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Olimpiadi a Roma. La favola insostenibile

La favola insostenibile
Paolo Berdini

Non era mai capitato che un comitato promotore guidato nientemeno da Gianni Letta e formato tra gli altri da Cesare Geronzi, Giovanni Malagò, Emma Marcegaglia, John Elkann, Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle e Azzurra Caltagirone, ricevesse un no così sonoro. Il presidente Monti ha negato il consenso all’avventura delle Olimpiadi romane del 2020. Ha fatto bene e godiamoci almeno per un giorno la rabbiosa ritirata dell’esercito dei cacciatori di appalti – rigorosamente bipartisan – che erano già pronti a mettere le mani sui 5 miliardi iniziali che sarebbero stati spesi in tante opere inutili.
Il governo non ha creduto ai paludati studi che parlavano di un aumento del Pil tra il 2013 e il 2025 di 17,7 miliardi, accompagnato da un aumento di occupazione stratosferico: 14.000 nuovi posti di lavoro a partire dal 2015 con un picco di 29.000 nel 2020. Balle. Ma il parterre del comitato promotore controlla molti giornali e come a Milano per l’Expo 2015 era iniziata la favola dell’Olimpiade sostenibile e verde, austera. Maestri nel camuffare il cemento e l’asfalto. Maestri nel camuffare la verità.
Solo tre esempi. Il bacino remiero era previsto a Settebagni, nelle aree in cui sorge il Salaria Sport Village di Anemone, Bertolaso e Balducci. È un’opera sotto giudizio penale e avevano pensato di renderla eterna con altro denaro pubblico. Le gare di nuoto erano previste a Tor Vergata nell’edificio disegnato da Calatrava che doveva già ospitare i mondiali del nuoto del 2009. Anche qui, visto che erano stati già gettati al vento circa 400 milioni di euro si sfruttavano le Olimpiadi per spenderne altri 500. Il velodromo, infine, doveva essere costruito ex novo perché il gioiello costruito nel 1960 era stato fatto saltare con la dinamite proprio per permettere l’ennesima speculazione edilizia sponsorizzata dall’Ente Eur.
Il colpo assestato alla famelica banda dei cacciatori di soldi pubblici può significare una svolta nel modo di pensare il futuro delle nostre città, a iniziare da Roma. Basta con il mito dei grandi eventi e delle grandi opere. In tempi di crisi dobbiamo cambiare paradigma e pensare alle migliaia di opere piccole e intelligenti che possono migliorare la vita delle periferie urbane che lottano per avere trasporti moderni o scuole in sicurezza e senza amianto, aria pulita. La prospettiva di una vita migliore invece del pessimismo in cui ci ha cacciato l’economia liberista.
E dato che anche i professori di governo hanno per una volta sobriamente ingrossato le file oceaniche dei signornò, proponiamo un piccolo passo avanti. Per essere coerenti con il diniego alle Olimpiadi del 2020 devono ora cancellare il folle ampliamento dell’aeroporto di Fiumicino pensato proprio per l’evento Olimpico, 1.200 ettari di aree agricole cancellate per costruire altre piste, alberghi, ipermercati. E poi, alzando lo sguardo da Roma, blocchino per sempre l’inutile opera della val di Susa e il Mose di Venezia. Solo così il no alle Olimpiadi sarebbe coerente e aprirebbe una prospettiva nuova alle nostre città.

da “il manifesto”

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