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Rogo di Centocelle. Tragedie Rom e dell’informazione

I giornali danno notizia dell’arresto di un rom accusato del rogo nel campo nomadi di Centocelle, dove sono morte tre giovanissime zingare. Gli indizi non mancano, ma tali restano almeno fino a martedì, data in cui verranno svolti accertamenti sulle impronte.
Leggere titoli come “Preso il killer” fa pensare che l’Italia non sia uno stato di diritto, anche se poi l’articolo parla sia degli indizi che del possibile alibi.
Comunque si intrecciano storie di vita e di malavita, faide tra famiglie: la storia delle tre bambine arse vive per un incendio appiccato da una molotov; la storia della studentessa cinese finita sotto il treno mentre rincorreva chi l’aveva derubata. Il ladro era poi stato identificato nel rom che oggi è indiziato per il rogo.
Più precisamente il ladro sarebbe stato individuato grazie alla denuncia di un altro rom alla polizia. Un senso civico che sa anche di vendetta, perché il denunciante apparteneva a una famiglia da lungo tempo in lotta furiosa con quella del denunciato. I media parlano di lotte intestine nel settore di attività di rottamazione dei metalli, ma anche in quella, clandestina, di ricettazione dei gioielli rubati. Si fa riferimento a scambi di molotov che risalgono indietro nel tempo.
Così si arriva alla molotov che ha appiccato il fuoco alla roulotte in cui viveva la famiglia del denunciante, comprese le giovani arse vive; da qui si farebbe presto a far tornare i conti: faida, spiata, vendetta.
Un’ipotesi, lecita in quanto tale, che non legittima però titoli assertivi, da “sbatti il mostro in prima pagina” in attesa del processo. Tra l’altro, l’odio tra le famiglie era così manifesto che se qualcuno ci si fosse voluto inserire per altri fini sarebbe stato un gioco nemmeno troppo difficile.
Piuttosto altre cose ancora andrebbero dette e altri punti andrebbero chiariti. I cognomi delle due famiglie, sono entrambi musulmani di Bosnia, almeno alle origini, sia i Seferovic, che gli Halilovic, anche se tra i rom i cambi di appartenenza religiosa sono più frequenti che altrove.
La Bosnia in guerra degli anni 90 è soprattutto una terra dove le famiglie scappano, sotto le bombe e in mezzo agli spari; altre famiglie rimangono, ma a volte restano senza la casa, che le bombe e gli spari distruggono, e occupano le case lasciate vuote da chi è fuggito. La guerra finisce, i fuggitivi ritornano, ma gli occupanti non rinunciano alla casa conquistata in assenza dei proprietari. E’ lotta per sopravvivere e spesso ci scappa il morto: le hanno chiamate guerre etniche là dove a volte si fa appello a una cultura o a una religione comune per farsi forza, gli uni contro gli altri.
Tra i rom, in Bosnia, più che altrove. Da qui un incendio continuo, che prosegue anche in terra straniera, spesso, ma non sempre, nel nome di un dio che richiami odio: a Torino, sette anni fa, i rom musulmani chiedono l’apartheid nei pulmini che portano i bambini a scuola, per non mescolarsi ai rom ortodossi. In effetti, su quel pulmino, erano risse quotidiane.
Poi a Roma, quel che nessuno ricorda, nel 2013, a Castel Romano, rom serbi di una piccola comunità che scappano per sfuggire alle aggressioni continue dei rom bosniaco musulmani, che sono la grande maggioranza.
Alla Giunta Marino scappa un provvedimento inaudito: i rom serbi devono tornare là dove la loro vita è in pericolo. Insorgono gli operatori e i Radicali si fanno portavoce della protesta.
Coincidenza vuole che un campo ritenuto più tranquillo fosse quello di Centocelle, alcuni vi si rifugiano. L’affollamento diventa insostenibile: come topi in trappola, il rischio è la guerra di tutti contro tutti, a prescindere dalle religioni.
Tornano le storie di vita e di malavita. Dapprima le molotov degli Halilovic contro i Seferovic, poi la risposta. Infine, molto di recente, i Seferovic abbandonano il campo, ma anche gli Halilovic non si sentono tranquilli là dentro, se è vero che la roulotte incendiata si trovava in un parcheggio all’esterno.
Anziché proferire sentenze preventive sentiamo la necessità di esprimere interrogativi. E’ mai possibile che in tutti questi anni nessuno abbia capito che quel campo sempre più affollato poteva diventare anch’esso il contenitore di una miscela esplosiva, una bomba da disinnescare? Con tutto quello che era accaduto altrove? Con tutto quello che era accaduto a Castel Romano? Comunque siano andate le cose, nella vicenda delle tre giovani uccise, quali ne siano stati i responsabili e quali siano stati i reati che hanno fatto da cornice a tutta la vicenda.
Non abbiamo certezze da sbattere in prima pagina, ma ci sono dubbi che andrebbero comunque chiariti.

 

da Facebook

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