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Il Pd si sfascia sui candidati-nominati e su una legge elettorale scritta da dementi

Il Partito Democratico corre verso la catastrofe, impiccato a una legge elettorale scritta per far fuori i concorrenti, soprattutto quelli nuovi. E’ la stessa implosione che va vivendo la sua “costola sinistra”, Liberi e uguali, con gli stessi problemi, la stessa “cultura politica” (diciamo…) e la stessa indifferenza verso gli elettori.

Diciassette ore di discussione in direzione nazionale non hanno ridotto le distanze tra gli appetiti dei renziani e quelli delle minoranze interne (Orlando ed Emiliano), preparando una piccola esplosione di cui ora bisognerà vedere dimensioni e conseguenze. I sondaggi, da mesi, registrano impietosamente la perdita di appeal del gruppo di pirati insediatosi al Nazareno per pura ottusità politica del vecchio ceto politico (a forza di “inseguire il nuovo” si sono auto-delegittimati come “vecchiume inguardabile”, aprendo le dighe a qualsiasi scorreria). Ora sembra plausibile un nuovo drastico smottamento, dato che niente e nessuno potrà mettere una toppa sull’indecoroso balletto intorno alle caselle “sicure” da riempire.

In quale direzione avverrà tale frana non è facile dire. L’alveo naturale sarebbe in teoria quello dei bersanian-dalemiani, ma sono in questo momento frantumati dagli stessi assilli, accoltellamenti, faide e ripicche. I Cinque Stelle non godono per nulla di buona fama, in quella fetta di elettorato. La destra, per quanto sdoganata da quattro anni di renzismo, puzza un po’ troppo di Caimano e fascismo per essere un approdo di massa. Più probabile, dunque, che lo smottamento vada ad infoltire la marea dell’astensionismo.

Colpa di una legge elettorale idiota e anti-costituzionale, scritta pensando proprio al momento di stabilire le candidature, con l’assillo di affidare al “centro” (di qualsiasi partito o coalizione) il potere di vita o i morte sulle carriere individuali.

Per i non addetti ai lavori, il rosatellum è un pastrocchio difficile anche da descrivere.

In teoria è un sistema per due terzi proporzionale. L’Italia è stata infatti divisa in 63 collegi plurinominali, in cui ogni lista o coalizione nomina un listino brevissimo (da due a quattro persone). Per le liste “sicure” di superare la soglia di sbarramento al 3% questi listini sono un “paracadute” cui ambiscono tutti i pretendenti ad un seggio in Parlamento.

Anche nel caso di liste molto forti, però, difficilmente la “certezza” di farcela va al di là del primo nel listino. Dunque la guerra tra i candidati avviene su chi debba essere il numero uno in ognuno dei 63 collegi proporzionali.

Complicazione ulteriore. Nel listino debbono obbligatoriamente essere indicati un uomo e poi una donna, o viceversa. Basta così? No, naturalmente. A livello nazionale la distribuzione di genere deve rispettare almeno la quota prestabilita dalla legge: ovvero ogni genere deve avere almeno il 40% delle candidature. Ne deriva che gli organi centrali di ogni lista debbono per forza di cose intervenire per “riequilibrare” le candidature, nel caso fossero state decise a livello territoriale (ma è una prassi ignota al ceto politico; solo Potere al Popolo ha scelto così i suoi candidati).

Stessa imposizione per i collegi uninominali, a maggioritario secco (chi prende un voto in più, tra le varie liste, si prende tutto il collegio), che selezioneranno un terzo dei deputati.

Idem per il Senato, con la complicazione ulteriore che in questo caso “l’equilibrio di genere” (almeno 60/40) va raggiunto a livello regionale, anziché nazionale.

Una legge fatta per far litigare, diciamo pure. Per evitare traumi devastanti come quello che stanno vivendo Pd e Leu occorre un dominus indiscutibile (Berlusconi tra i suoi, e forse Salvini tra i fascioleghisti), oppure la serenità di chi affronta questa sfida sapendo che non c’è alcun “posto sicuro”, visto che la soglia di sbarramento è già di suo il principale ostacolo-obiettivo.

Naturalmente, anche Potere al Popolo ha avuto i suoi momenti problematici, costretta a destreggiarsi tra ostacoli “tecnici” posti dalla legge (per chi non era già in Parlamento, e dunque doveva raccogliere le firme, c’era l’ulteriore obbligo di raccoglierle collegio per collegio su moduli diffusi dal ministero e recanti i nomi dei candidati in quel collegio…) e qualche raro imbizzarrimento frutto delle vecchie logiche da “manuale Cencelli”. Ma li ha rapidamente risolti grazie a una buona dialettica tra compagni ed alla diffusa consapevolezza che in ogni caso non c’erano “posti a tavola da distribuire”. Soprattutto, li ha risolti sapendo che questa “pazzia” può aver successo solo se rispetta fino in fondo le attese che suscita, le premesse che ha posto; senza nostalgie verso tempi e condizioni superati dalla storia.

Per il Pd (e Leu, Forza Italia, Lega, ecc) il problema è esattamente opposto. E dunque ogni capo vuole in lista soprattutto i propri fedelissimi, pensando già a una guerriglia parlamentare durissima, stretta come sarà tra randellate provenienti dall’Unione Europea e pochissime risorse da distribuire ai clientes.

Cosa possiamo aggiungere? Continuate così, fatevi del male….

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