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La Fed inventa la politica monetaria preventiva

Come al solito, Powell [Jerome Powell, Presidente della Federal Reserve, ndt] ci ha deluso. La furia di Donald Trump era in linea con la delusione dei mercati finanziari, dopo gli annunci della Federal Reserve di mercoledì 31 luglio. Il presidente americano non nasconde il suo allineamento con Wall Street: vede nel Dow Jones la bussola che conferma il successo della sua politica e le sue possibilità di rielezione.

Da quando è salito al potere, l’indice principale di Wall Street è salito da 17.888 a oltre 27.000 punti, con Donald Trump che si autocelebra di ogni passaggio simbolico. Così il presidente americano si è lasciato trasportare quando ha visto l’indice perdere più di 300 punti e l’apprezzamento del dollaro contro tutte le altre valute, subito dopo i commenti del presidente della Federal Reserve. Ovvero il contrario di quello che vuole.

Decidendo di abbassare i tassi di riferimento statunitensi di un quarto di punto, nella “forchetta” compresa tra il 2% e il 2,25%, Jerome Powell ha comunque concesso una grande vittoria a Donald Trump. Da più di diciotto mesi, il Presidente americano batte sulla Federal Reserve ogni volta che può, accusandola di condurre una politica monetaria non sufficientemente accomodante, arrivando a minacciare di licenziare il Presidente della Fed.

Jerome Powell si è finalmente piegato: per la prima volta dal 2009, la Federal Reserve ha abbassato i suoi tassi.

Il voltafaccia dell’istituzione monetaria è incredibile. Mentre ancora a fine dicembre aveva dichiarato che avrebbe normalizzato la propria politica monetaria, aumentato i tassi Usa – almeno tre volte nel 2019 – e ridotto il proprio bilancio, ora sta abbandonando questa linea di condotta. Non solo sta abbassando i tassi, ma sta anche abbandonando l’idea di ridurre il proprio bilancio.

Ma per i mercati finanziari queste concessioni non sono sufficienti. Molti si aspettavano un calo più significativo dei tassi di riferimento, pari almeno allo 0,5%. Soprattutto, speravano di ottenere la conferma che la Federal Reserve si sarebbe impegnata in una politica di allentamento monetario per un periodo di tempo molto lungo e avrebbe ridotto i suoi tassi fino a quando il denaro non fosse stato quasi “gratuito”. Jerome Powell ha raggelato le loro speranze. “Questo non è l’inizio di una lunga serie di tagli dei tassi”, ha detto, prima di spiegare che la Federal Reserve sarebbe pronta ad adattarsi alle mutevoli circostanze.

La mancanza di chiarezza nelle dichiarazioni riflette l’imbarazzo della direzione della Federal Reserve nel spiegare il cambiamento di linea. Si divide su come procedere: due dei suoi membri si sono rifiutati di votare a favore della riduzione dei tassi. Infatti, come si può giustificare un percorso di politica monetaria identico a quello seguito nel periodo della crisi finanziaria del 2008, quando invece l’economia statunitense è ancora sulla buona strada?

Perché se ci atteniamo agli indicatori ufficiali che fungono da riferimento per la Federal Reserve – sui quali c’è molto da dire, perché danno certamente una visione distorta della realtà – questi sono favorevoli: anche se ad un ritmo più lento, la crescita continua, intorno al 2%; il tasso ufficiale di disoccupazione è del 3,5%, quasi vicino alla piena occupazione secondo la definizione degli economisti; i consumi aumentano favorevolmente; la fiducia è alta. Cosa si potrebbe chiedere di più?

Alla fine delle discussioni, Jerome Powell ha finalmente trovato una spiegazione per l’inversione della Federal Reserve: il mondo. Il deterioramento del contesto globale, la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, il rallentamento delle economie europee, la Brexit, l’aumento dei rischi geopolitici, sono tutti fattori che, secondo lui, giustificano l’adozione di misure di allentamento monetario in modo preventivo. Perché è anche uno dei principali cambiamenti per la Federal Reserve: sceglie di intervenire ancor prima che la crisi economica si manifesti.

In che modo il taglio di un quarto di punto percentuale, già storicamente basso, contribuirà a contenere questi rischi esterni o almeno a sostenere il credito e gli investimenti? Mistero. La risposta si trova quindi altrove. Certamente dalle parti del sistema finanziario globale.

Riprendendo una politica monetaria non convenzionale, la Federal Reserve pone fine al suo percorso solitario e si unisce a tutte le altre principali banche centrali. Da diversi mesi, Cina, Australia e Canada hanno adottato ancora una volta politiche dei bassi tassi d’interesse e di rilancio del credito a sostegno dell’economia. La Banca centrale europea (BCE) si prepara ad adottare misure senza precedenti a settembre per salvare le economie europee, in particolare la Germania e l’Italia, mentre i tassi sono già negativi. La Banca del Giappone, da parte sua, da vent’anni non abbandona le sue politiche di tassi d’interesse zero o negativi e di riacquisto di azioni proprie.

Solo la Banca d’Inghilterra si rifiuta per il momento di abbassare i tassi, ma per ragioni di circostanza: deve cercare di fermare la caduta della sterlina, che sta accelerando da quando Boris Johnson è stato nominato Primo Ministro. Questo solleva la minaccia di una Brexit disordinata, senza accordo con l’Unione Europea.

Allineandosi con le altre banche centrali, la Federal Reserve rafforza il fronte delle istituzioni monetarie mondiali. Questo rimuove i margini e le lacune che il mondo finanziario sfrutta per correre alla ricerca del minimo divario, del benché minimo guadagno. In diverse occasioni, negli ultimi anni (in particolare nel 2015, febbraio 2018, autunno 2018), le banche centrali globali sono state in grado di misurare questi massicci movimenti di capitali, passando da un capo all’altro del mondo senza controllo, alla velocità del nanosecondo, a seconda dei loro interessi, senza preoccuparsi delle conseguenze.

Sono stati in grado di comprendere i rischi per l’economia globale, molti dei quali sono però il risultato degli eccessi delle proprie politiche monetarie non convenzionali. Il debito stratosferico, un universo a tasso zero o addirittura negativo, le bolle patrimoniali, sono tutti segni di disfunzione in un sistema finanziario che si è abituato a vivere catturando denaro gratuito dalle banche centrali e assumendo sempre più rischi.

L’attuale nervosismo sui mercati suscita timori di nuovi disordini, amplificati da masse sempre più gigantesche di capitale. Nelle ultime settimane diversi fondi sono crollati, non riuscendo a soddisfare la domanda immediata di rimborso dei loro clienti. I mercati obbligazionari, invece, sono in crescita: i titoli del Tesoro USA a due anni hanno rendimenti superiori ai titoli trentennali statunitensi. Le obbligazioni svizzere sono tutte a tassi negativi. Le obbligazioni tedesche hanno tassi negativi fino a 30 anni.

Dopo le altre banche centrali, la Federal Reserve indica pertanto di essere pronta a fornire la liquidità necessaria per preservare la stabilità finanziaria. Ma quello che deve essere un segno di appagamento potrebbe far sorgere ulteriori dubbi. Le banche centrali possono permettersi di mantenere il controllo?

* Traduzione a cura di Andrea Mencarelli (Potere al Popolo) dell’articolo pubblicato su Mediapart.

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