Quando i media specializzati in economia parlano è sempre bene prestare molta attenzione, perché altrimenti, in mezzo al tourbillon di frottole raccontate per rappresentare una realtà accomodante alle necessità del potere, qualche verità rischia di sfuggire.
E così, se su Il Sole 24Ore di mercoledì 9 gennaio, a domanda circa la bontà della cosiddetta riforma “quota 100” pensata per «aggiungere nuova “flessibilità al pensionamento” e “liberare posti di lavoro”», il professor Sandro Gronchi (Sapienza) rispondeva che «la proposta è sbagliata a prescindere dagli effetti che potrà produrre»; oggi, il Corriere della sera propone un prospettiva sulla riforma in discussione in cui il messaggio lanciato da questo governo, per chi avesse ancora dei dubbi, è chiaro: rivolete un po’ del vostro tempo? Pagatevelo, se ce la fate.
Salvini e Giletti possono spalleggiarsi quanto vogliono, ma la riforma Fornero è tutto tranne che «distrutta», e sembra piuttosto l’ennesimo punto segnato a favore delle imprese, che nei prossimi tre anni avranno possibilità di liverarsi di pre-pensionati con contratti “pesanti e garantiti”, e libere di sostituirli con i figli del Jobs Act, a metà salario.
Abbiamo scritto se ce la fate perché il senso è proprio quello: una riforma di natura classista, considerando che da un «punto di vista economico», per stessa ammissione del Corriere, la scelta di uscire dal lavoro prima, in realtà, «non conviene».
Per fare un esempio: per un lavoratore che nel 2020 matura la “quota 100” partendo da uno stipendio di 2.000 euro netti al mese, il pensionamento anticipato calcolato nei prossimi 21 anni (secondo i dati Istat sull’aspettativa di vita) porta a un perdita di circa 185.000 euro totali, pari a un taglio (nel peggiore dei casi) del 35% sull’importo calcolato se avesse lavorato i successivi cinque anni, andando cioè in pensione ai 67 anni previsti dalla Fornero.
«Naturalmente – scrive il Corriere – starà ad ogni lavoratore valutare la propria condizione lavorativa, familiare, di salute e di vita per decidere se quel costo sia più o meno accettabile in funzione dei propri obiettivi e necessità». Naturalmente… si dovrebbe quasi ringraziare per la possibilità di scegliere quale danno si preferisce (lavorare oltre i limiti o perdere reddito).
Se questa è la natura fisica della riforma ancora in discussione, vediamo quali sono gli altri modifiche di rilievo.
Come noto, la “quota 100” è maturabile a partire dall’accoppiata 62-38 (anni di età-contributi), con una finestra di uscita (attesa per l’incasso della prima mensilità) di tre mesi per i lavoratori privati e di sei per i dipendenti pubblici.
Per sempre? Chiaramente no, ma solo fino al 2021, perché non si vuole davvero mandare prima in pensione lavoratori e lavoratrici; alle imprese serve solo un rapido turn over nel breve periodo, perché di profitto se ne fa sempre meno, e allora è più facile tagliare il costo del lavoro, assumendo alle nuove condizioni fissate a suo tempo da Renzi.
Perciò, con la nuova riforma, la perdita di reddito pensionistico sarebbe tra l’11 e i 35 punti percentuali; se sei una lavoratrice nata prima del 1960, storicamente in difficoltà ad avere «carriere lunghe e stabili come gli uomini», si può anticipare il pensionamento a patto di aver raggiunto i 35 anni di contribuiti: purtroppo, però, il calcolo andrà effettuato integralmente con il metodo contributivo anziché con quello misto, che sarebbe stato «più favorevole»; se sei ricco invece, dopo lo scopiazzamento del caso Carige, il governo fa meglio i compiti e si ispira (solo) alla misura prevista nella Finanziaria del 2014 del governo Letta, tagliando quote previste tra il 15 e il 40 per cento sulla la parte eccedente i 100.000 euro (fino a 500.000) lorde annue.
Stretta su immigrazione e sicurezza, finto reddito di cittadinanza, prepensionamento svantaggioso di classe: questo è il governo della reazione, e la recessione è ormai alle porte.
La stabilità di governance europea, indipendentemente da quali attori si facciano carico di esprimerla, è garantita anche nei colori giallo-verdi. L’insegnamento di Mattarella di fine maggio scorso (quando minacciò di dare l’incarico a Cottarelli), è stato recepito.
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