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Fedeli a Renzi, forse, non certo all’Istruzione…

L'istruzione dei cittadini è un pericolo da evitare a qualsiasi costo… L'antica regola – accantonata per qualche decennio, nella seconda metà del XX secolo – sembra tornata in auge con prepotenza. Non si spiegherebbe altrimenti la lunga lista di ministri estranei alla materia inviati a ricoprire il ruolo (dalla Gelmini a Letizia Moratti, a Fioroni), oppure palesemente incaricati di distruggere scientificamente – conoscendone i meccanismo di riproduzione – la macchina della diffusione del sapere (Luigi Berlinguer su tutti, il vero terminator dell'università italiana).

L'unica novità del governo Gentiloni rispetto a quello Renzi riguarda per l'appunto questa poltrona. Via Stefania Giannini, che porta la cattivissima fama dell'infame riforma chiamata “buona scuola”, e dentro Valeria Fedeli.

Vabbeh, dirà qualcuno, è un governo di “responsabilità nazionale” destinato a restare solo qualche mese, non si possono are grandi danni supplementari in così poco tempo… In effetti può esser vero, ma testimonia comunque della zero considerazione per un modo da cui dipende la qualità – intellettuale – della popolazione futura di questo paese.

Valeria Fedeli ha una lunga e non brillante carriera sindacale in Cgil, prima nella funzione pubblica e poi – per dieci anni – come segretaria dei tessili. Si è distinta per la “morbidezza” con cui ha accompagnato i processi di dismissione della chimica italiana, senza opporre mai neanche l'impressione di una resistenza. Del resto, i suoi non estimatori in Cgil la consideravano ironicamente “a destra di Goering”.

Da ministro dell'istruzione non ha neppure fatto in tempo a salire le scale di Viale Trastevere che già viene investita da una denuncia (chiamarla “polemica” sarebbe un ridurla a chiacchiera): non è laureata.

Da comunisti, sappiamo bene che non sempre è necessario esserlo per poter svolgere bene un ruolo politico di primo piano (basti pensare all'immensa opera sindacale di Di Vittorio per rendersene conto). E siamo quasi nostalgici dei tempi in cui gli operai entravano in buon numero in Parlamento. Ma se la cultura ufficiale degli ultimi governi è quella del “merito” e della “competenza”, beh, allora c'è qualcosina che stona (anche Lorenzin e Poletti ne hanno fatto volentieri a meno). Specialmente in un ministro che dovrebbe occuparsi di scuola e università. Aver almeno frequentato quest'ultima, in fondo, permetterebbe di avere un'idea anche vaga dei problemi che dovrebbe addirittura gestire.

Ma c'è di peggio. Il non aver conseguito una laurea sarebbe comunque un deficit minore, se non la neomistra non avesse tentato di attribuirsene surrettiziamente una…

La pietra dello scandalo è stata sollevata da un fronte ignobile come quello del “Popolo della famiglia”, ovvero da quel Mario Adinolfi noto esclusivamente per le paranoie integraliste sulla “teoria gender” e dintorni. Ma è comunque una pietra facilmente verificabile.

Nel suo curriculm pubblicato online, la Fedeli si fregia infatti di un «diploma di laurea» in Scienze Sociali conseguito presso la Scuola per Assistenti sociali Unsas di Milano. Un diploma, non una laurea, e nemmeno assimilabile alla attuale “laurea breve” (quella triennale, introdotta appunto dal suo più noto predecessore, terminator Luigi Berlinguer, insieme a molti altri meccanismi degenerativi).

Per carità, siamo tutti italiani… Ossia consapevoli che un “pezzo di carta” da appendere in salotto non si può negare quasi a nessuno… In ogni caso il diploma della Fedeli dovrebbe essere se non altro più serio della “laurea” comprata dal Trota a Tirana…

Però… Se quel ditirambico “diploma di laurea” fosse rimasto appeso in salotto, sia pure online, di una sindacalista “pragmatica e riformista” (lo dice lei…), anche se poi arrivata alla vicepresidenza del Senato, nessuno ci avrebbe fatto caso. Nessuno l'avrebbe trovato inadeguato a garantire la professionalità richiesta dall'incarico.

Insomma, se anche a lei avessero dato un mistero qualsiasi, magari non di primissima fila, tutto sarebbe rimasto sottotraccia. Messa all'istruzione, invece, dà proprio l'idea che la "non conoscenza" sia stata incaricata di "tenere sotto controllo" l'evoluzione della conoscenza. Brutta cosa, insomma…

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