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Uno sciopero, più politico che generale

Oggi è la giornata di sciopero generale convocata da una lunga serie di organizzazioni sindacali di base (Cub, SiCobas, AlCobas, Adl, Sgb, Usi). Non figurano tra i promotori altre organizzazioni sindacali come Usb, Confederazione Cobas, Unicobas, Slai Cobas.

Sono previste otto manifestazioni in diverse città: Milano, Torino, Padova, Firenze, Roma, Napoli, Taranto, Palermo, Catania.

I settori in cui lo sciopero potrà mordere di più saranno distribuiti a macchia di leopardo, sia geograficamente che per categorie. Si punta molto sulla logistica e in un paio di città sui trasporti locali. In tutti gli altri settori, sulla base delle esperienze fin qui acquisite, difficilmente lo sciopero riuscirà a mordere con efficacia.

La piattaforma su cui è stato convocato lo sciopero è molto ampia: dalle questioni più tradizionalmente legate al mondo del lavoro (Fornero, riduzione orario, aumento salari) all’antirazzismo ma soprattutto, sostengono le organizzazioni promotrici, è uno sciopero contro il governo e la “cosiddetta manovra del popolo”. Dunque uno sciopero più politico che sindacale. Una dimensione che i sindacati di base, negli anni passati, hanno spesso praticato a causa proprio dell’inconsistenza della opposizione “politica” di fronte al bulldozer dei poteri forti sia a livello europeo che nazionale.

In almeno un paio di occasioni abbiamo potuto verificare come tra le lavoratrici e i lavoratori sia scattata più forte la molla allo sciopero “politico”, piuttosto che a quelli legati alle classiche vertenze di carattere sindacale. La memoria e l’esperienza vanno alla riuscita dello sciopero generale dell’ottobre 2016 contro il governo Renzi, alla vigilia del referendum controcostituzionale, e poi allo sciopero internazionale delle donne l’8 marzo del 2017, che sorprese un po’ tutti.

In tal senso “politicizzare” uno sciopero generale può rivelarsi una decisione coraggiosa e credibile. Ma in questo caso il contesto, politico appunto, ha il suo peso.

Lo sciopero generale di oggi viene annunciato come il primo sciopero contro il governo Lega/M5S. L’Usb aveva proposto di spostarlo a novembre, quando inizierà la discussione in aula della Legge di Bilancio, in modo da renderlo più robusto e soprattutto just in time rispetto al dibattito ne paese. Ma questi altri sindacati (animati spesso da una insana competizione di principio proprio verso Usb) hanno preferito mantenere la data del 26 ottobre.

E’ dunque uno sciopero contro il governo in carica e la sua “manovra del popolo”, nella quale stanno via via perdendo peso tutti gli elementi “di rottura” con cui M5S e Lega hanno raccolto e continuano a raccogliere consensi nella popolazione: cancellazione Legge Fornero, introduzione Reddito di Cittadinanza. Se si parte infatti solo dai “conti in ordine”, è evidente che la tendenza sia quella di riforme a costo zero, reperendo risorse solo con spostamenti sui vari capitoli di spesa.

Quella quota di risorse in più che si vorrebbero mettere sul tavolo, deve infatti fare i conti – come facilmente prevedibile – con i diktat della Commissione europea, il Fiscal Compact e il partito trasversale dello spread. Il governo in carica si trova adesso a dover decidere se piegare la testa di fronte all’Unione Europea o mantenere la barra come annunciato, rivendicando la sovranità sulle proprie scelte nel bilancio. La contraddizione c’è, si è aperta ed è visibile a tutti. Tranne, pare, che ai sindacati che oggi hanno convocato lo sciopero generale su una piattaforma simile e ripetibile con qualsiasi scenario politico.

E’ chiaro che i lavoratori non hanno e non avranno mai “governi amici” (in regime capitalistico). L’esperienza dei governi di centro-sinistra insegna. Il governo attuale è parte dello stesso campo ma dissonante rispetto a quelli espressi dalle classi dirigenti precedenti.

Non a caso gli scioperi dei sindacati di base durante i governi del Pd non hanno mai beneficiato dell’ampia copertura informativa che ha invece riscontrato lo sciopero di oggi contro il governo M5S/Lega.

Ma appare difficile fare astrazione dal perdurante – e sotto molti aspetti quasi inspiegabile – consenso che questo governo trova ancora tra “la nostra gente”, cioè lavoratrici, lavoratori, operai, settori popolari. Un consenso che, per essere scalfito, ha necessità che le contraddizioni si manifestino con maggiore evidenza. Banalmente, che tutti possano scoprire il vuoto reale dietro le mirabolanti promesse elettorali su pensioni, reddito sociale, regime fiscale, welfare etc. L’unico dato acquisito è il carattere coercitivo, espresso dal Decreto Salvini, contro gli immigrati e le forme di lotta a disposizione dei settori popolari: blocchi stradali, occupazioni di case.

I sindacati che hanno organizzato lo sciopero generale di oggi possono replicare che “la soggettività” non può attendere oltre, quindi la funzione dello sciopero politico contro il governo dovrebbe suonare come sveglia al paese e indicare già dal 26 ottobre che il “re è nudo”.

Su questo congetture e argomentazioni stanno a zero. Solo i fatti possono dimostrare se questa scelta è stata opportuna o prematura o se è stata solo una “marcatura” del territorio per affermare esclusivamente la propria esistenza.

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