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Voucher, si tenta la furbata per evitare il referendum

Come evitare il referendum sui voucher? Facendo finta di limitarli ai “lavoretti”. L’inesauribile macchina legislativo-truffaldina del governo è al lavoro per realizzare l’ennesimo miracolo, contando sull’acquiescenza della Cgil da un lato e sulla fintissima "opposizione" della Lega.

L’idea principale su cui i team di Giuliano Poletti e Cesare Damiano hanno lavorato viene presentata come “radicale”, nella speranza che la commissione parlamentare possa farne la base per un testo unitario da approvare rapidamente. Cosa significa “radicale”? Non certo l’abolizione dei maledetti buoni-lavoro, ma il semplice ritorno alla legge del 2003 che li aveva istituiti. Di fatto, la limitazione dell’uso del voucher alle famiglie (per retribuire badanti, baby sitter, ecc), all’amministrazione pubblica per le “emergenze” o gli “eventi” tipo Expo, lavori effettivamente stagionali come alcuni effettualti in agricoltura. La certezza di evitare – come si usa dire – gli “abusi” che hanno portato la cifra dei voucher utilizzati nel 2016 a oltre 133 milioni sta però nelle esclusioni. Ovvero nell’indicare esplicitamente quali comparti produttivi non sono autorizzati a farne uso. E quindi si dovrebbero vietare nell’edilizia, ovviamente nelle attività manifatturiere, nei servizi e nel turismo.

Ma scrivere una legge sul mercato del lavoro che limiti in qualche misura l’arbitrio dei “datori di lavoro”, specie in Italia, è da decenni uno scrivere sull’acqua "divieti" facilmente aggirati per carenza di controlli. In ogni caso, un testo del genere potrebbe essere accettato dalla Cgil, che non aveva chiesto ai tempi nessun referendum e tantomeno aveva mobilitato i lavoratori per contestarne l'introduzione.

Ma anche una norma così lasca (nella pratica) viene ritenuta “eccessivamente limitante”, sia in larghe parti della maggioranza (alfaniani in testa), sia e soprattutto dai leghisti, che pure ufficialmente sbraitano in tv di voler difendere i “lavoratori italiani”. Questa non inedita alleanza vorrebbe spostare il vincolo all'uso dei voucher dal tipo di mansione e dal comparto economico alla dimensione d’impresa; e quindi ammettere i voucher anche per le microimprese, quelle con al massimo un dipendente. Cosa cambia? Che i voucher resterebbero legali per oltre 2,5 milioni di “aziendine” di qualsiasi settore. In pratica, come adesso, perché in molte aziende – anche medio grandi – affidano subappalti a imprese più piccole, anche all’interno del perimetro aziendale di lavorazione. Di fatto, per esempio nell’edilizia, si potrebbero continuare ad utilizzare anche nei grandi cantieri “imprese a zero dipendenti” (un lavoratore a partita Iva, per esempio) che ufficialmente pagano con voucher uno o più “dipendenti temporanei”. Soprattutto quando avviene un incidente e bisogna coprire il fatto che stava lavorando in nero.

Una ipotesi, questa leghista-alfaniana, un po’ troppo vorace, perché potrebbe vanificare lo scopo per un cui un decreto legge o una legge di “riforma” dei voucher è stata messa in cantiere: evitare il referendum. Qualsiasi corte, infatti, potrebbe facilmente dimostrare che il “nuovo” testo non supera affatto le ragioni indicate da chi ha raccolto le firme.

E’ più che risaputo che neanche la Cgil vuole davvero arrivare al voto – si sommerebbe all’effetto 4 dicembre, indebolendo ancor più l’immagine del Pd e la tenuta del governo – ma qualche cosa le va dato per poterle far dire di “essere soddisfatta” dei risultati raggiunti.

Che poi si continui a schiavizzare lavoratori ultra-precari, pare non interessare a molti, all’interno di quei palazzi…

 

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