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L’anniversario della “indipendenza” ucraina e i nazionalisti russi

“Oggi celebriamo il 32° anniversario della nostra indipendenza, dell’indipendenza ucraina. È la festa delle persone libere. È la festa delle persone forti. La festa delle persone dignitose. La festa delle persone uguali. Degli ucraini e delle ucraine. Di tutti in tutto il nostro stato… È questa l’Ucraina indipendente”. Parola del presidente nazigolpista ucraino Vladimir Zelenskij.

Cosa abbiano significato e significhino, storicamente e politicamente, le “indipendenze” proclamate oltre trent’anni fa nei Paesi baltici, nelle repubbliche del Caucaso, in Ucraina, la dichiarazione di sovranità statale della RSFSR del 12 giugno 1990 e della RSS bielorussa il 27 luglio dello stesso anno, lo vediamo bene, purtroppo, oggi.

Contro chi e contro cosa, da chi e da cosa venissero allora proclamate quelle “indipendenze” e quelle “sovranità”, è cosa nota. A dicembre del 1991, la criminale collusione del russo Boris El’tsin, dell’ucraino Leonid Kravchuk e del bielorusso Stanislav Šuškevic siglava la dissoluzione a tavolino dell’Unione Sovietica.

La cosiddetta “nezaležnost” (“indipendenza” – da qui “majdan Nezaležnost”: piazza Indipendenza, a Kiev) del 2014 ha avuto la propria incubazione nella “nezaležnost” di oltre trent’anni fa e nel “primo majdan” del 2004; ma non è cominciata da lì.

È iniziata molto prima; anche se alcune definizioni, espresse da esponenti russi, vanno prese per quelle che sono: la contrapposizione di un nazionalismo a un altro nazionalismo e poco hanno a che fare con la storia e con un’analisi classista della realtà ucraina, russa, ecc.

Dunque: l’anniversario della “indipendenza”

Sul portale Politnavigator, Mikhail Rjabov discute col leader di “Un’altra Ucraina”, Viktor Medvedchuk (a Mosca, non pochi rimproverano a Vladimir Putin di aver barattato la sua scarcerazione dalla galera ucraina con la liberazione di diversi squadristi di “Azov”), sul fatto se sia possibile fissare il momento in cui l’Ucraina abbia “preso la strada sbagliata”.

Quasi metà degli ucraini, osserva Rjabov, celebra l’anniversario dell’indipendenza fuori del paese e, complessivamente, la popolazione ucraina è oggi meno della metà di quella del 1991; mentre nel paese infuria la guerra, le persone muoiono, per ogni dove gli uomini vengono rastrellati in massa e mandati al fronte, la maggior parte degli altri vive nella paura e in miseria.

Si vede chiaramente che popolo e governo hanno intrapreso strade del tutto diverse. «Contro la volontà popolare, nel 2005, la visione di un corso congiunto con la Russia, in stati diversi ma nell’ambito della CSI, è stata sostituita con l’ideologia del risentimento politico contro l’intero popolo russo, la sua cultura e la sua storia», afferma Medvedchuk.

A dire il vero, si deve ricordare che non solo dal 2005 era proprio questo che veniva “teorizzato” dai nazionalisti ucraini: la questione risale almeno al periodo a cavallo tra XIX e XX secolo.

Ma, in generale, lo spirito nazionalista aveva caratterizzato l’Ucraina sin quasi dal XVI secolo, sia contro la dominazione polacca, che contro l’impero zarista, e sopravviveva in varie aree dell’Ucraina anche dopo la Rivoluzione d’Ottobre.

La base della “ideologia” dei nazionalisti ucraini del periodo tra fine 1800 e inizi 1900 era rappresentata dall’odio per la Russia, giustificabile contro l’oppressione zarista, ma che, per elementi come Dmitro Dontsov, transitava “fluidamente” anche nei confronti dell’Unione Sovietica.

Le teorie di Dontsov saranno in larga parte riprese dai nazionalisti ucraini che collaboreranno coi nazisti e verranno portate di nuovo alla ribalta con il golpe del 2014, dopo essere state apertamente rimesse in auge dopo la “dichiarazione di indipendenza” del 1991.

I “successi” della “indipendenza”

Di recente, Vladimir Putin ricordava come, in epoca sovietica, l’Ucraina fornisse «circa il 48% della produzione di acciaio dell’URSS, 33% di laminati, 53% di minerali di ferro, 30% di carbone, 38% di attrezzature meccaniche, 71% di zucchero…

Negli anni ’70, l’Ucraina era leader nello sviluppo di tecnologie avanzate… aviazione, industria missilistica e spaziale, ingegneria nucleare, cantieristica, industria elettrotecnica… il grado di sviluppo di trasporti marittimi, ferroviari e di condutture era uno dei più alti dell’URSS.

Parallelamente, erano cresciuti di molto redditi e qualità della vita. Secondo stime occidentali, il reddito nazionale pro capite ucraino nel 1970 superava quello dell’Italia».

Ovviamente, a Mosca, la causa della caduta verticale ucraina è vista nella rottura dei legami economici con la Russia.

Medvedchuk ricorda come la Russia costituisse per l’Ucraina non solo un solido partner, ma anche un sicuro mercato di sbocco, con introiti in valuta estera derivanti da esportazioni, salari e posti di lavoro, redditi da transito di petrolio e gas, con contorno di bassi prezzi energetici, investimenti bancari.

Non sfruttare questo potenziale, afferma l’ex candidato alle presidenziali del 2019, è stato «quantomeno miope e oltretutto criminale nei confronti del Paese. Non potevano non saperlo». I “curatori” occidentali dell’Ucraina lo sapevano benissimo e a questo puntavano.

Ecco quindi che nel 2016 viene revocata la moratoria sulla vendita dei terreni agricoli, poi accaparrati dalle multinazionali occidentali (Cargill, Monsanto, DuPont) per cifre irrisorie. Col pretesto delle privatizzazioni, sono state saccheggiate anche le maggiori imprese strategiche industriali.

Gli ucraini hanno rinunciato ai propri interessi a favore dell’Occidente, dice ancora Medvedchuk: «Degrado, deindustrializzazione e deintellettualizzazione sono i vettori chiave delle politiche economiche, sociali e umanitarie che accompagnano la scelta filo-occidentale».

Il risultato è che l’Ucraina è l’unico paese post-sovietico che non ha raggiunto il livello del PIL del 1990 e nella classifica della Banca Mondiale si colloca al 59° posto. In termini di PIL pro capite, l’Ucraina è all’ultimo posto in Europa con 4.534 dollari.

In Europa e nel Global Food Security Index (Economist Intelligence Unit), l’Ucraina, un tempo uno dei principali esportatori alimentari, è ora al 71° posto su 113 paesi. A fine 2022, la disoccupazione aveva raggiunto il 26% e la situazione è aggravata dai milioni di persone che emigrano e dal rapido declino della popolazione.

Sempre nel 2022, l’Ucraina era all’ultimo posto in Europa per salario medio mensile, con 406 dollari. E anche all’ultimo posto in Europa e al 74°, su 167 paesi, nella classifica globale in termini di ricchezza (The Legatum Prosperity Index). Ultimo posto tra 42 paesi europei anche per potere d’acquisto, con 1.540 euro pro capite (ricerca di GfK Purchasing Power Europe).

Le valutazioni internazionali mostrano che nei 32 anni di “indipendenza”, l’Ucraina si è trasformata da gigante tecnologico ed economico in un paese di materie prime: il paese più povero e arretrato d’Europa.

La morte dell’Ucraina come stato non può più essere fermata, afferma ancora Medvedchuk. L’élite politica ucraina ha tradito in massa innanzitutto il proprio popolo; lo ha derubato, gli ha tolto diritti e libertà, lo ha disabituato a pensare e analizzare, lo ha ingannato sfacciatamente.

Essa ora, trasformato il paese in un poligono per le armi NATO, sta uccidendo quel popolo, ricavandone miliardi.

A un certo momento hanno iniziato a lavorare per svendere il paese ai padroni occidentali e non per il bene dei propri cittadini. Ma «la maggioranza degli ucraini, a differenza del loro governo di traditori, sono persone rispettabili e laboriose.

Meritavano un’atmosfera pacifica, di tranquillità; meritavano prosperità e condizioni politiche e sociali adeguate a far crescere ed educare i propri figli, invece di mandarli in guerra per gli interessi di altri».

Il pensiero filosofico e geopolitico di Aleksandr Dugin

Sembra non pensarla esattamente così il filosofo-geopolitico Aleksandr Dugin. Se, al pari di Medvedchuk, pronostica la fine dell’Ucraina in quanto “stato indipendente”, poi però, in un’intervista alle Izvestija, Dugin giustifica tale affermazione con la previsione per cui essa «rappresenterà sempre una minaccia terroristica per la Russia».

Il nazionalista reazionario Dugin detta la linea al geopolitico Dugin. «L’idea stessa di Ucraina» dice, cioè «l’Ucraina come idea di stato separato e indipendente, è un’idea terroristica… L’idea ucraina è peculiare solo nell’odio per i russi, per i grandi russi… gli ucraini sono parte di noi.

Ed ecco che in una parte del nostro popolo è nata l’idea del terrorismo. Sebbene siamo comunque fratelli, viviamo nello stesso Stato, abbiamo infatti conquistato queste terre agli stessi polacchi, agli austriaci, ai turchi».

Il nazionalista Dugin elimina d’un colpo settant’anni di storia sovietica – e, dunque, anche dell’Ucraina sovietica – per rimpiangere le conquiste zariste e, con esse, anche l’oppressione feudale dell’Ucraina.

Come ovvio, il nazionalista, qualunque nazionalista, ignora – scientemente o meno – la divisione in classi della società; da qui, una visione per cui “tutti” gli ucraini (ma potrebbero essere russi, o italiani, o francesi, ecc.) di per sé, quale tratto nazionale, sarebbero “terroristi”.

L’Ucraina, afferma Dugin, «è diventata uno stato terrorista ancor prima della sua apparizione… L’idea stessa ucraina è puro terrorismo, incarnazione di odio, razzismo, inimicizia ingiustificata verso i propri fratelli, revisione di tutti gli eventi storici, creazione di una storia assolutamente falsa, inventata, mostruosa, aggressiva e mitologica.

La comparsa dello Stato ucraino ha significato l’inizio del terrore, ed era inevitabile. Prima o poi il regime di Kiev doveva trasformarsi in una entità terroristica, quale è adesso. Nel 1991 abbiamo creato questa enclave terroristica con le nostre stesse mani».

Qui, la confusione – di nuovo: cosciente o meno – storica ha il sopravvento, arrivando a mischiare eventi molto lontani tra loro nel tempo. Se Dugin, per “comparsa dello stato ucraino”, intende il 1991, allora salta a piè pari un intero periodo storico.

E che periodo: l’epoca della rivoluzione socialista in Russia, con la proclamazione dell’indipendenza concessa a tutte le nazionalità oppresse dallo zarismo; il periodo della lotta a sangue, proprio in Ucraina, tra potere sovietico proclamato in una parte del paese e Rada borghese asservita alle truppe austro-germaniche…

Che Dugin abbia in mente il 1991, e non un altro periodo, lo confermerebbe l’affermazione secondo cui il «fatto che non ci siamo opposti per 30 anni, infatti, attribuisce questa colpa anche a noi. Non si può dire: “Sono cattivi”. Fin dall’inizio, quando iniziarono a parlare di “Ucraina indipendente”, ecco, in quel preciso momento bisognava inviare le truppe».

Ancora una volta: chi ha parlato, e quando, e con quali obiettivi, di “Ucraina indipendente”, contro cui si dovevano “inviare le truppe?

Bisogna davvero, come afferma Dugin, che «La statualità ucraina deve cessare di esistere. Non può essere altro che terrorista. E se ci siamo posti l’obiettivo della denazificazione e smilitarizzazione, allora saremo in grado di raggiungerlo solo stabilendo il pieno controllo su questa terra. Sulla nostra terra, dove gli ucraini sono sempre vissuti liberamente. E questa è la loro terra, questa è la loro patria. Noi non invadiamo questa patria. Invadiamo l’ideologia terroristica che lì domina».

Qualunque nazionalista ucraino potrebbe sottoscrivere almeno in parte queste affermazioni del nazionalista russo Dugin.

Dove e quando, esattamente, hanno avuto origine i tratti terroristici del nazionalismo ucraino, quali li vediamo oggi riversati nei banderisti neonazisti che dominano a Kiev e perseguitano, incarcerano, assassinano democratici e comunisti ucraini e popolazione russofona accusata sbrigativamente di essere “al soldo di Mosca”?

Certo, molto prima del 1991, avendo attraversato, senza eccessivi scossoni – e spesso con il tacito consenso delle élite “sovietiche” ucraine – buona parte degli anni ’60 e ’70 del ‘900.

Lenin e l’indipendenza ucraina

Nel Manifesto al popolo ucraino, stilato a dicembre 1917, Vladimir Lenin ribadiva «il diritto all’autodeterminazione per tutte le nazioni oppresse dallo zarismo e dalla borghesia grande-russa, fino al diritto di queste nazioni a separarsi dalla Russia».

Ma, si sa, Lenin era un “terrorista”, che ha “posto una mina sotto l’edificio chiamato Russia”. E continuava, il “terrorista”: «Per questo noi, SovNarKom, riconosciamo la Repubblica popolare ucraina [borghese e nazionalista, ndt], il suo diritto a separarsi completamente dalla Russia, oppure stipulare un accordo con la Repubblica Russa sui rapporti reciproci fra di esse su base federativa o simile…

Noi accusiamo la Rada del fatto che, dietro frasi nazionali, conduce una politica borghese ambigua, che già da tempo si esprime nel non riconoscimento, da parte della Rada, sia dei Soviet che del potere sovietico in Ucraina».

Pochi giorni più tardi, nelle Tesi sull’Assemblea costituente, ancora Lenin scriveva che «gli ultimi avvenimenti in Ucraina (in parte anche in Finlandia, Bielorussia e anche nel Caucaso) indicano in egual maniera un nuovo raggruppamento delle forze di classe, nel processo della lotta tra il nazionalismo borghese della Rada ucraina, del Sejm finlandese, ecc., da una parte, e il potere sovietico, la rivoluzione proletaria e contadina di ognuna di queste repubbliche nazionali, dall’altra».

Qualche anno prima, a maggio 1913, condannando le azioni squadristiche dei “centoneri” in Russia, Lenin aveva osservato che stava alzando la testa anche il nazionalismo di altre nazioni – polacchi, ebrei, ucraini, georgiani): «cercando di distogliere la classe operaia dai suoi grandi obiettivi universali, [la borghesia; ndt] con la lotta nazionale o la lotta per la cultura nazionale tenta di corrompere gli operai con parole d’ordine nazionalistiche».

A giugno 1917, Lenin riconosceva che «il popolo ucraino non si vuole separare dalla Russia. Esso chiede autonomia, senza negare in alcun modo la necessità e la supremazia del potere del “parlamento pan-russo”…

Nessun democratico può negare il diritto dell’Ucraina alla libera separazione dalla Russia: proprio il riconoscimento incondizionato di tale diritto e soltanto di esso, offre la possibilità di fare agitazione per la libera unione di ucraini e grandi-russi, di due popoli in uno stato».

E dunque, ancora una volta, è davvero l’intero popolo ucraino terrorista?

A proposito delle formazioni militari che si rifanno al collaborazionista Stepan Bandera (oggi eroe nazionale ucraino) e del ruolo del nazionalismo ucraino, e considerato il periodo dal X al XIX secolo, scrive Sergej Žil’tsov nel saggio “Storia della formazione dello Stato ucraino (prima del crollo dell’URSS)”, appare evidente come, tra Rus’ di Kiev, Orda d’oro, Lituania nell’ambito della Rzeczpospolita, Impero ottomano, Russia zarista, prima del 1918 non esistesse alcuno Stato ucraino come tale.

E l’Ucraina creata dai bolscevichi non costituiva una unità culturale-linguistica, dal momento che il territorio era sempre rimasto diviso tra imperi diversi: «Rzeczpospolita della Confederazione polacco-lituana, Impero russo e Impero austro-ungarico».

Žil’tsov afferma che il nazionalismo radicale di destra ucraino ha avuto origine nella Polonia orientale negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso. Sua incarnazione politica era l’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (OUN) di cui fu capo, dalla fondazione nel 1929, Evgen Konovalets.

Gli attuali nazionalisti ucraini si proclamano eredi delle tradizioni del OUN, il cui fondamento ideologico era il nazionalismo di Dmytro Dontsov, esponente del Partito operaio socialdemocratico ucraino (POSDU) piccolo-borghese.

Durante la Prima guerra mondiale, Dontsov era stato tra i fondatori dell’Unione per la liberazione dell’Ucraina, organizzazione nazionalista che cercava, appoggiandosi sulla monarchia austriaca (contro tale linea pro-germanica, sul giornale Borotba, si esprimeva un altro nazionalista ucraino, anch’egli membro del POSDU, Lev Jurkevič, definito comunque da Lenin rappresentante «del più ottuso e reazionario nazionalismo di bassa lega») di realizzare lo slogan di una Ucraina “samostijna” – indipendente, monoetnica e monoculturale.

Cioè, una “Ucraina per gli ucraini!”, governata da una “dittatura nazionale” che avesse tra i propri “principi” la fede nella nazione come valore supremo (“Ukraina ponad use” – “Ucraina sopra tutto”: un calco dal tedesco “Deutschland über alles” e oggi slogan dell’intelligence militare di Kiev) e la subordinazione di tutti gli interessi a quelli della nazione, l’esaltazione della violenza e della guerra, il culto degli eroi, insieme a razzismo e xenofobia, in particolare la russofobia.

Nel luglio 1913, Lenin, in polemica con la politica sciovinista grande-russa del Partito costituzionale-democratico (cadetto), aveva però difeso quei socialdemocratici ucraini che al Congresso studentesco pan-ucraino a L’vov si erano opposti alla risoluzione separatista proposta da Dontsov sulla “samostijna” dell’Ucraina.

Un anno dopo, in Sul diritto delle nazioni all’autodeterminazione, era tornato sulla questione, scrivendo che il giornale cadetto Rec aveva «pubblicato un articolo in cui sommergeva con le invettive più selezionate (“delirio”, “avventurismo”, ecc.) l’idea della separazione dell’Ucraina, idea caldeggiata dal nazional-sociale Dontsov e che era stata approvata dal congresso.

La “Rabocaja Pravda”, non solidarizzando affatto con il signor Dontsov e dichiarando apertamente che egli è un nazional-sociale e che molti marxisti ucraini non sono d’accordo con lui, aveva tuttavia precisato che il tono della “Rec”, o meglio: l’impostazione di principio della questione della “Rec”, è del tutto indegna ed è inammissibile per un democratico grande-russo o per una persona che desideri esser considerata democratica.

Confuti pure apertamente la “Rec” i sigg. Dontsov; ma, in linea di principio, non è ammissibile che un organo grande-russo, sedicente democratico, si dimentichi della libertà di separazione e del diritto di separazione».

Nell’aprile 1914, Lenin aveva scritto a Inessa Armand che il nazionalista ucraino Lev Jurkevic «sotto le insegne del marxismo, predica la divisione degli operai in base alla nazionalità e una particolare organizzazione nazionale degli operai ucraini… È terribilmente importante che dalle fila dei social-democratici ucraini si levi una voce in favore dell’unità, contro la divisione degli operai per nazioni».

L’esatto contrario di quanto sta facendo il filosofo Aleksandr Dugin, accusando “l’Ucraina in quanto tale”, e non i nazionalisti reazionari e i neonazisti e golpisti ucraini, di rappresentare una “idea terroristica”.

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1 Commento


  • Micele

    molto vero ed estremamente istruttivo

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