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“In Italia ci sono decine di bombe atomiche. Pochi lo sanno e chi sa tace”

La maggior parte dei cittadini italiani ignora che nel nostro paese sono schierate circa 70 testate nucleari statunitensi: un fatto gravissimo, giacché nel malaugurato caso di una guerra nucleare queste basi sarebbero tra i primi obiettivi di un attacco.
Negli anni Ottanta vi erano in Europa migliaia di testate nucleari, sia statunitensi che sovietiche (figura …): ma nel 1987 il Trattato INF (Forze Nucleari Intermedie), firmato da Gorbachev e Reagan, impose di rimuovere tutte le testate sui missili a raggio corto e intermedio, lasciando però molte testate a caduta degli Stati Uniti trasportate da aerei schierate nei paesi europei della NATO.

Il loro numero è stato progressivamente ridotto fino alle attuali 140, delle quali ben 70 schierate in Italia, nella base militare USA di Aviano e in quella italiana di Ghedi Torre; queste ultime quindi sarebbero operative in caso di necessità dai caccia Tornado dell’Aeronautica Militare Italiana.
Queste testate non sono, come si potrebbe pensare, residuati della Guerra Fredda, ma costituiscono un fattore di pericolosa destabilizzazione ed una pesante ipoteca sulla strada del disarmo nucleare. Infatti gli USA hanno investito ben 10 miliardi di $ per il loro ammodernamento, il Life Extension Program, che ne farà, tecnicamente e militarmente, una testata nuova con accresciute capacità militari, chiamata B61-12(figura …) .

Sebbene la potenza esplosiva non aumenterà, raggiungendo al massimo 50 kt (più di 3 volte quella di Hiroshima), la testata sarà dotata di alette di guida di coda (figura …) che consentiranno una precisione molto superiore su bersagli che altrimenti richiederebbero potenze esplosive molto superiori.
Nessun governo italiano ha mai avuto nulla da ridire sulla presenza di queste testate in Italia. Tale presenza viene pretestuosamente giustificata in base alla dottrina della condivisione nucleare (nuclear sharing) dell’Alleanza NATO, che implica per i paesi membri obblighi di mantenimento delle attrezzature tecniche necessarie per il loro uso (tra cui aerei da guerra, sottomarini etc.) e di conservazione sul proprio territorio.

Sebbene la questione non sia mai stata portata all’attenzione della corte internazionale, da più parti si afferma che la condivisione nucleare violi gli articoli I e II del TNP, che prevede il divieto di trasferimento (da parte del paese nucleare) e di accettazione (da parte del paese non nucleare) del controllo diretto o indiretto sulle armi nucleari. La NATO sostiene che non si tratti di proliferazione non essendovi trasferimento diretto e/o indiretto delle nukes perché, anche se presenti in basi situate in altri paesi, il loro controllo sarebbe rimesso alle forze militari USA.
Indipendentemente dalla evidente infondatezza di tale posizione, la questione rimanda alla presenza delle basi “statunitensi” o NATO sul territorio italiano, in quanto strettamente connesso alla presenza degli ordigni nucleari ed in particolare delle norme ad esse applicabili.

Tale presenza trova la sua giustificazione normativa nella bilateralizzazione dell’art. 3 del trattato Nato, che impegna le parti a sviluppare le loro capacità di difesa, individualmente e congiuntamente, e a prestarsi reciproca assistenza.
Oltre alle indicazioni contenute nello Statuto delle Truppe, ratificato nel 1956, la costruzione e gestione delle basi militari è poi regolata da convenzioni bi- o multilaterali tra i paesi della Nato.
Tali accordi bilaterali o multilaterali che siano, sarebbero dovuti essere stati assunti nelle forme previste dagli artt. 72 ed 80 della costituzione italiana ma è, invece, stata utilizzata la cosiddetta procedura semplificata, non prevista dalla Costituzione ma disciplinata dalla legge 11.12.1984 n. 839, senza però, come prescritto, procedere alla loro pubblicazione, sottraendoli così sia al controllo delle Camere che del Presidente della Repubblica.
Solo a seguito dei fatti del Cermis, fu pubblicato lo “shell agreement” “accordo conchiglia”, l’accordo quadro fra Italia e Usa sulle basi in Italia. Rimane invece totalmente segreto il BIA del 20.10.1954, cioè il Bilateral Infrastrutture Agreement che regola le condizioni dell’utilizzo delle basi americane in Italia, anch’esso approvato con la procedura semplificata.
Pur limitandoci a quanto oggi noto, si può sicuramente affermare che le basi non possono in alcun modo ritenersi “extra territoriali”.
Il già citato Statuto delle Truppe della NATO, ratificato in Italia dal 21.1.1956, all’articolo II stabilisce, infatti, che le truppe straniere ospitate in Italia debbano rispettare il diritto vigente del paese ospitante e tale principio è confermato in più parti del memorandum reso pubblico nel 1995.


La prima significativa conferma della non extraterritorialità e della sottoposizione alle norme del diritto italiano la si rinviene nella sezione VI dell’annesso A al memorandum, ove già all’articolo I si legge: “L’istallazione è posta sotto il Comando Italiano …” e ciò sia se la base è utilizzata congiuntamente che esclusivamente dalle forze armate USA (ciò che cambia nei due casi sono le funzioni del comando che comunque resta italiano).

La seconda ed ancor più significativa conferma, però, l’abbiamo dalla lettura dell’art. 3 della sezione VI dove vengono definite le funzioni del Comandante USA. Leggiamo nell’articolo: “Il Comandante USA esercita il comando pieno sul personale, l’equipaggiamento e le operazioni statunitensi. Egli deve preventivamente informare il Comandante italiano in merito a tutte le attività USA di rilievo, con particolare riferimento all’attività operativa e addestrativa, ai movimenti di materiali, armamenti, personale militare e civile, nonché agli avvenimenti o inconvenienti che dovessero verificarsi.

Analogamente il Comandante italiano tiene informato il Comandante USA su tutte le attività nazionali di rilievo. Nel caso ritenga che le attività USA non rispettino le leggi italiane vigenti, il Comandante italiano informerà immediatamente il Comandante USA e si rivolgerà immediatamente alle autorità italiane superiori per un parere. …”
Dalla lettura del memorandum risulta quindi, a nostro giudizio, evidente che sia le istallazioni che le medesime operazioni ed attività delle forze ospitate, anche per la parte posta sotto il Comando USA, debbano rispettare le leggi vigenti in Italia, tanto che al Comandante italiano è rimesso il controllo del loro rispetto.
Detto ciò, a questo punto, non possiamo esimerci dal far rilevare come, indipendentemente dalla violazione del TNP, la permanenza in Italia di ordigni nucleari sia effettuata in palese violazione della legge n. 185 del 9 luglio 1990 che espressamente prevede all’art. 1 comma 7: Sono vietate la fabbricazione, l’importazione, l’esportazione ed il transito di armi biologiche, chimiche e nucleari, nonché la ricerca preordinata alla loro produzione o la cessione della relativa tecnologia.
Sebbene al successivo comma 9 lett. c) del medesimo articolo si preveda una inapplicabilità della norma in relazione ai materiali di armamento e di equipaggiamento delle forze dei paesi alleati, questa deroga è limitata al transito e non alla permanenza stabile nel territorio italiano.

*giurista, membro dell’International Organization of Lawyers Against Nuclear Arms (Ialana)

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