«Dobbiamo trattenere il fiato per cinque anni o più», ha dichiarato Merkel nel corso del congresso regionale del partito, l’Unione democratico-cristiana (Cdu) nel Land del Meclemburgo-Pomerania. «Molti investitori non credono che possiamo mantenere le nostre promesse in Europa», ha sottolineato prima di aggiungere: «Dobbiamo dar prova di rigore per convincere il mondo che è conveniente investire in Europa».
Se occorreva un’ammissione diretta, da parte dei vertici politici di questa Europa, che alla crisi attuale non c’è soluzione, è arrivata. Obliqua e depistatnte, come si usa fare. Ma è arrivata.
Due conti semplicissimi. La crisi è iniziata ufficialmente nell’agosto del 2007, con l’esplosione del debito relativo ai mutui subprime americani. Se davvero ne occorressero altri cinque per uscirne ci troveremmo già davanti alla crisi più lunga di sempre, anche rispetto al 1929 (solo dopo la seconda guerra mondiale si ammise che, in effetti, la guerra aveva creato le condizioni per la ripresa; prima ogni paese capitalista – ognun per sé e in modo altamente “competitivo” – aveva accreditato presso i rispettivi popoli di esserne “uscito”).
In economia “borghese”, le previsioni da qui a cinque anni sono impossibili. Al massimo ci si spinge fino a un orizzonte di due. Il limite di cinque anni, dunque, equivale a dire “non sappiamo quando e se ne usciremo”.
Ma Merkel aggiunge un elemento su cui vale la pena di riflettere: «Dobbiamo dar prova di rigore per convincere il mondo che è conveniente investire in Europa».
Sono le stesse parole con cui Monti ogni giorno giustifica una politica economica sanguinosa, che impoverisce il paese e in primo luogo il lavoro dipendente (ma deprime contemporaneamente anche molte atrtività produttive). Merkel però le usa per tutta l’Europa. Chiarendo così che nessun paese è davvero escluso dalla “cura dimagrante” che ha fatto le prime prove in Grecia, estendendosi poi con modalità appena meno drastiche a Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia.
Il “trattenere il fiato” che prescrive ai suoi compari di partito è semplicemente la speranza che la Germania sia toccata il meno possibile da questo processo. E del resto nessun leader politico può promettere che peggiorerà volontariamente le condizioni di vita dei suoi governati.
Ma “convincere il mondo che è conveniente investire in Europa” è qualcosa di più. È l’ammissione che la potenza finanziaria con cui il Vecchio Continente si trova a fare i conti è smisuratamente maggiore delle forze, pur non indifferenti, che è in grado di mobilitare. E se, per i prossimi anni, tutta questa area sarà sconvolta dalle stesse dinamiche, ne consegue che solo una generalizzazione continentale della resistenza e delle lotte avrà un senso. Non diciamo “successo”, ma senso. Chiudersi mentalmente nel “locale” è fare un favore al capitale in crisi.
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