Si ritorna a parlare della classifica Transparency International sulla corruzione nel mondo, dove l’Italia si collocherebbe terza in Europa dopo Bulgaria e Grecia. Trattandosi come è noto di corruzione percepita, lo strumento è semmai utile per misurare l’autostima dei popoli più che la diffusione del reato: sicché è già tanto se non ci troviamo in prima posizione. In attesa che escano le nuove pagelle mi piace offrire un contributo pedante al dibattito, di cui propongo nel seguito una prima puntata sulla situazione – quella vera – di un Paese a me molto caro: l’Austria.
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Qualche mese si fa si apprendeva che nel villaggio di St. Wolfgang, in Alta Austria, la quasi totalità degli immobili non sarebbe in regola con i permessi edilizi, per un totale di 974 infrazioni su 1067 unità: il novantuno per cento. Una vicenda di abusivismo che come già le mazzette di Peter Hartz, lo scandalo delle centraline Volkswagen e altri più o meno noti casi di corruzione (qui un promemoria, qui un commento) hanno fatto vacillare per qualche minuto la credenza tutta italiana in un mondo tedesco baciato dal successo perché ligio alle regole.
Per restare in Austria, è leggendaria la vicenda dell’ospedale generale di Vienna (AKH) il cui costo è lievitato di 45 volte nel corso di una pluridecennale storia di tangenti, costi gonfiati, errori, malaffare e ritardi che lo hanno reso il nosocomio più costoso d’Europa, se non forse del mondo. Quando fu inaugurato nel 1994, con trent’anni di ritardo, per la sua costruzione erano stati spesi 3,12 miliardi di euro. Negli anni Novanta si ricordano i casi di altre grandi opere: l’ampliamento della metropolitana viennese, la costruzione dell’aeroporto di Schwechat e la realizzazione dell’autostrada A11 dei monti Karawanken, i cui costi lievitavano di centinaia di milioni di euro per i cartelli illegali delle aziende coinvolte e la collusione dei funzionari. Più recentemente, nel 2012, il nuovo terminale Skylink dell’aeroporto viennese è stato consegnato con quattro anni di ritardo, a quasi il triplo del costo preventivato e con un contorno di procedimenti penali per frode, appropriazione indebita, corruzione, malagestione e irregolarità di esecuzione. Nella relazione di collaudo si elencavano 3000 difetti costruttivi, di cui un centinaio «potenzialmente letali».
Nel 2010 Mark Pieth, capo del Working Group on Bribery in International Business Transactions dell’OSCE, definiva l’Austria «un’oasi di corruzione». Un anno dopo l’edizione internazionale dello Spiegel aggiornava i lettori sugli ultimi scandali viennesi definendo la capitale austriaca «un intrico di malaffare». Nel frattempo un gruppo di artisti locali trovava il modo di monetizzare l’andazzo dando vita a un Istituto di corruzione applicata (Institut für angewandte Korruption), con tour guidati nei santuari della corruzione viennese, seminari e un libro per diventare «più belli, più ricchi e più intelligenti» con le mazzette.
I casi più gravi esplodono nel nuovo millennio, come il mega-scandalo Telekom Austria, una saga inaugurata nel 2000 con sei filoni processuali a carico di politici e appaltatori di centrodestra che per anni hanno utilizzato l’azienda per beneficiare sé e i clientes. I reati vanno dalla turbativa d’asta alla manipolazione di titoli, dal finanziamento illecito ai partiti alle sponsorizzazioni non autorizzate, dalle fusioni societarie in perdita alla corruzione pubblica e privata. O come l’acquisto dei caccia Eurofighter per i quali politici e alti ufficiali intascavano dal produttore tangenti per un totale record: quasi 100 milioni di euro. Nell’affare BUWOG l’ex ministro dell’Economia Karl-Heinz Grasser (FPÖ) percepiva provvigioni illegali per centinaia di migliaia di euro sulla privatizzazione degli alloggi popolari di Vienna. Nel 2013 Ernst Strasser, già ministro degli Interni (ÖVP) e poi eurodeputato, finiva in carcere per essersi venduto come lobbista presso il Parlamento europeo. In casa SPÖ l’ex cancelliere Werner Faymann si faceva pagare dalle ferrovie e dalle autostrade dello Stato la campagna elettorale mentre era ministro dei Trasporti. Sotto il governatorato di Jörg Haider il Land della Carinzia acquistava dal sindacato nazionale tre villaggi turistici affacciati su altrettanti laghi al prezzo monstre di 42 milioni di euro (furono rivenduti pochi anni dopo a un terzo del valore), di cui oltre 700 mila euro finiti nelle casse del partito.
Non mancano gli scandali bancari. Nel crack della BAWAG (Bank für Arbeit und Wirtschaft), forziere della socialdemocrazia austriaca e roccaforte del suo centrosinistra, in pochi anni un ristretto gruppo di dirigenti bruciava quasi un miliardo e mezzo di depositi in operazioni ad alto rischio presso società di comodo ai Caraibi e prestiti insolvibili a speculatori amici, occultando le perdite ai correntisti, agli organi di controllo e all’azionista unico: quello stesso sindacato ÖGB che dovrà in seguito vendere i tre laghi carinziani, con annesse tangenti, per cercare di coprire il buco.
Ancora più tragico e rocambolesco il fallimento di Hypo Bank Alpe Adria. Nei primi anni 2000 l’istituto si lancia in speculazioni ad altissimo rischio vantando la garanzia del socio pubblico di maggioranza, il Land della Carinzia. Le cose vanno male e con la crisi perde tutto. Nel 2009 interviene il Ministero, la banca è nazionalizzata e diventa una bad bank. Il Land, a cui spetta l’onere di ripianare debiti per miliardi di euro, evita la certezza del fallimento grazie a un accordo in extremis con i creditori e a un ulteriore intervento dello Stato, che i carinziani dovranno rimborsare scontando mezzo secolo di lacrime e sangue. Il disastro Hypo Bank è costellato da un lunghissimo catalogo di reati con numerose inchieste ancora in corso: finanziamenti illeciti ai partiti, false comunicazioni, bilanci truccati, conti segreti, riciclaggio e tangenti, ma anche affari con mafie e trafficanti d’armi balcanici.
I casi qui accennati sono i più illustri, quelli la cui enormità ha reso inevitabile l’intervento della magistratura e una certa risonanza mediatica. Ma nella sostanza esemplificano, sia pure ai massimi livelli, uno stile di clientele, favoritismi e disinvoltura istituzionale che secondo alcuni non rappresenterebbe l’eccezione, anzi. Scrive Robert Brettschneider in Tu felix Austria (2012):
Ritengo che lo scandalo AKH [l’ospedale, ndP] sia sintomatico della situazione in Austria. È una storia di corruzione, economia di relazione e occultamento: cose assolutamente normali e socialmente accettabili da queste parti. Se non fosse che le dimensioni di questo progetto sono diventate così mastodontiche da far sì che anche le tangenti che quasi obbligatoriamente lo accompagnarono abbiano superato largamente la “misura tradizionale”.
La «normalità» e la «accettabilità sociale» di un fenomeno hanno a che fare con la sua percezione, sicché forniscono anche una chiave di lettura della più blasonata classifica della corruzione mondiale. Qui l’Austria, quella sopra descritta, si colloca al diciassettesimo posto tra i virtuosi del mondo. Nella civiltà dell’immagine conta, appunto, l’immagine che si ha di sé.
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Quindi? Contrordine? Non facciamocome? Elaboriamo il lutto? No. Perché come spesso accade, il problema non sta nella risposta ma nella domanda, nella proposizione stessa del problema. Se in questa puntata ci siamo presi la pena di stare al gioco triste della Schadenfreude per dare una sfoltita al senso di inferiorità nazionale, nella prossima cercheremo più pedantemente di indovinare la radice ideologica di queste competizioni senza frontiere che tanto piacciono a chi odia il proprio Paese.
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