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Lezioni genovesi: una cronaca ragionata

Il presidio antifascista è convocato per le 16:30, mentre il comizio di CasaPound è previsto per le 18:00 di giovedì 23 maggio.

Non è una iniziativa qualsiasi per due ordini di ragioni, anche se la notizia solo ad inizio settimana.

La prima è che si tratta della chiusura della campagna elettorale per le elezioni europee, e l’establishment politico ha attribuito alla formazione neo-fascista la funzione di incarnare la critica alla UE.

L’equazione che le élites liberali vorrebbero imporre al senso comune è semplice: “chi critica l’UE è fascista”.

Infatti tutto l’arco politico e sindacale – ma anche economico – è stato chiamato ad allinearsi dal documento di Confindustria che si è impegnata (unica voce udibile in questa campagna elettorale decisamente sottotono) a fare da vettore di un filo-europeismo, spinto già da inizio aprile, per restare agganciata all’UE a guida franco-tedesca di stampo carolingio che è stata sancita ad Aquisgrana.

La critica della UE è quindi scomparsa, e quale funzione migliore da far svolgere ai fascisti – manipolati e manipolabili – di essere i “delegati politici” del sentimento anti-UE che contraddistingue le classi popolari e la “rabbia delle periferie”?

Secondo fattore. Genova è una città “ostile” per i fascisti storicamente. Una città su cui i “camerati” covano da tempo una volontà di rivincita non proprio velata, avendo visto con l’elezione di Toti e poi di Bucci, e delle maggioranza che li sostiene, una chance per acquisire quel terreno che è sempre stato loro negato: più che per “radicarsi”, secondo l’ottica della presunta destra sociale, per “rappresentarsi”.

Dopotutto era stata sostenuta da tempo, dai media mainstream, una vera campagna di legittimazione in loro sostegno e Garassino in giunta si era prestato – ma non solo lui – a dar loro un incredibile spazio.

Il governatore della regione e il sindaco si sono prestati anche questa volta al ruolo di “utili idioti” di una forza politica che – come hanno impietosamente mostrato – raduna pochi mentecatti; e che senza il “servizio d’ordine” messo in piedi dallo Stato (300 poliziotti, gabbie, mezzi pesanti, ecc.) sarebbero stati spazzati in malo modo via da un presidio di alcune migliaia di persone, comunque assai numerose già al momento del concentramento.

Tanto per esser chiari: nessuno ha voluto ricordare, prima del “comizio”, la sfilza di aggressioni di cui questi soggetti sono stati responsabili anche in città…

Ma la tenuta del “comizio” è stata un atto di forza poliziesco, con una piazza principale blindata sin dalla mattina, i commercianti costretti a “chiudere bottega”, il traffico in tilt in una situazione di congestione che, con lo sciopero di 24 ore del porto ed i relativi blocchi, era già alta.

Se poi un sindacato di polizia prende  apertamente parola il giorno dopo per criticare la gestione, ponendo l’accento sulla “prevenzione” di ipotetici prevedibili turbamenti dell’ordine pubblico, qualcosa vuol dire…

Ragioniamo su alcuni dati “a caldo”.

Il primo dato è la determinazione in quello che si è andato a configurarsi nel classico “muro contro muro”: se nessuno all’interno dei vari ruoli di responsabilità si fa carico della contrarietà di un tale evento politico da parte di una importante parte della popolazione (tra cui tutta l’opposizione istituzionale ed i “corpi intermedi” della sinistra) ed anzi fa di tutto “per mostrare i muscoli”, allora vuol dire che in molti cercano di “gettare benzina sul fuoco” delle già poco sopportabili condizioni di vita in una città ferita dal crollo del ponte – 43 morti, centinaia di sloggiati, la congestione logistica e nessuno che fino ad ora abbia pagato o sia stato privato di qualcosa (tipo Autostrade per l’Italia) – affetta da disoccupazione strutturale, impoverimento dei servizi, dissesti idro-geologici, ecc.

Il secondo, è la settimana di mobilitazioni che ha vissuto la città; il che le ha fatto riacquisire un nuovo orgoglio ed una rinnovata capacità di incidere: lo sciopero e il presidio vittorioso contro “la nave della morte” saudita di lunedì, la mobilitazione degli insegnanti contro i provvedimenti per la docente in Sicilia mercoledì, lo sciopero di 24 ore in porto dello stesso giovedì, e ieri le mobilitazione del Friday For Future.

Il terzo dato è una “trasmissione di forza”: “se a Le Havre non caricano una nave, perché non proviamo a farlo anche noi” – andando oltre la denuncia più volte reiterata del porto come hub militare -; ed ancora, “se a Casalbruciato, Firenze, Bologna si attivano in modo così determinato contro i fascisti, nonostante la repressione, perché noi dovremmo stare in un angolo a dissentire senza cercare di incidere su questa realtà di cui il neo-fascismo è solo il volto più odioso”?

Sia detto ha chiare lettere: sulle vittorie si costruisce, mentre sulle sconfitte si ragiona. O detto in termini “marxistoidi”: l’annosa questione del rapporto tra le condizioni oggettive e quelle soggettive si risolve col primato della prassi, al netto dell’impreparazione e dei limiti strutturali, talvolta anche lanciando il cuore oltre l’ostacolo.

In questo modo un cuneo si è mosso per sfondare le gabbie mezz’ora prima che il comizio iniziasse – e la piazza non è un pranzo di gala quando si decide di accettare lo scontro -, e dietro tutti quanti: il cuneo che batte ha forza se concentra sul vertice la spinta della base. In questo caso, l’appoggio fisico e morale del presidio.

Così una “force de frappe” ha canalizzato un odio ed una determinazione palpabile: avanguardia e base diciamo. Poteva essere altrimenti.

Poi avviene il secondo fatto significativo: il primo lacrimogeno viene lanciato molto distante dalle gabbie in piazza – colpendo e frantumando la vetrina di un celebre bar-pasticceria – con un intento preciso: disperdere la piazza e fare terra bruciata di quella profondità strategica del cuneo, semplicemente terrorizzando.

Che cosa poteva fare quel proiettile lanciato “a parabola alta” se fosse caduto sulla testa di un inerme manifestante?… Meglio non pensarci.

Il terzo fatto è che, nonostante i lacrimogeni lanciati poi anche in direzione delle prime file, i manifestanti hanno rimandato il mittente le “capsulette”, ritornando senza cedere terreno in un punto logisticamente impervio: in salita, per intenderci.

E così è accaduto per un’ora, così il comizio è stato disturbato anche dal fumo non proprio piacevole del gas, svuotandosi sembra, senza essere mai iniziato.

La capacità di tenuta, quindi.

Con questa dinamica, che ha spinto verso piazza Marsala i manifestanti di Corvetto, si è andato avanti per un poco, con le forze dell’ordine che avevano lasciato un’unica via di fuga, quasi che fosse stata preparata una tonnara, perché l’ostilità delle forze dell’ordine nei confronti di tutti e tutte era palpabile.

Qualcuno in alto loco deve avergli garantito che “manifestare è un reato”.

Capiamoci, il messaggio esplicito che si voleva mandare è: non si può manifestare, sia che tu sia lì a cercare di sfondare, o a cantare bella ciao con tua figlia e tua madre.

E poi veniamo al quarto fatto, assurto agli onori della cronaca per il feroce pestaggio di una persona inerme a terra, che si è rivelata poi essere un giornalista.

A comizio finito, si fa per dire, che bisogno c’era per la polizia di tenere la piazza in quel modo, far scendere da via Assarotti un plotone di polizia che presidiava l’accesso a Piazza Marsala ad una cinquantina di metri da Corvetto?

La risposta è: nessun bisogno, se non quello di punire; con un pestaggio violento, cariche feroci e lancio di lacrimogeni ad altezza viso ai manifestanti che ripiegavano su via Serra, unica via di uscita, spezzandolo.

Un particolare inquietante è che i manifestanti che cercavano di sottrarre al brutale pestaggio la persona poi rivelatosi un giornalista sono stati a loro volta caricati e manganellati. Il tutto sotto la vigile direzione probabilmente di chi impartiva ordini ed aveva ricevuto alte direttive.

Quinto fatto, il presidio, che non ha smantellato, si è trasformato in corteo per chiedere il rilascio dei due manifestanti fermati, presidiando la questura fino a tarda serata. Perché i compagni di lotta non si lasciano soli, e le distinzioni tra “buoni” e presunti “cattivi” fanno parte del linguaggio del nemico. Specie quando è lo stesso nemico a non distinguere nemmeno più tra un cronista e un manifestante…

“Il clima è cambiato”, aveva minacciosamente dichiarato il Questore ai giornali. Ma siamo di fronte al classico esempio di eterogenesi dei fini; sia di chi difende manu militari i fascisti sia di chi voleva farne un terreno per rifarsi una verginità che non ha mai avuto, rendendolo una pratica sterile buona per salotti televisivi e manifestazione estemporanee.

Il clima è cambiato, ipse dixit.

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