La mobilitazione del 16 giugno, difficile come tutte le mobilitazioni di questi anni, ma riuscita al meglio, ha avuto il “trattamento mediatico” che ci si aspettava, con qualche eccezione. Il silenzio totale che aveva accolto le altre è stato rotto solo “grazie” all’uccisione di Soumail Sacko, bracciante e sindacalista Usb, qualche giorno prima. E’ la seconda volta in meno di due anni che i media sono obbligati ad occuparsi dell’inferno sui posti di lavoro, specialmente per i migranti, solo perché un sindacalista viene ucciso. In entrambi i casi il primo tentativo è stato quello di derubricare la notizia a cosa non rivelatrice di una realtà di pesante sfruttamento (un “incidente stradale” nel caso di Abdel Salam a Piacenza, durante un picchetto alla Gls; un “tentato furto” in quello di Soumaila).
Stavolta, però, la stampa ha scoperto un migrante-sindacalista in grado di “bucare” lo schermo per la serietà dell’argomentazione, la dignità che ben pochi ormai riescono a mostrare in video, per la verità che traspare da quel che dice (in un teatro in cui tutti recitano una parte). Seguendo le leggi dell’audience, che riescono a volte a prevalere sugli ordini di scuderia redazionale, alcuni media hanno dato ripetutamente voce al dirigente nazionale Usb Aboubaker Soumahoro. Non senza, naturalmente, tentare di farne ancora una volta una “stranezza” – un “nero che parla un italiano perfetto”, decisamente migliore di quello espresso dai due vice-premier – per nascondere la complessità del problema: lo sfruttamento schiavistico di milioni di lavoratori precari, in nero, senza diritti, senza casa, al nord come al sud, bianchi, neri, gialli o a pallini.
La reazione della destra non merita grandi riflessioni, ovvia come l’umidità quando piove. Il governo tace – al ministro del lavoro è stato chiesto un incontro come sindacato, ma fin qui sembra non abbia avuto tempo di rispondere – il Parlamento ha osservato un minuto di silenzio, il presidente della Camera si è invece mosso ricevendo i sindacalisti e andando a visitare il campo di San Ferdinando, in Calabria.
Il cambio di governo ha smosso, questa volta, anche i media della “sinistra liberal-liberista”, a cominciare dal gruppo di riferimento, quello Repubblica-L’Espresso. Quest’ultima testata, in particolare, ha messo su un’operazione politica e di comunicazione che va decostruita con attenzione, perché mostra un dispositivo deformante altamente inquinante.
In copertina ha infatti proposto il classicissimo Uomini e no, con il volto di Abou e quello di Salvini plasticamente contrapposti. Il dossier relativo, all’interno, è stato tutto virato sull’antinomia migrazioni contro razzismo, accoglienza contro respingimenti, ecc. Basterebbe solo la scelta delle immagini – tutte rigorosamente di migranti neri, senza alcuna sfumatura verso altri “colori”, e men che mai “bianchi” – a far capire la logica dell’operazione: cancellare, si sarebbe detto una volta, il “carattere di classe” di uno sfruttamento che non guarda in faccia a nessuno e, quasi paradossalmente, neanche al colore della pelle, per trattare la questione come un caso-limite, spiegabile con l’ideologia razzista e una riluttanza al “rispetto delle leggi” (lavoro nero, evasione fiscale, appropriazione indebita, ecc) tipica di una certa “imprenditoria” border line.
Può sembrare una lamentazione eccessiva (“ma che pretendete… stavolta vi hanno dato tanto spazio”), ma noi guardiamo al rischio politico e sociale che operazioni del genere perpetuano o aggravano.
Sono anni che i media “pompano” Matteo Salvini e sue fanfaronate razziste (prima anche “anti-meridionali”, ora soltanto nazionalistico-ossessive). Lo hanno imposto come l’anti-Renzi proprio nel momento in cui il guitto di Rignano trasformava in leggi dello Stato le peggiori porcate imposte dall’Unione Europea (Jobs Act e “buona scuola in testa). Fidando forse nel fatto che il leghista ruspante fosse incapace di sfondare la barriera del Sud, visti i suoi trascorsi come chasonnier anti-napoletani, e quindi non veramente pericoloso.
Hanno invece costruito un senso comune e imposto la sua grammatica come “normale”, anche se disdicevole, rozza, maleducata. Questa normalità della bestialità razzista alla fine si è rivelata come il linguaggio più adatto a un malessere sociale che non trova più – o non si chiede più – il perché le cose vadano in un certo modo, perché i salari siano ora così bassi da impedire che dei giovani mettano su famiglia e facciano dei figli, perché i poveri aumentano, gli sfrattati anche, perché l’insicurezza cresca nonostante i reati diminuiscano (spaccio di droga a parte, non per caso). Diciamo che la “droga ideologica” del razzismo ha trovato uno spacciatore più abile della media, ma la sua resistibile ascesa ha avuto dei complici – in alcuni casi forse inconsapevoli – di grandissima qualità. O stupidità.
Ridurre – come fa L’Espresso – le questioni sociali più complesse a una semplice contrapposizione etica tra razzisti e umanitari, tra fascioleghisti respingenti e accoglienti a prescindere, omettendo con cura di guardare sia alle ragioni delle migrazioni presenti che ai problemi sociali prinicipali – lavoro, sanità, pensioni, scuola, casa, precarietà, ecc -, significa fare l’ennesimo regalo immenso a Salvini e ai fascisti. Perché chi ha la pancia vuota si preoccupa in primo luogo di riempire la sua (“prima gli italiani”, gridano infatti i fascisti di ogni tonalità) e solo dopo, ed eventualmente, di lasciar riempire quella altrui.
Se si cancellano i problemi creati da un’economia capitalistica senza più freni, ogni fenomeno diventa inspiegabile. E se non c’è nessuna spiegazione allora conta solo la sopravvivenza. Individuale, o al massimo “della mia famiglia”.
Un disoccupato di lungo corso dovrebbe esser messo a conoscenza del fatto che i posti di lavoro spariscono a causa di multinazionali che delocalizzano, imprese che automatizzano i processi produttivi eliminando gli esseri umani, che la crisi è stata aggravata – nei paesi euromediterranei – da politiche di austerità che sono servite a ridisegnare le filiere produttive, favorendo soprattutto quelle tedesche.
Un giovane che non trova un impiego retribuito a sufficienza per sopravvivere dovrebbe sapere che il mercato del lavoro è stato capovolto da trenta anni di “riforme” iperliberiste che tutto hanno fatto, meno che “favorire i ggiovani”; anzi, li hanno condannati a emigrare per sfuggire a salari insufficienti per vivere e riprodursi. Insomma, che la nostra povertà ha dei responsabili che se la passano benissimo, non certo i disperati che stanno peggio di noi.
Questo è il lavoro che fanno organizzazioni sindacali vere, non i “complici” che in questi trenta anni hanno sottoscritto tutto quel che Confindustria-governi-Ue hanno deciso di far passare. Questo è il lavoro della sinistra politica vera, non certo quella che ha governato ad anni alterni con i berlusconiani, mettendo in atto esattamente le stesse politiche dettate da Bruxelles.
Ovvero quella che chiamiamo la “sinistra liberal-liberista”, ridotta ormai alla sua ultima spiaggia. Da cui chiama a una resistenza suicida, solo cultural-umanitaria, senza speranze e senza retroterra sociale. E’ l’unica distinzione che possa vantare rispetto alla destra; sul resto, come testimonia anche l’Unione Europea, non ce ne sono più, da decenni.
Con la manifestazione di sabato 16, a Roma, abbiamo fatto il primo passo in un’altra direzione: quello della costruzione, passo dopo passo, di un blocco sociale popolare, che ovviamente non guarda al colore della pelle perché sa che l’unico modo di battere il razzismo è ridurre a zero le disuguaglianze sociali. Per questo l’unico modo di battere il nazionalismo razzista che si nasconde dietro lo slogan “prima gli italiani” è promuovere un movimento che dica chiaramente PRIMA GLI SFRUTTATI. Tutti gli sfruttati.
Perché il razzismo cresce dove c’è la paura di non farcela e qualche bastardo indica nel più povero di noi quello che ci impedisce di stare meno male. E’ solo un primo passo, c’è da fare e da capire tantissimo.
Per questo, occhio alla “sinistra liberal-liberista”: è il miglior complice, forse inconsapevole (ma non ci giureremmo), del fasciorazzismo.
* La foto d’apertura è di Patrizia Cortellessa
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
marku
Giusto aggiungo io
il fascirorazzista dio ci salvi da salvini non è che il deggno epigono del kamerata barbafinta minniti (morto male lo vedano anche lui)
se il demokratiko di cui sopra non avesse fatto da sinistra accordi con le bande mafiose libiche per tenere nei kampi di concentramento senza farli partire per il fascirazzista in questione sarebbe stato milto più difficile scoreggiare le cose che sta dicendo da destra e quindi facendo la sua porca campagna elettorale permanente.
A tal proposito bisogna dire che il figuro ha in comune con il suo mentore mussolmerda il tradmento
quante capriole ideologiche verso destra ha già compiuto costui?
diverse, ma se c’è una sicurezza nella vita è quella che chi ha tradito prima tradirà ancora e poi ancora e poi di nuovo ancora verso il baratro della sua vita da sparamerda
infattia ben vedere lo stesso quando parla, se notate assume la posa plastica del famoso ventilatore (però grande come una pala eolica) che quando gira a tutta velocità viene buttata una vagonata di merda che schizza sull’italietta gialloverde