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Una montagna di merda sulla Valle d’Aosta

Quando si è in montagna, si sa, il tempo può cambiare velocemente e ci si può ritrovare all’improvviso sotto una tempesta o una tormenta di neve. La prima cosa da fare, è non farsi prendere dal panico, trovare un riparo, assicurarsi delle proprie forze, e ragionare.

Dopo la bufera che si è scatenata in questi giorni in seguito alla vicenda che vede indagati per scambio elettorale politico mafioso il Presidente della Regione Antonio Fosson, l’assessore al turismo, sport, commercio, agricoltura e beni culturali Laurent Viérin, l’assessore alle opere pubbliche, difesa del suolo e edilizia residenziale pubblica Stefano Borrello e il Consigliere Luca Bianchi, la Valle d’Aosta non si regge in piedi.

Superato lo choc, passata l’indignazione delle forze politiche e dei singoli cittadini, finita l’offesa morale sentita verso le “Istituzioni”, dichiarata l’estraneità ai fatti da parte degli indagati e rassegnate le doverose dimissioni, palesata la presa di distanza dei movimenti politici e avviate le nuove consultazioni, è il momento di fermarsi da qualche parte, rimanere lucidi e mettersi a pensare.

La mafia e il sistema clientelare sono pericoli che tutti conosciamo, come in montagna tutti conoscono il seracco o il burrone. Tutti sanno che bisogna stare molto accorti a non scivolare giù dalla scarpata. È la base della politica, come dell’escursionismo di livello amatoriale.

Ma quando ci si spinge un po’ più in là, verso l’alpinismo, non è sufficiente rispettare queste semplici regole, per sopravvivere alla bufera. Occorre valutare ogni fattore, prima di riprendere il cammino. Non è ripetendo il mantra “attento a non scivolare”, che ci si garantisce la protezione da altri rischi e si ritrova tranquillamente la strada.

È bene riflettere a mente lucida sull’intero contesto, e non su un aspetto solo. Dopo le reazioni immediate, occorre valutare tutto il sistema. Altrimenti si rischia di smarrire di nuovo la via e di non tornare più indietro.

Che il governatore della regione non debba avere anche la carica di Presidente e di Prefetto, ormai, con questo clima, dovrebbe essere chiaro (lo hanno detto anche Rosy Bindi, ex presidente Antimafia, e la signora Lamorgese, attuale ministro dell’Interno, manifestando pubblica perplessità su questo articolo dello Statuto speciale valdostano).

Ma per il resto, dato l’enorme potere della Giunta e del Consiglio regionale, non sarebbe forse il caso di chiederci, prima di ripartire, se c’è altro da togliere, dalle mani dei nostri assessori e consiglieri?

Non dovremmo chiederci cos’è diventata oggi l’autonomia valdostana e a chi fa del bene? Domandarci chi ne trae veramente vantaggio, se è una cosa buona per tutti, o è un privilegio di pochi?

Ovvio, se facessimo un sondaggio per decidere quale percorso seguire, a nessuno verrebbe mai in mente di mettere in discussione la vecchia via dell’autonomia, e sarebbe normale. Chi rinuncerebbe mai a seguire una traccia già segnata, chi rifiuterebbe di partire avvantaggiato in una gara?

Altro conto, invece, è parlare dell’autonomia differenziata di altre regioni, lì molti escursionisti e corridori sarebbero pronti a dire che non è cosa buona e che divide in due il paese. Lì, nessun problema a parlare. Invece, quando si tratta dell’autonomia valdostana, nessuno è disposto ad esporsi, a metterla in discussione.

Ma se rinunciare a un privilegio è un’ipotesi da abbandonare a priori, non possiamo almeno rivedere qualcosa, per non commettere sempre gli stessi errori di valutazione? Il silenzio è brutto, quando si tratta di politica. Il silenzio è brutto, quando si tratta di mafia o di ‘ndrangheta locale. In entrambi i casi, converrebbe sempre parlare.

Quando si vedono sperperare 160 milioni di euro per un casinò, spendere 3 milioni di euro al mese per un’indennità di bilinguismo riservata agli impiegati della pubblica amministrazione, quando si realizza che 1.300 persone su 130.000 sono stipendiate per cariche politiche, quando si vedono sprecare soldi in grandi opere inutili, mentre i dati ufficiali danno il servizio sanitario della regione in cui si vive agli ultimi posti della classifica nazionale, una ferrovia che non funziona e l’autostrada più cara d’Italia… quando si vede questo, non si può non parlare.

Se poi si scopre che la regione in cui si vive finisce sui giornali per “sodalizio, connubio politico criminale ben radicato nel tessuto sociale”, allora non si può proprio più tacere.

In Valle d’Aosta, l’epoca della strumentalizzazione dell’identità culturale e territoriale da parte dei movimenti politici autonomisti è finita. Nessuno si fiderà più di loro, e neppure della Lega (che altro non è che il “lato oscuro” dell’autonomia differenziata).

Se non si ragiona su questo, prima di rimettersi in cammino, si rischia di sprofondare in una montagna di merda da cui non si potrà più risalire.

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1 Commento


  • Gabriele

    Valle D’Aosta non Val d’Aosta…. grazie

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