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La stagione che verrà

Passata la nebbia della campagna elettorale, cominciano a definirsi in modo sempre più nitido i contorni della stagione che abbiamo davanti.

Il governatore della Banca d’Italia Panetta, nella sua relazione di fine maggio, aveva già chiarito la necessità di una stretta sulle finanze pubbliche.

Qualche giorno prima il FMI, nel suo ultimo rapporto dedicato all’Italia, aveva invocato una stretta al bilancio dello Stato di circa sessanta miliardi in due anni.

In particolare, il Fondo aveva proposto di sostituire il taglio del cuneo fiscale e i sussidi alle assunzioni con misure per aumentare in modo stabile la produttività del lavoro e rialzare l’età pensionabile, evitando forme di pensionamento anticipato.

A breve, il prossimo 19 giugno, è in arrivo la procedura di infrazione della Commissione europea nei confronti di tutti quei paesi con disavanzi fuori controllo e l’Italia nel 2023 ha registrato il deficit più ampio tra tutti i paesi europei, al 7,2% del PIL, ben al di sopra del 3% previsto dalle regole europee.

L’avvio della procedura comporterà la definizione di un piano di rientro da concordare con la Commissione europea che potrà avere una durata di 4 o 7 anni.

Nel primo caso si calcola che l’Italia potrebbe essere costretta ad un taglio di circa 25 miliardi al bilancio pubblico, nel secondo caso si scenderebbe a poco più di 13 miliardi di euro ogni anno per 7 anni.

Mentre il governo Meloni incassa il risultato elettorale come segnale di consolidamento, l’orizzonte economico è destinato a peggiorare.

Anche quelle timide misure previste per far fronte alla situazione (vedi vicenda sulle liste d’attesa) sono destinate a venire accantonate rapidamente, mentre si fa ogni giorno più concreta la possibilità che il governo decida di rimettere nuovamente mano al sistema pensionistico.

Ed è paradossale che ciò avvenga proprio quando i media pubblicano la notizia shock che, in base al simulatore dell’INPS, chi oggi ha trent’anni è destinato ad andare in pensione a 70 anni, e sempre che abbia maturato almeno 20 anni di contributi previdenziali, perché altrimenti dovrà aspettare di averne compiuti 74 per lasciare il lavoro.

Questa stretta sui conti economici dello Stato procederà di pari passo, nei programmi del governo Meloni, con l’approvazione di una serie di riforme molto pesanti del sistema istituzionale, in particolare l’autonomia differenziata, il nuovo decreto sicurezza e il premierato.

Un pacchetto di nuove regole destinato ad aumentare le disuguaglianze, reprimere il dissenso e introdurre forme accentuate di centralizzazione delle decisioni.

Questione sociale e questione democratica sono destinate ad essere sempre più le due facce di una stessa medaglia, in un clima di crescente coinvolgimento del nostro Paese negli scenari di guerra.

Come ha messo ben in evidenza la manifestazione del 1° giugno a Roma c’è sempre più bisogno di far crescere un’opposizione vera, che in Italia manca da troppo tempo.

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