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Mostruosità sociale

Cronaca nera, antropologia criminale, psicosociologia s’interrogano se quel cannibalismo che vive nei replicanti seriali che siamo diventati – servili coi forti, spietati coi deboli, menefreghisti quanto basta – sia peggiore nella versione “l’amo troppo, vado e l’uccido” oppure “passo, guardo la scena (magari del delitto) faccio clic e tiro dritto”. L’uno e l’altro, due volti dell’essere mostruoso che si definisce ancora umano. In genere di genere maschile, che sa essere più disgustoso per quei vizi sedimentati nei millenni: brutalità e violenza, supremazia e possesso, narcisismo ed egoismo.

Ma anche: superficialità e indifferenza, opportunismo e convenienza, viltà e delega. Di cui la misera esistenza d’oggigiorno è piena. Se all’elenco (solo parziale) delle abiezioni nostre, quelle soggettive, s’aggiungono le depravazioni d’un sistema che le coltiva e le nutre, le divulga e le esalta con una pratica quotidiana vicina all’abisso e senza capacità di vivere diversamente, il gorgo s’ingigantisce. Però prosegue, i valori risultano schiacciati dai disvalori, ben mascherati, da casualità, tendenze, pressappochismo, modi di fare. Non si tratta d’inseguire manicheismi ma di salvare le vittime e, potendo, i carnefici inducendoli a non esserlo. Indicandogli altri percorsi, se riescono, e comunque impedendogli di nuocere. Conosciamo, invece, come unica via, sempre quella del dolore e della sua ripetizione. Con criminali che riproducono efferatezze di cui “non si rendono conto”, confusi e dissociati in un mondo distratto e abituato a ogni aberrazione. Così c’è chi pensa di recuperare Caino attenuandogli la pena, che è l’altra faccia di chi lo vuole squartare sulla pubblica piazza, facendogli patire ciò che ha riservato ad altri.

Pseudo soluzioni del permessivismo o del fascismo che ci lasciano infantili, irregolari ed ebeti. Irresponsabili e assassini. Recuperare il senso di come e perché esistere può essere obiettivo religioso oppure laicissimo, certamente sensato di fronte al nulla riempito di merce, false passioni, amori straparlati di cui c’ingozzano. Di cui siamo scippati senza accorgerci di crepare.

 

Enrico Campofreda

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5 Commenti


  • Fabrizio Marchi

    “L’uno e l’altro, due volti dell’essere mostruoso che si definisce ancora umano. In genere di genere maschile, che sa essere più disgustoso per quei vizi sedimentati nei millenni: brutalità e violenza, supremazia e possesso, narcisismo ed egoismo”. (Enrico Campofreda)
    Normalmente non avrei commentato un articolo che propone una lettura così scontata e banale di un fatto tragico come quello accaduto, e che sposa completamente l’ideologia sessista dominante che criminalizza e colpevolizza il genere maschile a prescindere. Siccome però stimo molto i compagni e le compagne di Contropiano, mi sono sentito in dovere di pronunciarmi.
    Penso che i marxisti, almeno in teoria, dovrebbero avere quegli strumenti necessari ad analizzare la realtà con lucidità, per quella che è e non per quella che ci viene proposta da quello stesso sistema mediatico che accusiamo – giustamente – di essere null’altro se non lo strumento o uno degli strumenti fondamentali per deformare e manipolare scientemente la realtà stessa. E allora, mi chiedo, come è possibile sostenere ciò e nello stesso tempo, quando si tratta di “questioni di genere”, bersi fino in fondo la vulgata mediatica e riconoscerla come Verità Assoluta? Cosa è che ci impedisce, cari compagni/e, di affrontare in modo più lucido e razionale questi temi? Quale muro di gomma, quale cappa invisibile, ci sovrasta? Di cosa abbiamo paura o vergogna? Da quale senso di colpa siamo pervasi? Cui prodest?
    Vogliamo provare ad osservare la realtà per quella che è e non per quella che vorremmo che fosse in base ai nostri desiderata ideologici? O meglio, ce la facciamo ad osservare la realtà per quella che è senza doverla a tutti i costi piegare ai nostri desiderata ideologici (ammesso che siano veramente i nostri…)?
    Ce la facciamo ad aprire una riflessione su questi temi oppure preferiamo, per opportunismo, comodità o convinzione assoluta, adagiarci sulla vulgata dominante “Uomini=oppressori, privilegiati, violenti e assassini”, sempre, comunque e dovunque e “Donne=discriminate, oppresse e innocenti”, sempre comunque e dovunque?
    Cosa ci sia di marxista in tutto ciò non riesco proprio a capirlo. Personalmente ci leggo invece i tratti distintivi di una ideologia sessista, interclassista e del tutto funzionale al capitale, seppur dipinta di “progressista e di sinistra”. Ma la mia non è una Verità Assoluta, è solo un’opinione.
    Ne vogliamo parlare? E’ possibile aprire una riflessione in tal senso? Oppure riteniamo che siano questioni sovrastrutturali e quindi secondarie e che ci siano altre priorità? Oppure ancora, riteniamo che non ce ne sia bisogno perché abbiamo già la Verità bella e impacchettata?
    Per quanto mi riguarda sarò felice di approfondire il discorso, come e quando lo riterrete utile e opportuno.
    Un carissimo saluto.


  • enrico campofreda

    Chi scrive da anni sa di non poter piacere a tutti. Anzi. Ma buoni maestri – che sono compagni, non necessariamente accademici – hanno insegnato un marxismo (si scomoda l’ideologia) non dogmatico, un pensiero dialettico. Una lezione da non dimenticare. In base a questo princìpio il dialogo è sempre il benvenuto con chil’apprezza e sa praticarlo.


  • Pandoro

    Non ho capito, Enrico Campofreda, se sei disposto ad aprire un dibattito su questi temi oppure no.
    Oppure consideri l’intervento di Fabrizio Marchi dogmatico e non dialettico, così da costringerti a rifiutarlo.
    Il problema è che qua mi sembra si stia cercando di evitare il nocciolo della questione.


  • Enrico Campofreda

    Noccioliamo pure, ci aiuterà.


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