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L’Italia è la più impegnata d’Europa nelle missioni militari internazionali

L’Italia è impegnata in diversi tipi di operazioni militari all’estero. Gli impegni spaziano dalle missioni Ue a quelle Nato e Onu, seguite da un numero notevole e crescente di missioni bilaterali o in coalizione con i partner euro-atlantici.

Secondo Affari Internazionali l’Italia vanta infatti all’attivo più di 40 missioni nel 2024, posizionandosi come primo contributore per le operazioni dell’Ue, secondo contributore della Nato dopo gli Usa – quindi primo tra gli europei – e primo tra i contributori occidentali alle missioni delle Nazioni Unite.

La dimensione dei singoli contingenti militari è molto varia, si va da quelli che impegnano pochissime unità – spesso osservatori o addestratori – a quelli molto più consistenti, come le Nato Enhanced Vigilance Activities che contano 2.340 soldati impegnati.

Nel 2024 sono state avviate dall’Italia tre nuove missioni militari internazionali:

a) l’Operazione Levante, che prevede 192 unità , il cui mandato recita: “A seguito dello scoppio del conflitto Israele-Hamas, avvenuto il 7 ottobre 2023, la Difesa è stata chiamata a fornire contributi per fronteggiare una situazione che prefigura una potenziale escalation e impone un approccio integrato”;

b) La proroga dell’impiego di un “dispositivo multidominio in iniziative di presenza, sorveglianza e sicurezza nell’area del Mar Rosso e Oceano Indiano Nord-Occidentale”, che ricomprende in realtà missioni già attive come Atalanta e Agenor;

c)  La nuova operazione Aspides, targata Ue, per un totale di 642 unità di personale avviata il 19 febbraio, a difesa della navigazione nelle aeree che vanno dal Mar Rosso al Golfo di Aden fino al Golfo Persico

Affari Internazionali segnala che per le missioni per cui si propone il rinnovo nel 2024, si stabilisce una consistenza massima annuale complessiva dei contingenti delle Forze Armate impiegati nei teatri operativi pari a 11.166 unità, e una consistenza media di 7.632 unità.

Ciò comporta un fabbisogno finanziario a carico del Ministero della Difesa pari a circa 1,365 miliardi di euro, di cui 1,075 miliardi nel 2024 e i restanti nel 2025. A questa cifra vanno però aggiunti anche i fondi degli altri Ministeri (Interno, Giustizia, Economia e finanze, MAECI) e della Presidenza del Consiglio, per una spesa complessiva per il totale delle missioni italiane di 1,825 miliardi di euro (in aumento rispetto agli 1,72 miliardi del 2023).

Guardando alla ripartizione geografica delle missioni, si nota come nel continente europeo l’Italia sia fortemente impegnata nel quadro Nato, dall’Air Policinge Air Shielding (300 unità) alla Nato Joint Enterprise nei Balcani occidentali (1550 unità).

Quest’ultimo è uno degli impegni più duraturi nella storia dell’Alleanza, iniziato negli anni ‘90, e vede Roma mantenere una forte presenza per assicurare la stabilità e la sicurezza dell’area balcanica.

Ma nell’Europa dell’Est l’Italia è anche partecipe di diverse missioni Ue sul terreno, come EUFOR ALTHEA (247 unità) per addestrare le forze armate bosniache o EUMAM Ucraina (80 unità) per supportare quel paese nella difesa dall’invasione russa addestrando le sue Forze Armate.

Nel Mar Mediterraneo tra le missioni militari principali nel quadrante vanno segnalate Mediterraneo Sicuro (822 unità), EUNAVFOR MED Irini (459 unità) e NATO Sea Guardian (268 unità).

In Africa c’è la Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger (500 unità), la Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia (200 unità) e quella di addestramento delle forze somale, gibutiane e yemenite (115 unità).

Anche se con contingenti più ridotti, l’Italia partecipa inoltre a diverse missioni UE nel continente africano come EUTM Somalia (171 unità) ed EUTM Mozambico (15 unità).

In Medio Oriente, tra le missioni di maggiore impegno militare per l’Italia nella regione, vi è sicuramente la United Nations Interim Force in Lebanon (UNIFIL), che vede impiegate ben 1292 unità, e la Coalizione internazionale di contrasto alla minaccia terroristica del Daesh (1055 unità).

La NATO Mission in Iraq, invece, con sole 75 unità segna una diminuzione rispetto al passato dell’operazione “Antica Babilonia”. C’è poi, con 105 unità massime dispiegate, la Missione bilaterale di addestramento delle Forze armate libanesi (MIBIL).

Scorrendo questi dati e i quadranti di intervento è evidente quanto l’impegno militare italiano all’estero sia diffuso e radicato, coprendo aree strategiche che spaziano dall’importanza storica nel “Mediterraneo allargato” a sostegno del fianco orientale dell’Alleanza.

Il numero di missioni italiane all’estero è costantemente aumentato, e in modo considerevole negli ultimi decenni.

Secondo gli ultimi dati disponibili del Documento programmatico pluriennale (Dpp) della Difesa per il 2023-2025, i fondi destinati alla Difesa per il 2023 ammontavano a circa 27,75 miliardi di euro (corrispondenti all’1,38% del Pil nazionale), ancora lontani dal raggiungimento della soglia del 2% del Pil concordato con la Nato; soglia originariamente prevista da raggiungere proprio per il 2024 e già rinviato dal Parlamento italiano al 2028 con la mozione approvata alla quasi unanimità nel 2022.

Inutile dire che Affari Internazionali si lamenta per come l’Italia possa mantenere una proiezione sempre più consistente nelle operazioni all’estero, aggiungendo ogni anno nuove missioni alla già lunga lista di quelle in corso, senza far corrispondere un aumento proporzionale e congruo del budget.

Se Roma intende conservare i primati descritti in apertura e non contraddire le proprie ambizioni quanto a tutela degli interessi nazionali anche tramite l’impiego delle forze armate” – scrive la newsletter dell’Istituto Affari Internazionali – “dovrà quindi fare una profonda riflessione sulle dotazioni finanziarie per non rischiare ripercussioni per il posizionamento e la credibilità del Paese oltre confine, e soprattutto per la sostenibilità di uno strumento militare già fortemente sotto pressione”.

Ovviamente da questa ennesima richiesta di aumento dei finanziamenti per le spese militari viene tenuto fuori l’impegno economico e militare nella guerra in Ucraina che, come abbiamo visto, è più consistente di quanto il segreto apposto dal governo sulle operazioni abbia lasciato trapelare in questi due anni.

Per sapere cosa inviamo veramente in Ucraino abbiamo dovuto sentirlo o dalle battute in libertà di ministri britannici o dalle sferzanti dichiarazioni dei portavoce del Cremlino.

Resta il fatto che l’Italia da anni invia i propri militari all’estero mascherando queste operazioni con formule strampalate e rassicuranti che richiedono però un crescente aumento delle spese militari ovviamente togliendo risorse da altri capitoli di spesa.

Anche il prossimo 2 Giugno vedremo all’opera il mix tra retorica militarista e nazionalismo.  Ma viste da un altro punto di vista – quello dei paesi e dei popoli in cui agiscono queste missioni militari – questo incantesimo sugli “italiani brava gente” potrebbe non reggere più alla prova dei fatti.

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