L’attuale crisi italiana è frutto diretto delle turbolenze del mondo multipolare che il Bel Paese semplicemente subisce, senza reagire, in balia di una classe politica home made che si accontenta di certificare un ruolo di totale subordinazione al “Partito Americano” così come alle oligarchie europee, in balia della centrifuga della Storia.
Le due formazioni che hanno formalmente governato fin qui il Paese, erano espressione di classi sociali incapaci per loro stessa natura di esercitare una egemonia durevole, figuriamoci costruire l’abbozzo di un “interesse generale”, e in una dinamica in cui le molteplici frizioni si sono tramutate in scontro, e in un giro di boa importante – vista l’agenda politica reale continentale – il governo grigio-verde si è sciolto come neve al sole.
Certo, “il comandante” ci ha messo del suo, giocandosi il tutto per tutto, ma alla luce dell’imminente sterilizzazione della sua maggiore arma di distrazione di massa su cui concentrare l’attenzione,gli sbarchi, e dopo avere incassato due vittorie su Decreto Sicurezza Bis e Tav, sapeva che sarebbe iniziato il piano inclinato della sua azione di governo e probabilmente il suo inesorabile declino.
La presidenza di una commissione europea che probabilmente non sarebbe stata data all’Italia (o almeno non ad una personalità gradita al governo), la manovra finanziaria “lacrime e sangue” che si prefigurava, i catastrofici dati economici del Paese, le scelte imperiose in termini di politica estera, erano uno scoglio troppo grosso da affrontare rimanendo indenni per la Lega mentre numerosi dossier sul tavolo targati M5S a lungo rimandati non erano certo graditi alla base sociale del Carroccio e l’unica chance era forse proprio bluffare con una fare da spaccone – dopo le futili chiacchiere sulla flax tax per ribadire gli interessi che voleva far prevalere, ma era pura propaganda anche facendo i conti della serva – una finta che mostrava una debolezza strutturale nell’iperbolica personalizzazione che ha voluto dare allo scontro politico.
Tra i due contendenti, il terzo gode dice l’adagio popolare, e in questa “crisi del Mojito” è stata proprio la parte del governo che aveva un filo diretto con Bruxelles e Washington a risultare vincitrice e che ora di fatto dirige l’orchestra conto terzi.
L’anomalia dei “pentastellati” è stata neutralizzata definitivamente, anzi pienamente cooptata dentro le strategie di governance della Ue con il voto a favore dell’ex ministra della difesa tedesca von der Leyen alla carica di presidente della Commissione Europea (un governo “giallo-rosso” sarebbe assolutamente in linea e conseguente con questo processo), mentre Salvini è stato collocato ai margini della scena politica, con buona pace di chi aveva agitato lo spettro di un pericolo cosiddetto “sovranista” sul Continente e che a conti fatti si è rivelato solo uno spauracchio per rilegittimare i pilastri politici franco-tedeschi che governano l’Unione e le due grandi famiglie partite europee.
Certo già si sprecano le narrazioni di una pagina buia ormai alle spalle, come se ciò che ci aspettasse non fosse ancora più cupo.
Difficile non essere spaventati da come l’intero apparato mediatico, che ha messo sempre e costantemente sotto i riflettori il leader DJ, ora lo tratti come un comparsa.
Viviamo proprio in tempi buffi…
C’è voluto Giulio Tremonti, per ricordare attraverso una lettera al Sole 24 Ore di mercoledì 21 agosto, la brutalità e pretestuosità dei Diktat dell’Unione nei confronti dell’Italia dell’annus horribilis 2011, incipit di una dinamica che rimane tutt’ora immutata e che fa del nostro Paese la vittima sacrificale delle politiche della UE, a cui un ceto politico si allinea pedissequamente da Monti in poi come fu per l’indurimento della “clausola di salvaguardia” rispetto alla formulazione iniziale, ed al calcolo del contributo al Fondo salva banche non in base all’esposizione (il sistema bancario franco-tedesco era fortemente esposto nella crisi greca rispetto all’Italia) ma in base al Pil…
Ricordate? Da un giudizio positivo della Banca d’Italia date a Draghi il 31 maggio, ed il giudizio del Consiglio Europeo a Giugno, si giunse alla lettera del 5 agosto di BCE – Banca d’Italia, in cui si paventava il rischio default – in caso di una mancata risposta urgente entro l’8 agosto, ci rammenta Tremonti…
A parte lui, nessuno si è sognato di svelare il vero deus ex machina che domina la politica italiana, un pilota automatico che ha svuotato di una qualche reale capacità decisionale il nostro sistema politico, certo non è un “processo lineare” come credeva Renzi ai tempi del referendum istituzionale, e che ha comunque bisogno di agenti credibili a cominciare da quei corpi intermedi politico-sindacali che fanno della complicità con le oligarchie europee un atto di fede.
Da Bruxelles sembra che continuino a dirci questo: firmate una resa senza condizioni e vedremo di essere il più possibile clementi, perché se anche fate finta di alzare la testa ve la mozziamo senza pensarci due volte…
Sono tante e tali le incognite nei mesi a venire che l’Europa neo-carolingia franco-tedesca non può permettersi il lusso di perdere il tempo con noi, se non per non generare meccanismi di destabilizzazione che moltiplicherebbero i problemi per le élite al comando.
Elenchiamoli: lo scontro commerciale USA-CINA, l’escalation bellica nello Stretto di Hormuz ed il futuro dell’accordo sul nucleare iraniano, la Brexit che potrebbe portare ad un “no deal”, la possibile crisi della “Groko” dopo le elezioni di settembre/ottobre in tre Land orientali ed i pessimi dati dell’economia, le possibili nuove elezioni in Spagna in caso di mancato governo, ed un “rientro” politico in Francia che si preannuncia piuttosto caldo per Macron…
Se l’Unione ha fin qui dimostrato una certa capacità di “resilienza” alle crisi, il personale politico che ne stato il pilastro sta uscendo con le “ossa rotte” da questa fase, mentre sia la “variante populista” di destra che di sinistra si è fin qui dimostrata incapace di incidere veramente nei processi decisionali all’interno anche solo di un singolo Paese.
Una unica eccezione sembra essere quella del movimento delle “giacche gialle” che ha imposto in Francia la cancellazione della tassa di transizione ecologica ed altre misure che seppur minime hanno portato qualche beneficio alla condizione dei subalterni d’Oltralpe, senza che però le altre rivendicazioni fossero accolte, ma che si sedimentassero comunque a livello popolare “politicizzando” parti non trascurabili di classe.
I Gilet Jaunes sono stati un movimento reale che ha reso fecondo il terreno per il fiorire di lotte – anche a livello del mondo del lavoro – piuttosto importanti e largamente ignorate in Italia: dalla logistica alle poste passando per gli insegnanti e studenti, fino a quelle dei pronto soccorso – sono più di 200 quelli ancora in sciopero per un movimento che dura da 5 mesi – , hanno consolidato un legame trasversale tra subalterni: una precisa identità di classe, fatto emergere una contrapposizione frontale tra questi e gli strati medio-alti della società, consolidato un capitale politico ed organizzativo “diffuso” in grado insieme ai settori sociali, alle organizzazioni sindacali e alle formazioni politiche con cui ha interloquito di rilanciare probabilmente una nuova stagione di conflitto nelle settimane a venire…
Lo scenario che si profila all’orizzonte in UE intreccerà probabilmente questi tre elementi che caratterizzano la fase politica: la necessità di un “balzo in avanti” dell’Europa neo-carolingia a guida Franco-Tedesca dentro la competizione globale che assume i connotati anche della “forma-guerra”, lo sfarinamento della rappresentanza politica fin qui conosciuta e la sua ricomposizione rispetto agli obiettivi prioritari della UE (e questi giorni della crisi italiana ne sono un laboratorio), l’emergere di un conflitto sociale spurio e proteiforme dai caratteri organizzativi transitori e fluidi ma che è l’unica chance per rendere riattualizzabile l’idea di una trasformazione politico-sociale radicale.
Per chi ha cura di documentare la realtà per trasformarla l’atteggiamento da tenere deve essere grosso modo quello suggerito dal celebre cineasta comunista Joris Ivens: “un occhio guarda la realtà attraverso il mirino della cinepresa, mentre l’altro rimane spalancato su tutto ciò che succede intorno alla piccola immagine racchiusa nell’inquadratura. Un terzo occhio, se così si può dire, deve essere rivolto al futuro”.
Senza quel terzo occhio che guarda il futuro, avremmo comunque una visione d’insieme ma saremmo condannati ad appiattirci alle miserie del presente, in questo caso ad un impasse politico ed il ristagnare di ogni ipotesi anche parziale di cambiamento.
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