ideologia dello ‘’sviluppo anche a costo della vita’’, in cui hanno allignato il malgoverno, il disprezzo per i luoghi oltre che le frodi. Un’ideologia che per quanto fallimentare è ancora viva e rintracciabile negli attuali infelici piani di sviluppo per Gioia Tauro tra globalizzazione e neofeudalesimo4.
25 novembre 2016
1 http://www.themeditelegraph.it/it/transport/ports/2016/11/21/porti-agenzia-per-lavoro-banchina-salvi-occupati-tTGr6bJxuUam3dCzkzc5EI/index.html
2 http://www.zoom24.it/2016/04/22/tua-autoworks-ritira-investimento-stabilimento-gioia-tauro-16979/
3http://www.regione.calabria.it/index.php?option=com_content&task=view&id=18284&Itemid=136
4 http://www.sudcomune.it/2016/10/31/editoriale-n-1-2-lavori-in-corso/
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Daniele labate
Avete scritto un mucchio di sciocchezze.
Mimmo
Se sono sciocchezze, prova a smontarle!
Io a quel tavolo c'ero, e ho visto come i sindacati confederali ( nonostante ci fosse un accordo firmato tra sindacati, a non firmare se non si abbassano i numeri) si sono calate le braghe!
vogliamo parlare dei corsi di formazione finanziati dalla regione Calabria, di cui ancora non abbiamo visto un centesimo?
dobbiamo avere fiducia del rilancio del porto, di cui tutti parlano ma, nei fatti nessuno fa un cazzo!
a chi serve essere assistiti? agli operai no!
gli operai (quelli che tutti denigrano, ma che nei fatti sono gli unici che hanno contribuito, e contribuiscono a far grande l'azienda, ma che adesso, per colpa di qualcuno, saranno gli unici a pagare) chiedono lavoro!