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Un governo che può portare rogne

In queste ore, molti si stanno esercitando nello studio del “contratto di governo” tra Lega e M5S. Le parti evidenziate in giallo e in rosso indicano i punti ancora aperti e quelli di divergenza. Almeno nove di quelli in rosso segnalano snodi strategici nell’indirizzo di un possibile governo emerso dal fatto che più del 50% degli elettori il 4 marzo abbiano espresso – in forme diversissime tra loro e con una buona dose di eufemismo – un voto ritenuto “anti-establishment”.

L’articolo degli economisti del collettivo Coniare Rivolta, pubblicato in altra parte del nostro giornale, evidenzia bene alcuni di questi snodi e le loro contraddizioni. Ma ci sembra di poter affermare con sicurezza che il problema principale resti quello ribadito dal commissario europeo Katainen: “Le regole del Patto di Stabilità si applicano a tutti gli stati membri e non ho segnali che la Commissione europea concederà eccezioni a chiunque”.

Del resto le indiscrezioni emerse giovedi dal vertice europeo di Sofia, così come l’editoriale oggi di Le Monde, ci restituiscono la concretezza dei diktat dell’Unione Europea su qualsiasi orizzonte di governo che non preveda una loro rottura come presupposto necessario per poter realizzare politiche economiche, sociali e internazionali basate sulle esigenze del paese e non su quelle dei “mercati”.

Appare evidente che il governo ancora in fasce debba conciliare nella sua azione cose molto diverse, non sempre incompatibili ma comunque diverse. Ad esempio, una politica sociale formalmente “più avanzata” su alcune questioni, rispetto a tutti gli esecutivi subalterni a Bruxelles degli ultimi 25 anni, ma accompagnata da una criminalizzazione della povertà, come desumibile dal capitoletto sulle occupazioni di case (unico riferimento all’enorme emergenza abitativa esistente nel paese), infilato tra quelli sul gioco d’azzardo e la sicurezza stradale. Viene infatti lì riproposta una soluzione all’emergenza abitativa in base alle sole “fragilità” (handicap, anzianità, figli piccoli) e non alla condizione economica.

Colpisce poi il fatto che i centri di accoglienza per immigrati debbano o no “rispettare i diritti umani”, sia i tra i punti evidenziati in rosso (su cui ancora non c’è un accordo tra i due partiti), come se ci fosse qualche dubbio sull’appartenenza dei migranti alla razza umana. “In compenso” si propone di sottrarre ai privati la gestione di questi centri e di affidarli ad un soggetto pubblico come le regioni.

Le prese in giro non mancano. Si mantiene per esempio il tema decisivo del “reddito di cittadinanza”, ma sparisce la quantificazione dei fondi necessari a realizzarlo; con il sospetto che rimanga perciò solo una parola senza effetti pratici.

Sulla tassazione, oltre all’orrore economico e sociale della Flat Tax, c’è uno spunto “interessante” che porterebbe – ove realizzato – la tassazione per le imprese su due sole aliquote (il 15 e il 20%). Sembra un dettaglio tecnico, ma occorre ricordare che la tassazione sui titoli di stato è al 12,5% (sale al 26 in caso di vendita prima della scadenza, ovvero nella normale attività di trading), mentre quella sugli altri prodotti finanziari è del 20%. Tenendo conto che, nella composizione della ricchezza privata, il 44,5% è rappresentato da prodotti finanziari e solo il 4,5% da beni materiali (il restante 51% è ricchezza immobiliare), fino ad oggi la tassazione è stata più pesante su quel 4,5 di beni materiali che non sul 95,5% di rendita finanziaria e immobiliare.

Ma, alla fine della giostra, quale sarà il coniglio che uscirà da questo cilindro? Un programma di governo contraddittorio, regressivo su alcuni punti e “innovativo” su altri. Magari con la pretesa contraddittoria di cedere su tutta la linea sui vincoli esterni (Ue e Nato), legandosi quindi mani e piedi nella gabbia europea, ma provare a tener buona la deep society (la pancia profonda del paese) con le misure contro gli immigrati, gli sgomberi delle case occupate e il mantra di una “legalità” senza giustizia sociale.

C’è insomma la consapevole ricerca di una linea di governo in grado di attirare consensi indicando “nemici facili”, ossia più deboli, nell’eterna riproposizione della guerra tra poveri di fronte a risorse scarse (per gli effetti dell’austerità imposta dai vincoli europei, oltre che dal permanere della crisi economica).

Alla luce di quanto siamo riusciti a decrittare finora nel contratto di governo, possiamo dire che tre questioni decisive costituiscono l’oggetto del contrasto politico tra il nostro mondo e il programma del “nuovo esecutivo”: a) la subalternità e la non rottura con il vincolo esterno (i diktat dell’Unione Europea e la Nato); b) l’assoluta sottovalutazione delle emergenze sociali, soprattutto su reddito, abitazioni, Meridione e tutela dei territori; c) la tendenza alla semplificazione, e dunque alla soluzione autoritaria, dei problemi sociali.

Su altre questioni occorre ammettere di aver visto palesarsi ipotesi parecchio diverse rispetto a quelle messe nero su bianco dai governi di centro-destra e centro-sinistra degli anni precedenti. Il che costituisce un problema serio, non risolvibile con la pura e semplice condanna dei punti più infami. Del resto non è una novità che la reazione “populista” si presenti sempre in forme differenti dal liberismo puro e semplice, perché seleziona alcune figure sociali che annuncia di voler difendere assicurando che saranno altre a pagare il prezzo di quel “salvataggio”. E’ qualcosa di più della sola guerra tra poveri, attiene anche alla scomposizione e/o sopravvivenza di pezzi di borghesia nazionale.

Se vogliamo combattere con efficacia la partita che si va aprendo, bisogna inquadrare bene la sua natura.

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