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Firenze. Le mani dei renziani sull’acqua, il nuovo petrolio

La voragine che si è aperta sul Lungarno, in pieno centro, a due passi da Ponte Vecchio, è un cazzotto in faccia al renzismo. Tutta la presunta “efficienza” del decidere senza ascoltare nessuno – tantomeno i cittadini – è sprofondata insieme alle auto parcheggiate in quel punto.

Nonostante il pervicace silenzio osserveto dal più cinguettante dei premier (quello che un anno fa tuonava “vergogna” contro il sindaco di Messina per la rottura di un acquedotto gestito da… privati), è ormai evidente a tutti che questo crollo certifica quanto valga la classe “politica” emersa al seguito del contafrottole in odor di massoneria: meno dei fondali di cartone celebri al tempo del fascismo storico.

I cittadini del Comitato Gavinana – che su sanità ed acqua pubblica hanno dimostrato di poter “addentare” il potere fiorentino – segnalano questa ricostruzione degli assetti proprietari di Publiacqua, il management storico dell’azienda e le sue politiche di gestione. Tratto da http://www.lettera43.it/.

In Publiacqua si intrecciano gli interessi del Giglio magico, dei francesi di Suez e di Caltagirone. Gli utili? Pochi in manutenzione, tanti agli azionisti, tra cui Acea“.

Buona lettura…

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Alessandro Da Rold

A poco più di 24 ore dal crollo su Lungarno Torregiani di Firenze per le perdite all’acquedotto, c’è già una poltrona che inizia a cigolare nel consiglio di amministrazione di Publiacqua, societa partecipata da Acea (40%) e dal Comune di Firenze più altri enti locali (60%), che gestisce il sistema idrico di una buona fetta di comuni in Valdarno.
È quella dell’amministratore delegato Alessandro Carfì, tirato in ballo dal sindaco fiorentino Dario Nardella – successore del premier Matteo Renzi e suo braccio destro in città – per responsabilità e per presunti ‘errori umani’ sulla voragine che ha squarciato una delle città più belle d’Italia e del mondo.
Carfì non è un nome qualunque. Perché si tratta dell’unico non renziano nel board della municipalizzata dove presidente è il renzianissimo Filippo Vannoni, collezionista di incarichi pubblici, consulente del governo, marito di Lucia De Siervo, figlia di Ugo De Siervo, ex presidente della Corte costituzionale.
L’INCHIESTA DELLA MAGISTRATURA. La magistratura ha aperto un’inchiesta per crollo colposo e non è detto che nei prossimi giorni possano partire i primi avvisi di garanzia.
Certo fa un certo effetto vedere il nome di Carfì già traballante, anche perché questo giovane ingegnere romano, classe 1968, è arrivato in Publiacqua appena due anni fa, dopo una lunga guerra di potere e di poltrone tra il Partito democratico, l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino, quello di Firenze Matteo Renzi, i francesi di Suez e il gruppo Caltagirone, questi ultimi azionisti di Acea al 12% e al 15%.
D’altra parte la nomina di Carfì, marito dell’ex assessore al Comune di Roma Alessandra Cattoi, fedelissima di Marino, arrivò proprio alla fine di un lungo braccio di ferro che portò poi Alberto Irace, ex amministratore delegato di Publiacqua, in Acea da numero uno.
IL BUCO DI ROMA E I DEBITI DI ACEA. Del resto sono molto delicati gli equilibri tra la società che gestisce il servizio idrico di Firenze e la municipalizzata romana, da anni indebitata e tra le cause del buco milionario di Roma Capitale. È una partita che riguarda la gestione dell’acqua pubblica nel centro Italia e che segue una polemica annosa proprio su Publiacqua, perché da almeno sei anni tante associazioni, come il laboratorio politico Per un’altra città di Ornella De Zordo, la stessa Federconsumatori o il Forum Italiano dei movimenti per l’Acqua, hanno sollevato dubbi sulla gestione di una società che, dall’inizio della gestione renziana nel 2009, ha mantenuto bollette tra le più care in Italia (a Firenze un cittadino paga quasi quattro volte quanto sborsa un milanese: 301 euro contro 82 per 120 metri cubi l’anno) continuando a macinare utili senza però investire adeguatamente sulla manutenzione degli impianti, con tubature ferme ai tempi di ‘Firenze Capitale e alla Belle Epoque’ e sprechi di acqua pari al 51% (dati 2015, ndr), citando il bilancio del 2010 firmato dall’ex presidente Erasmo D’Angelis, ora direttore de l’Unità.

Esposti in procura e soldi ‘scomparsi’

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Il sindaco di Firenze Dario Nardella e il presidente di Publiacqua Filippo Vannoni

Come mai Publiacqua non ha mai investito nella manutenzione?

Già nel 2014 il Forum per l’Acqua pubblica di Rosanna Crocini chiese spiegazioni all’Autorità Idrica dove fossero finiti ben 69 milioni di investimento della società nel triennio che va dal 2010 al 2013. «Non abbiamo mai ricevuto risposta e abbiamo fatto diversi esposti alla magistratura», spiega a Lettera43.it.
Non solo. Sempre in un esposto alla procura di Pistoia, il Forum dell’acqua ipotizzava il reato di appropriazione indebita. Il riferimento era alla quota tariffaria del 7% come remunerazione garantita degli investimenti che il referendum del giugno 2011 sull’acqua pubblica aveva eliminato ma rimasta in bolletta.
Dove sono finiti quei soldi? L’unica certezza è che gli incrementi tariffari – i ricavi dal 2002 al 2010 sono pari al 92%, quasi raddoppiati – non hanno generato aumenti proporzionali negli investimenti.
I RAPPORTI CON ACEA E IL RUOLO DI GIANI. Parte dei problemi risiedono anche nel rapporto con Acea, perché la maggior parte dei profitti di Publiacqua – un’azienda che da qui al 2021 prevede un incremento di utili di quasi il 150%, con livelli di crescita da far invidia alle imprese petrolifere – vanno proprio nella municipalizzata romana, che è socio di minoranza, ma che in realtà ha le redini della società toscana.
Anche per questo motivo il consiglio di amministrazione di Publiacqua è il ritratto di un delicato equilibrio di poteri, ben rappresentato da Giovanni Giani, manager Suez dal 1987, consigliere di amministrazione sia a Firenze sia a Roma, sia nelle altre piccole partecipate toscane come Acque Blu Fioretine o Nuove Acque Spa.
Giani è pure nell’Aicom, la società di ingegneria che controlla la startup Cys4 di Marco Carrai impegnata nel settore della cybersecurity. «È il modello di gestione dell’acqua pubblico-privato che piace tanto a Renzi e che impone di investire gli utili in parte nella remunerazione del capitale e in parte in fondo investimenti, anziché nella manutenzione delle strutture come sarebbe necessario», scrive in una nota ‘Per un altra Città’, dove si ricorda che  non è stato ancora fatto nulla per «l’amianto che ancora accompagna ben 225 km di tubature di Publiacqua».
INGEGNERIA TOSCANA E LE GARE SOTTO LA SOGLIA DI CONTROLLO. Altri dubbi sono sorti dopo la nascita di Ingegneria Toscana Srl nel 2010, altra controllata di Publiacqua nata sotto la gestione di D’Angelis. Un poltronificio politico che nel solo 2015 ha gestito oltre 200 gare, trasformandosi di fatto in una stazione d’appalto dove la maggior parte delle gare risulta con un solo partecipante e altre riguardano importi di 39.900 euro, fissati per evitare il limite di 40 mila euro che rende necessario il controllo dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici.
Del resto Publiacqua è da sempre la fucina della classe dirigente renziana: nell’attuale consiglio di amministrazione siede Simone Barni, organizzatore del Pd di Prato, poi Andrea Bossola, anche lui in arrivo da Acea, quindi Carolina Massei, coordinatrice della Leopolda.
Un tempo nel consiglio di amministrazione sedeva anche Maria Elena Boschi, attuale ministro per le Riforme.
Insomma il Giglio magico ha da anni le mani nell’acqua che, come insegna Michael Burry, il titolare dell’Hedge Found Scion Capital interpretato da Christian Bale nel film The Big Short, è il vero investimento da fare nel futuro. Forse più del petrolio.

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