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La spesa in armi degli USA mette in pericolo la lotta all’inflazione

Il keynesismo militare ha dato fiato all’economia statunitense per decenni (insieme alla leva del dollaro e alla rapina sistematica delle risorse dei paesi distrutti con la guerra). Ma il conflitto permanente varato dall’inizio degli anni Novanta comincia a ritorcersi contro Washington.

Il Congressional Budget Office, organismo che si occupa di vigilanza fiscale, ha reso noto che i pacchetti di aiuti militari per l’Ucraina e per Israele contribuiranno a far salire il deficit di questo anno fiscale fino a 1,9 trilioni di dollari, rispetto agli 1,5 trilioni previsti a febbraio. A sostenere questa crescita sarebbe anche la cancellazione dei prestiti studenteschi, voluta da Joe Biden.

Si tratterebbe di una mossa elettorale, che non cambia la sostanza del sistema di istruzione a-stelle-e-strisce, ma che rappresenterebbe comunque un sollievo per tante persone (il sito Federal Student Aid calcolava l’ammontare totale del debito a 1,63 trilioni di dollari nel giugno 2023). Ad ogni modo, la misura è ancora in bilico, le spese per armi no.

Jay Barry, che lavora per la JP Morgan sulle strategie in relazione ai tassi di interesse, ha affermato che l’espansione del deficit richiederebbe l’emissione di altri 150 miliardi di debito a settembre. Egli si aspetta che la maggior parte di questi venga raccolta attraverso ‘Treasury Bills‘, ovvero strumenti con scadenze che variano da un giorno a un anno.

A conti fatti, ciò porterebbe all’aumento del valore totale di questi titoli in circolazione a fine 2023 al record storico di 6,2 trilioni di dollari. Ricordiamo che l’ammontare totale del debito pubblico statunitense, mostrato ogni giorno su uno schermo vicino Times Square, sta per raggiungere la cifra di 35 trilioni di dollari.

Il mercato dei ‘Treasury Bills‘ è quintuplicato dopo la crisi finanziaria del 2007-2008. Questo perché negli ultimi 15 anni il Tesoro statunitense ha trovato sempre più difficile finanziare l’aumento del deficit attraverso debiti a lungo termine, che gonfiano sostanzialmente gli oneri finanziari.

Vari analisti hanno avvertito che, sui titoli a breve termine, si rischia di raggiungere i limiti della domanda. Torsten Slok, capo economista della società di investimento Apollo, ha detto che si pone concretamente “la questione su chi li acquisterà” e “ciò potrebbe assolutamente mettere a dura prova i mercati dei finanziamenti“.

Se arrivasse questa ondata di buoni del Tesoro, verrebbe messa a repentaglio la stretta quantitativa monetaria, la spinta della Fed a ridurre il proprio bilancio, che è una delle principali strategie della banca centrale USA per combattere l’inflazione. “Il rischio è che il QT (Quantitative Tightening, la stretta monetaria, ndr) debba finire prima del previsto“, ha affermato Barry di JPMorgan.

Ajay Rajadhyaksha ha reso infine chiara quale sia la grande paura sottesa a questa storia, cioè che gli Stati Uniti possano rivivere “un momento come quello del settembre 2019“. L’economista e dirigente della Barclays si riferisce alla “repo crisis“, quando la mancanza di acquirenti spinse gli interessi su vari titoli di debito a breve termine da meno del 2,5% al 10%.

All’epoca la Fed dovette intervenire pesantemente su questa dinamica, iniettando oltre 200 miliardi di dollari nel mercato “repo” nel giro di pochi giorni, e continuando operazioni simili fino a giugno 2020. Un impegno che manderebbe in frantumi, appunto, la stretta monetaria.

Stiamo spendendo soldi come un marinaio ubriaco a terra per il fine settimana“, ha spiegato Rajadhyaksha, con una similitudine piuttosto popolare ma molto efficace. Soldi che potrebbero rendere instabile l’intero mercato finanziario globale, con un ulteriore colpo sul ruolo dei titoli USA e dunque del dollaro come riserva di valore sicura.

Siamo i primi a ribadire che i vincoli europei sul debito sono misure politiche, che non hanno nulla a che vedere con la sostenibilità tecnica del debito. Questo non significa che non esistano meccanismi messi in moto da una maggiore o minore spesa pubblica… e dalle voci in cui è impegnata.

Il tema è proprio in cosa si vuole spendere questo deficit, quali circuiti virtuosi o viziosi si vogliono attivare. Gli aiuti militari a Ucraina e Israele potrebbero sostenere l’inflazione, far schizzare gli interessi sul debito e attirare così persino la speculazione finanziaria da altri lidi, come l’Europa, e deprimere dunque i capitali disponibili a investimenti anche alle nostre latitudini.

Un’altra spirale di crisi che si abbatterebbe con forza sui settori popolari, di entrambe le sponde dell’Atlantico, dovuta alla preminenza delle leggi del mercato.

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