Gli effetti della crisi hanno cessato di essere “percezione” per diventare pesante realtà e inquietante prospettiva per milioni di lavoratori, giovani, precari, disoccupati, pensionati anche nel nostro paese. In tanti, tantissimi stanno diventando consapevoli che già il prossimo futuro sarà peggiore dell’anno in corso perché agiranno gli effetti delle manovre antisociali imposte dal governo e dalle istituzioni finanziarie europee.
1. Le ipoteche sul futuro e sulle aspettative, ma anche su un presente diventato esso stesso minaccioso e insopportabile, stanno creando una tensione sociale crescente in tutto il paese. E’ una tensione che trova bloccata ogni possibilità di decidere o di incidere democraticamente sulle priorità sociali. Il sistema politico – spesso con modalità bipartisan – opera sistematicamente in subordine ai poteri forti economici per privare di ogni sostanza gli apparati rappresentativi esistenti. Che ciò non abbia conseguenze politiche e sociali è una pura illusione, questa sì, da vera e propria casta.
2. La manifestazione del 15 ottobre poteva e doveva cogliere e raccogliere questa enorme aspettativa e questa grande contraddizione rappresentando il passaggio – ma non il tutto – di un percorso di organizzazione e resistenza dei settori sociali sconvolti dalla crisi e dalle misure antisociali della Bce.
3. La lettera della Bce ha avuto il terribile pregio di definire lo spartiacque tra chi punta al massacro sociale come risorsa per tamponare i bilanci delle banche e riaffermare la gerarchia nei rapporti sociali verso chi non può che opporsi per non essere trascinato in una giungla senza diritti e certezze e nell’esclusione sociale. I diktat di Draghi e Trichet, hanno reso governo e parlamento degli apparati di passacarte e hanno confermato come lo stesso Berlusconi non fosse altro che una tigre di carta. In questo senso, hanno centrato il bersaglio le contestazioni alla Banca d’Italia e a Draghi e l’avvio di una campagna di massa per il non pagamento del debito. I silenzi o le complicità della politica verso i diktat della Bce, hanno reso entrambi irricevibili sia nella sua forma governo attuale sia verso quella che si candida a sostituirlo.
4. La manifestazione del 15 ottobre non poteva che essere un enorme atto di ripudio di massa della filosofia, dell’ideologia e delle misure concrete contenute emblematicamente nella lettera della Bce. A fronte di una straordinaria spinta alla partecipazione e ad una evidente contraddizione tra aspettative e realtà capace di mandare un segnale chiaro e forte, ha prevalso invece la strada di un ambivalente avventurismo:
- L’avventurismo delle forze che hanno “compresso” questa contraddizione in una liturgia politicista, hanno puntato ad una manifestazione depotenziata da ogni conflittualità verso i centri responsabili della situazione e ingabbiandola dentro la ritualità del “grande evento di massa” da spendere eventualmente sul piano delle alleanze elettorali del prossimo anno. Questo avventurismo ha mandato segnali talmente scomposti da arrivare ad invocare l’intervento della polizia già in via Cavour gremita di manifestanti, quando questo avrebbe provocato una tragedia ed uno scontro assai più pesanti di quelli avvenuti.
- L’avventurismo di chi non riesce ancora a liberarsi dal demone dell’estetica del gesto e del fuoco purificatore come affermazione del proprio presente, ma micidiale ipoteca su ogni progetto futuro capace di includere settori più ampi e di stabilizzare organizzazione, alleanze sociali, conflitto organizzato verso un percorso di trasformazione radicale della società. Anche perché – naturalmente – chi scende in piazza non è per niente disponibile a fungere da scudo umano gratuitamente.
Al contrario, il quotidiano la Repubblica(per scarsa professionalità o per le cattive informazioni ricevute) ripropone invece uno schema demenziale e smentito dai fatti tra “ragionevoli” e “assaltatori del palazzo”. L’insistenza politica e mediatica sugli scontri e la coerente caccia alle streghe, appaiono come la comoda e consueta via di fuga dai nodi tutti politici che la realtà impone ormai a tutti.
5. La gestione antipopolare della crisi sta chiudendo tutti gli strumenti di mediazione e coesione sociale. Tant’è che, come in Gran Bretagna, lo stato di diritto sta impiegando meno di 48 ore per assumere le vesti di uno stato di polizia con leggi speciali e divieti di manifestazione. Una accelerazione che – come la lettera della Bce – gode di sostegni ampiamente bipartizan, Di Pietro in testa, una escalation emblematica e impressionante a fronte di un movimento di opposizione popolare che stava muovendo e con ritardo i suoi primi passi. Tant’è che in Grecia, dove la protesta è iniziata ben prima, si torna a manifestare davanti al Parlamento in piazza Syntagma nonostante sia stata spesso teatro di scontri violenti.
Abbiamo sostenuto nelle scorse settimane che conflitto sulle questioni sociali (dal debito ai beni comuni) ed emergenza democratica, fossero i due parametri di una battaglia a tutto campo nei prossimi mesi. I fatti e la relativa materia sociale incalzano questa agenda con velocità impressionante ed impongono, a tutti noi, l’assunzione di una responsabilità politica a larga scala.
6. La manifestazione del 15 Ottobre aveva la forza dei numeri ma non quella della sedimentazione . Questa possibile soglia va costruita con pratiche diverse da quelle “dell’evento” dove gli avventurismi di ogni categoria predominano, non aiutano ma fanno danni. All’indomani della manifestazione molte delle cose da fare appaiono più difficili ma ciò non significa che non vadano cercate, create, organizzate concretamente dentro la realtà sociale e non nei cenacoli della politica.
Riteniamo però che solo sulla base dell’indipendenza e del conflitto si può dare rappresentanza politica a interessi sociali definiti e antagonisti a quelli del capitale. Senza organizzazione di massa e senza progetto non si rovescia il tavolo e non si afferma un nuovo ordine di priorità nelle alternative alle lacrime e al sangue annunciate dal governo unico delle banche, in Italia, in Europa e sul piano internazionale.
La Rete dei Comunisti
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Gianni
Penso che la lotta contro la crisi e la sua declinazione politica vada condotta rafforzando l’autorganizzazione, il movimento di massa, la sua disponibilità al conflitto sulla base della capacità di dotarsi di una vera piattaforma di lotta che dica che il debito non lo paghiamo e che per farlo proponiamo un’altra agenda: moratoria unilaterale sul debito pubblico, realizzazione di una banca pubblica nazionale, tassazione fortemente progressiva di rendite e patrimoni, salario minimo, reddito sociale per giovani e precari, riduzione dell’orario di lavoro, riduzione drastica delle spese militari, difesa dei beni comuni contro grandi opere come la Tav, abolizione del legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro per i migranti, estensione della democrazia diretta.
Renato
dobbiamo diffondere la consapevolezza che le misure lacrime e sangue dettate dal regime della finanza, saranno sempre piu dure e richiedono un giro di vite sempre più rigido e repressivo,privando gli spazi dell’agire politico. E dunque necessario avere una piattaforma concreta e precisa come suggerisce Gianni,perchè proprio questa concretezza è stata la forza dei recenti referendum.Insieme alla piattaforma si costruisce l’organizzazione unitaria e di massa,che senza sbavature ,difende gli spazi dell’agire politico, insidiati, mette a tacere i Di Pietro di turno e manda a casa e nelle patrie galere la canea di golpisti ,mai eletti dal polpolo,che bivaccano nel Parlamento della Repubblica in dispregio della CostituzioneAbbiamo bisogno di tutta l’intelligenza di chi ha tanta sete di Giustizia e Libertà,per sconfiggere delinquenti e mafiosi saldamente insediati nel nostro paese.