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“Attentato, attentato! Mi vogliono ammazzare!”. La sceneggiata di Salvini

Lo stile fa l’uomo, o almeno lo descrive. Lo stile di un signore di nome Matteo Salvini si vede ogni giorno, ma per capire l’abisso di falsità che esce quotidianamente dalla bocca di quest’uomo è necessario fermarsi su qualche dettagli. Interrompendo il flusso continuo che impedisce ogni esame critico.

Avete sentito certamente la storia del missile Matra e delle armi sequestrate a Torino a un gruppo di neonazisti italiani filoucraini. Bene, ieri a Genova il vicepremier nonché ministro dell’interno se n’è assunto per intero il merito. “L’ho segnalata io. Era una delle tante minacce di morte che mi arrivano ogni giorno. I servizi segreti parlavano di un gruppo ucraino che attentava alla mia vita. Sono contento sia servito a scoprire l’arsenale di qualche demente“.

Lasciamo perdere la delicatezza dei termini usati per dei nazisti armati fino ai denti (“demente”), che andrebbero confrontati con le parole usate per chi salva naufraghi in mare (“criminali”, rivolto a Carola Rackete). Concentriamoci invece sul merito di quel che dice.

L’ho segnalata io” dovrebbe significare che il ministro è così iperattivo da fare indagini per conto suo, pur comandando molte decine di migliaia di uomini addetti alla sicurezza. E chiaramente non può esser vero…

Era una delle tante minacce di morte che mi arrivano ogni giorno”, invece, dovrebbe significare che – ricevuta la minaccia – il ministro abbia passato l’informazione ai servizi di sicurezza. Ed in efetti finisce per ammetterlo subito dopo: “I servizi segreti parlavano di un gruppo ucraino che attentava alla mia vita”.

Risultato finale: mr. Salvini non ha segnalato un beneamato niente, anzi lo hanno informato. Millantato credito, un reato minore, comprensibile per un politicante senza qualità che cerca di apparire Mazinga (un po’ come il Razzi che diceva di “consigliare” Kim Jong Un sul modo di trattare con gli Usa).

Ma quello che gli interessa fissare nella testa della gente, grazie a servizievoli baciapile dell’informazione mainstream, è che lui – “Lui” – è nel mirino di forze oscure che vogliono ucciderlo. Perché uno così bravo, così vicino al popolo e agli evasori fiscali, così feroce coi deboli e disponibile coi forti, chiaramente è uno “scomodo”.

Vabbè, c’è quel particolare stonato che le armi erano di neofascisti, non troppo lontani dai suoi amici di CasaPound… Fossero state di altri “estremisti” sarebbe stato meglio, ma fa quasi lo stesso… L’importante è poter gridare “Attentato, attentato! Mi vogliono ammazzare!”

Tutto falso.

Semplicemente falso, come e più di Giuda.

Una nostra illazione? No, la smentita arriva direttamente dagli stessi servizi segreti. Basta leggersi l’articolo che oggi il Corriere della Sera dedica alla vicenda, affidandosi a uno dei cronisti di più lunga esperienza ancora in servizio (ne sono rimasti pochi) e in grado di districarsi con qualche equilibrio in un mondo di ombre come quello degli spioni.

Se lo stile fa l’uomo, in altre parole, in questo caso descrive un volgare venditore di tappeti tarlati. In debito d’ossigeno.

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L’attentato a Salvini e la spia dell’Est. Ma dalle verifiche nessun indizio

Giovanni Bianconi

La spia venuta dall’Est aveva riferito quasi un anno fa — agosto 2018 — di aver sentito parlare, in Ucraina, di un attentato contro il ministro dell’Interno italiano. Voci circolate in ambienti che conosceva e frequentava nella Repubblica sul Mar Nero, niente di più preciso. Ricevuta l’informazione, servizi segreti nostrani e polizia di prevenzione si mettono al lavoro, alla ricerca di qualche appiglio per verificarne l’attendibilità, ma senza risultato: non trovano alcun riscontro all’ipotesi di un progetto terroristico ai danni di Matteo Salvini.

L’unica conferma che si riesce a ottenere sul racconto del cittadino russo sedicente ex agente del Kgb, attiene a ciò che lo riguarda direttamente: effettivamente tanto tempo fa, negli anni Ottanta, ha avuto a che fare con gli apparati di sicurezza sovietici. Ma quel che ha detto di aver ascoltato in Ucraina rimane senza prove. Nemmeno un indizio.

Ciò nonostante, lo scrupolo degli investigatori antiterrorismo porta ad estendere le indagini — coordinate dalla Procura di Torino — su un altro fronte che poteva essere ricompreso nella soffiata dell’ex spia sovietica: quello dei miliziani reclutati in Italia per andare a combattere nella regione del Donbass, l’area orientale dell’Ucraina dove gli insorti filorussi hanno dichiarato guerra al governo di Kiev.

Sono così finiti sotto intercettazione alcuni aspiranti guerriglieri (estremisti di destra in realtà vicini al battaglione Azov, quindi nazionalisti e filogovernativi che contrastano gli insorti) per vedere se dai loro discorsi poteva affiorare qualcosa che potesse riguardare l’inquilino del Viminale. Ma ancora una volta, per intere settimane, le microspie non hanno registrato nulla di utile. Finché, circa quattro mesi fa, uno degli intercettati ha ricevuto la telefonata di un bolognese che gli proponeva l’acquisto di un missile, per il quale era stato a sua volta contattato. Sentendosi rispondere che si trattava di un’idea troppo pericolosa, per la quale si rischiava la galera. Tuttavia la sola proposta ha determinato l’avvio di una nuova indagine, separata e stralciata da quella iniziale e senza esito sul presunto attentato a Salvini. Per un ipotetico traffico d’armi.

Gli investigatori hanno seguito e intercettato il mediatore bolognese, finché hanno deciso di perquisirlo. Da lì è saltato fuori il missile, grazie a una fotografia inviata via WhatsApp da Fabio Del Bergiolo, il sessantenne di Gallarate che nel 2001 si era candidato al Senato per Forza Nuova (senza successo). A casa sua gli investigatori hanno trovato un arsenale di armi di varia provenienza: austriaca, tedesca e statunitense. Arrestato in flagranza, l’uomo ha svelato anche il segreto del missile, conducendo i poliziotti presso l’hangar di Rivazzano Terme dove era custodita l’arma aria-aria con esplosivo e propellente attivo. Che però, per essere lanciato, ha bisogno di un aereo.

Lo stesso Del Bergiolo ha chiamato in causa l’amico e collega d’affari Alessandro Monti. Ramo d’attività: commercializzazione aerei. Era stato lui a fargli vedere il missile e consentirgli di scattare le foto (in un altro deposito) per metterlo in vendita. Di qui il fermo di Monti e di Fabio Bernardo, l’altro titolare della ditta Star Air Service, su ordine della Procura di Torino. Reato contestato: violazione della legge 497 del 1974 contro la criminalità organizzata «per aver detenuto e posto in vendita un’arma da guerra del tipo missile aria-aria Matra R530 delle forze armate del Qatar, attivo e in perfetto stato di conservazione».

L’inchiesta prosegue ora soprattutto per capire la provenienza del missile e delle armi custodite da Del Bergiolo. In particolare sono stati avviati contatti con le autorità del Qatar, che si sono dichiarate e mostrate molto collaborative, per ricostruire i passaggi del missile prima di arrivare a Monti e al suo socio. Niente a che vedere, al momento, con l’estremismo di destra. E neanche con l’Ucraina o eventuali finalità di terrorismo. Men che meno con un possibile attentato al ministro dell’Interno. L’unico legame con le asserite minacce a Salvini sta nell’innesco dell’indagine: l’ex spia sovietica che nulla sapeva del missile scoperto a Rivazzano Terme.

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