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Disoccupati come nel ’77, urge rivolta

Come nel 1977, peggio che nel 1977. La disoccupazione giovanile raggiunge – dati Istat di stamattina – la stratosferica percentuale del 41,6%. C’è poco da consolarsi spiegando che, statisticamente, questo numero rappresenta la proporzione tra disoccupati “giovani” e totale dei disoccupati. Sono comunque 659mila…

Ma non va bene per nessuna generazione in età lavorativa. A novembre 2013, gli occupati si sono ridotti a 22 milioni 292 mila, con una perdita ulteriore dello 0,2% rispetto al mese precedente (-55 mila) e del 2,0% su base annua (-448 mila).

Il tasso di occupazione, pari al 55,4%, diminuisce pertanto di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precednete e dell’1%  rispetto a dodici mesi prima.

Il numero di disoccupati è invece salito a 3 milioni 254 mila, con un aumento dell’1,8% rispetto al mese precedente (+57 mila) e del 12,1% su base annua (+351 mila). La crescita tendenziale della disoccupazione è più forte per gli uomini (+17,2%) che per le donne (+6,1%).

Il tasso di disoccupazione è perciò salito pari al 12,7%, in aumento di 0,2 punti percentuali in un solo mese e di 1,4 punti nei dodici mesi.

I disoccupati tra i 15-24enni – i giovani, per l’appunto – sono 659 mila. L’incidenza dei disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età è pari all’11,0%, in diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e in aumento di 0,4 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 41,6%, in aumento di 0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 4,0 punti nel confronto tendenziale.

Il numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni invece diminuisce dello 0,2% rispetto al mese precedente (-24 mila unità) mentre resta sostanzialmente invariato rispetto a dodici mesi prima. Il tasso di inattività si attesta al 36,4%, stabile in termini congiunturali e in aumento di 0,1 punti percentuali su base annua.

La diminuzione degli inattivi – in presenza di una forrte disoccupazione – si spiega abbastanza semplicemnte: gli anziani che vanno in pensione, nonostante l’infame riforma firmata Fornero, sono comunque più dei giovani che arrivano all'”età lavorativa”.

Perché stiamo peggio del ’77? Perché c’è ancora scarsa opposizione sociale, soprattutto nelle fasce giovanili. E dire che oggi non si può più nemmeno contrapporre seriamente “garantiti” e “non garantiti” (come qualche idiota cominciò a teorizzare allora), perché i primi non esistono più (dopo lo svuotamento dell’art. 18). Stiamo peggio perché la crisi va peggiorando invece di “finire”, le politiche imposte dalla Troika provocano deflazione e chiusure in tutti comparti dell’economia, e gli Stati nazionali non hanno più poteri di intervento in campo economico. Insomma: un’altra “legge 285” – quella del ’77 – oggi non è possibile. In questo quadro politico europeo, certo…

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