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Quello che abbiamo visto il primo maggio a Torino

Quello che abbiamo visto il primo maggio a Torino è molto semplice, ma vale la pena spiegarlo per bene. Oggi che il clamore si è calmato e la notizia rischia di andare nel solito dimenticatoio, vorremmo provare a mettere i fatti in fila, vorremmo tentare un piccolo ragionamento.

Arriviamo in via Po verso le nove e un quarto; abbiamo con noi nostro figlio che ha meno di due anni, e piove a dirotto, per cui decidiamo di restare sotto i portici. È la prima volta che sfiliamo in questa modalità, non è affatto la prima volta che partecipiamo al primo maggio torinese, né a manifestazioni d’altro tipo. In due ne abbiamo visti tanti, di scontri tra polizia e manifestanti, ben prima dei fatti del 2001 a Genova. Abbiamo visto i tafferugli del 1999, con una carica molto violenta della polizia. Abbiamo visto, a Bologna, le forze dell'ordine ribaltare cassonetti e scooter parcheggiati, creando danni che poi sarebbero stati imputati agli studenti che manifestavano. Abbiamo insomma assistito a molte prove generali, prima di Genova. E ci teniamo a specificarlo, non facciamo parte di alcun movimento antagonista, non siamo simpatizzanti dei centri sociali per partito preso, non siamo iscritti a partiti politici; siamo semplici cittadini, certamente con un'opinione precisa, ma non inquadrati o inquadrabili in qualche schieramento o movimento. Non abitiamo nemmeno a Torino, ma a Genova; ci troviamo lì in visita ai parenti di Paola.

Sappiamo però riconoscere le situazioni, le persone e i loro ruoli durante le manifestazioni. Forti di questo, comunque, come vedrete abbiamo previsto i fatti poco prima che avvenissero Ma andiamo per gradi.

Verso piazza Vittorio ci rendiamo conto molto velocemente che il clima è teso, ma solo tra i poliziotti. Le persone che partecipano alla manifestazione sono allegre nonostante la pioggia o comunque molto tranquille. Sono anche molto poche rispetto al solito. Ma i poliziotti in tenuta antisommossa sono agitati più del dovuto. Si badi bene: non sono semplicemente attenti a cosa succede, sono proprio agitati. Anzi, il corteo non lo guardano nemmeno: è tra loro che si guardano, si spostano da un piede all’altro, aspettano nervosi. Sono fermi accanto a noi sotto il portico e aspettano ordini, evidentemente, mentre il corteo sfila pacifico e colorato.

Ci troviamo all’altezza del caffè Vittorio Veneto quando vediamo un gruppo di poliziotti con accanto un gruppetto di persone con i volti coperti. Sappiamo che in questi casi ci sono molti poliziotti in borghese e/o funzionari di polizia che comunicano con gli auricolari. Chiunque abbia esperienza di manifestazioni sa che ci sono e li riconosce in fretta; uno di questi, lo vediamo chiaramente, si avvicina ai giovani a volto coperto e parla con loro.

Con noi c’è nostro figlio per cui non ci pare il caso di avvicinarci troppo, ma è molto chiaro che la conversazione tra loro è confidenziale. Quei giovani non possono essere degli autonomi, ci diciamo, perché non si sono mai visti degli autonomi parlare così tranquillamente con dei poliziotti.

Quando la parte finale del corteo imbocca via Po, il gruppo di poliziotti inizia ad animarsi. Si raduna e comincia a seguire lo spezzone degli antagonisti, che fin da subito viene lasciato indietro rispetto agli altri. Aspettavano quel pezzo di corteo, quindi, ovvero la parte finale. Non aspettavano la fine del corteo in generale, ma proprio quelle persone, dal momento che in realtà iniziano a precederle restando di fianco, cioè lungo il portico.

Ci muoviamo anche noi verso piazza Castello, molto lentamente, e notiamo altri tizi con i volti coperti che si aggirano sotto i portici, come in attesa di ordini. Il corteo degli autonomi, vorremmo dirlo per chiarezza, non ha ancora fatto nulla, a parte molto rumore con megafoni e musica.

Poi, un po’ prima di Fiorio, sentiamo distintamente uno dei poliziotti in tenuta antisommossa rivolgersi agli altri dicendo: «Dobbiamo andare, li chiudiamo più in là».

Lo ripetiamo: dal corteo non arriva altro che musica, ma l’ordine di chiudere quello spezzone del corteo è già stato dato. Lo abbiamo sentito bene con le nostre orecchie.

A questo punto i poliziotti iniziano a correre in avanti, per chiudere le vie laterali man mano che quello spezzone del corteo avanza. Sempre per chiarezza: la gran parte del corteo è già molto avanti: la polizia non l’ha nemmeno guardato, sta letteralmente tallonando solo questo spezzone, dove non ci sono più di duecento persone.

Procediamo ancora un po’ quando notiamo che la situazione inizia a farsi tesissima. Lo spezzone degli autonomi, però, non è ancora arrivato, mentre tutti gli altri manifestanti sono già passati da un pezzo e stanno prendendo posto in piazza. La tensione, quindi, è tutta sotto il portico: i poliziotti corrono avanti e superano (a quanto pare senza badarci) due ragazzi interamente vestiti di nero, con cappucci e volti coperti, uno di loro ha qualcosa in mano e invita un altro (che nel frattempo fa il doppio nodo ai lacci di una scarpa) a darsi una mossa. Capiamo che si stanno preparando a fare qualcosa.

Noi (con il bambino) siamo praticamente in mezzo. Per cui decidiamo di tornare velocemente indietro e prendere una via laterale prima che partano le cariche. Ormai abbiamo già intuito la situazione: i poliziotti stanno per caricare, anche se (lo ripetiamo ancora una volta) il corteo non sta facendo altro che sfilare per conto suo.

Giriamo in via Bogino e arriviamo in piazza Carlo Alberto. Qui vediamo la manovra di diverse camionette e di un bel numero di poliziotti, che vanno verso via Cesare Battisti a passo sostenuto.

Non può esserci nessun motivo strategico di arrivare adesso e qui, se non quello di convergere in un punto preciso (quello che poi sarà il punto degli scontri). Ma ripetiamolo ancora una volta, perché non ci siano dubbi: gli autonomi non hanno fatto ancora niente. Nessuno, anzi, ha fatto ancora un bel niente se non sfilare in corteo. Eppure i poliziotti stanno convergendo già nel punto in cui avverrà lo scontro che, a detta dei giornali, sarà stato causato dai manifestanti.

Quindi i poliziotti hanno già previsto che i manifestanti faranno qualcosa esattamente in quel punto e in quel momento? Se così è, allora hanno poteri di chiaroveggenza, perché lo sanno evidentemente almeno da un’ora.

I poliziotti che vediamo in piazza Carlo Alberto diretti al punto in cui ci saranno gli scontri non sono di corsa: avanzano soltanto a passo sostenuto. Il che vuol dire che gli scontri ancora non sono iniziati, altrimenti correrebbero. Eppure è lì che stanno andando, precisamente tutti lì.

Difatti noi arriviamo in piazza Castello e tutto è ancora tranquillo. Noi però, per via del bambino, andiamo via da lì, perché abbiamo visto con chiarezza i preparativi. E scusate, se insistiamo, ma occorre essere proprio ripetitivi, per farsi capire bene: nessuno di questi “preparativi” veniva dal corteo. Quello che abbiamo visto sono solo poliziotti e altri soggetti con il viso coperto lasciati indisturbati, che si preparavano a uno scontro, e si preparavano a uno scontro che sarebbe avvenuto in un punto preciso a un momento preciso. Tutti costoro erano sotto i portici o nelle vie laterali. Il corteo, invece, sfilava tranquillo in via Po.

Siamo appena tornati a casa quando leggiamo degli scontri avvenuti proprio all’angolo con via Cesare Battisti, con una tempistica inequivocabile. L’articolo che leggiamo online risulta postato poco dopo il momento in cui noi siamo andati via.

Questi i fatti.

Quando ne parliamo a caldo su Facebook usiamo il termine “infiltrati”, perché tali ci sembravano quelli con il viso coperto. Abbiamo le prove che fossero infiltrati? No, naturalmente (come potremmo averle?), ma siamo pronti a scommettere che non fossero autonomi, e che fossero “benvisti” dai poliziotti, e che fossero soggetti quantomeno sospetti. E allora le domande che potete farvi anche voi sono: chi erano? Perché parlavano con i poliziotti prima degli scontri? Perché i poliziotti li hanno semplicemente ignorati dopo, quando noi (cioè due persone normalissime che per altro stavano badando a un bambino) ci siamo accorti perfettamente di loro e dei loro strani movimenti?

Ma comunque rispondiate a queste domande, quello che abbiamo visto resta chiarissimo: le cariche della polizia erano organizzate, l’ordine era di convergere in via Cesare Battisti, chiudere quella parte di corteo e caricare, indipendentemente dal comportamento dei manifestanti. Questo ordine lo abbiamo prima origliato noi stessi (quando abbiamo sentito un poliziotto dire agli altri «Li chiudiamo là») e poi lo abbiamo visto eseguire (quando abbiamo visto le camionette arrivare da piazza Carlo Alberto).

Molti, dopo, hanno testimoniato che le prime cariche della polizia sono partite “a freddo”, e cioè che i poliziotti avrebbero caricato quello spezzone senza alcun motivo apparente, causando una reazione che ha poi dato vita ai veri e propri scontri.

Altri – come sempre – hanno parlato di “provocazioni” da parte dei manifestanti che avrebbero causato le cariche della polizia come reazione. E diciamo che noi, da testimoni, possiamo senza dubbio escludere questa seconda ipotesi.

Ora, chiunque sia stato in piazza almeno un primo maggio a Torino sa bene che spesso i centri sociali cercano lo scontro; fa parte del gioco, non c’è nessun mistero. Quello che invece ci indigna, e dovrebbe indignare più persone, è il fatto che possano essere le forze di polizia a creare i disordini che poi dicono di reprimere con la forza, coinvolgendo innocenti e passanti.

Questa non è, non dovrebbe essere la normalità. Questo è un abuso di potere che abbiamo visto negli anni della nostra repubblica, teorizzato da alti esponenti del nostro governo e messo in pratica su larga scala a Genova nel 2001.

E, a questo proposito, ci permettiamo un’altra grande domanda, che speriamo possa tormentare voi come fa con noi. Ovvero: come mai i giornali non riescono a ricostruire bene i fatti? Perché gli articoli sono scritti sulla base delle dichiarazioni della polizia o dei politici, invece che da giornalisti che avrebbero potuto benissimo vedere con i loro occhi quello che abbiamo visto noi (mentre badavamo a un bambino piccolo sotto la pioggia)?

Ma del resto tutti (almeno si spera) conoscete l’intervista rilasciata da Francesco Cossiga nel 2008, che ci pare riassuma chiaramente la situazione:

«Maroni – diceva Cossiga – dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interno».

Ossia?

«In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito…».

Gli universitari, invece?

«Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città».

Dopo di che?

«Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».

Nel senso che…

«Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano».

Anche i docenti?

«Soprattutto i docenti».

 

* da http://www.ninin.liguria.it/

 

Antonio Paolacci è nato nel 1974 in provincia di Salerno e vive a Genova. È editor e curatore editoriale, direttore di collane di narrativa e saggistica, insegnante di scrittura creativa ed editoria. Come autore, ha scritto i libri: Flemma (Perdisa Pop, 2007 – Morellini, 2015), Salto d’ottava (Perdisa Pop, 2010), Accelerazione di gravità (Senza Patria, 2010), Tanatosi (Perdisa Pop, 2012) Piano Americano (Morellini, da ottobre 2017).

Paola Ronco è nata nel 1976 a Torino e vive a Genova. È stata finalista al Premio Calvino 2006 con A mani alzate. Nel 2009 ha pubblicato il romanzo Corpi estranei (Perdisa Pop), seguito nel 2013 dal romanzo La luce che illumina il mondo (Indiana). Suoi racconti sono apparsi su riviste on line e in varie antologie, tra cui Tutti giù all’inferno (Giulio Perrone, 2006) e Love out (Transeuropa, 2012).

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2 Commenti


  • Savino

    La narazzione dell'evento e minuziosa, e veritiera sulla preparazione dell'imboscata della polizia ai manifestanti del gruppo Autonomo, ai miei tempi, gli autonomi non c'erano, le manifestazioni a Torino erano pacifiche, però le provocazioni pianificate succedevano, bisogna dire che in questo caso, l'azione militare di isolare e colpire gli autonomi e stata preventiva, del resto, la popolazione sà che gli Autonomi comunque agiscono, sono preparati e praticano quasi sempre azioni di violenza per cui, purtroppo, un normale cittadino accetta queste azioni illegali della polizia, perchè sono di utilità preventiva, e quindi niente di eccezzionale, credo che per questi avvenimenti, c'è più democrazia in Venezuela che in Europa. Grazie per la tua Narrazione Documentale.


  • Ireo Bono

    Un racconto interessante che ritengo veritiero e significativo. Mi ricorda quei black-block che a Genova nel 2001 le forze dell'ordine laciavano agire senza fare nulla.

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