Tirare giù un abbozzo di bilancio di queste elezioni comunali può essere facilissimo o complicato, dipende da quali elementi si vogliono cogliere.
Se stiamo alle indicazioni macro, certamente va registrata la batosta dei Cinque Stelle. Una marcia indietro che non può essere spiegata con la debolezza storica nelle elezioni amministrative (dove contano molto legami e clientele locali, molto meno il voto d’opinione), ma chiama in causa l’incredibile – per la base elettorale grillina, decisamente più ampia del ristretto gruppetto iscritto alla piattaforma Rousseau – accordo di governo con la Lega.
Nella nascita di questo governo pesano infatti almeno tra “tradimenti” dell’identità:
a) non andremo mai al governo con altri partiti politici;
b) non ci confonderemo mai con i corrotti e i loro amici (la Lega è invece rimasta pilastro del centrodestra, con Berlusconi impegnato a fare una finta opposizione);
c) il presidente del consiglio deve essere scelto dagli elettori.
A contorno di questi tre strappi violenti con la propria storia, c’è poi la verifica empirica che l’abbraccio mortale con Salvini va a vantaggio esclusivo dei leghisti, molto più solidi, sperimentati e capaci di determinare l’agenda politica, a partire dalle “parole d’ordine” del momento.
Volendo essere concreti, il problema va secondo noi inquadrato in questi termini. La Lega ha una base sociale chiara, per quanto disomogenea: la piccola e media impresa, non solo settentrionale, i commercianti e una certa quota di lavoratori dipendenti (specie del nord) che ha creduto alla “cancellazione della Fornero”. Ha un collante ideologico nel fomentare la “guerra tra poveri”, identificando nell’immigrazione la causa di tutti i problemi della popolazione povera (salari bassissimi, disoccupazione, precarietà, casa, trasporti, sanità, welfare, ecc). E’ falso, ma i media mainstream lo aiutano a farlo credere vero.
Il Movimento 5 Stelle ha per anni surfato alla grande su un sentiment pro-cambiamento assai vago e generico, sull’individuazione della kasta come principale o unica causa del malfunzionamento del sistema-paese, proponendo una serie di ricette utili a raccogliere voti (i vitalizi, ecc), ma di nessun peso economico una volta prese in mano le redini del governo.
Detto altrimenti, la Lega di Salvini ha una visione generale sul tipo di “cambiamento” da realizzare in Italia, i Cinque Stelle no. La visione leghista è un classico catalogo di argomentazioni di ultradestra, puzzolente e disumano. Il discorso grillino è vaporoso, ma senza anima né spessore.
In più, nei cento giorni trascorsi dalle elezioni del 4 marzo, ha giocato un ruolo determinante la personalità dei due “leader”. Salvini ha imposto la sua grammatica e la sua agenda, piazzando la questione migranti come alfa e omega della sua azione, fino a sembrare “uno che fa sul serio” persino contrapponendosi all’Unione Europea, come ha fatto – non a caso – sulla proposta di revisione del regolamento di Dublino. Poco importa, a un elettorato abituato agli slogan senza verifica, che quell’ambito sia anche l’unico su cui il “motore” dell’Unione (l’asse Parigi-Berlino) non ha ancora deciso un atteggiamento chiaro, lasciando così spazio al classico “ognun per sé” in cui sguazzano i rospi tronfi. Poco importa, oltretutto, che sia anche l’unico ambito che non ha risvolti economico-finanziari di un qualche rilievo; ovvero quelli su cui il controllo Ue è sperimentato, ferreo, intangibile e irriformabile.
Luigi Maio, all’opposto, si è presentato ogni giorno di più come un moderato mediatore, un giovane vecchio democristiano che dà ragione a tutti, senza alcun punto fermo dirimente, disponibile ad accettare tutto e il contrario di tutto pur di andare al governo con l’aria di farci un favore.
Ce n’era abbastanza per lacerare in più punti la “bolla speculativa” della narrazione messa in piedi da Grillo – più volte smentito e zittito dal suo figlioccio – e dagli esperti della Casaleggio & C. Alla prova dei fatti, e con molta più nettezza e rapidità di quanto non sia avvenuto con la Raggi a Roma, quel “non essere né di destra né di sinistra” si è rivelato un non essere assolutamente nulla. Una patina di nuovismo, ethically correct, iper-legalitario e manettaro, spalmabile all’esistente senza metterne in discussione alcun elemento decisivo. Resta, entro certi limiti, il merito di aver liquidato una classe politica inetta, servile e impresentabile (il Pd integralmente, solo in parte i berluscones). Ma per reggere la sfida del dare risposta ai problemi di una popolazione, ogni giorno più stressata dalla crisi e dall’austerità, è davvero troppo poco.
Così restando le cose, insomma, quel Movimento ci appare destinato a sgonfiarsi alla stessa velocità con cui è cresciuto. E certo non lo aiutano figuracce come quella del sindaco di Livorno, Nogarin, che prima fa sapere di voler “disobbedire” a Salvini ospitando in porto le navi delle Ong che salvano profughi in mare, e dopo pochi minuti cancella tutto per non disturbare l’idillio di governo.
Il Pd, da questa tornata, esce malconcio ma un po’ meno di quanto avvenuto il 4 marzo. Sopravvive là dove ha dirigenti sperimentati (Esterino Montino a Fiumicino, Emiliano Del Bono a Brescia), mentre tracolla ovunque si è affidato ai simil-Renzi-Martina.
Non si può, naturalmente, tacere del risultato di Potere al Popolo, là dove si è presentato. In genere ha ripetuto o migliorato il risultato del 4 marzo, a conferma della bontà di una scelta. Si sarebbe potuto e dovuto fare ancora meglio, se in qualche territorio non avessero prevalso vecchie logiche da “vecchia sinistra” che hanno limitato la presenza della lista. Ma, come si è detto fin dall’inizio, il momento elettorale – utile per far conoscere come soggettività unitaria un complesso di pratiche sociali altrimenti polverizzate sul territorio, dunque ignote ai più – è solo il momento in cui si verifica la bontà e la profondità di un lavoro sociale concreto.
Ovvio che in tre o sette mesi – quelli passati dal 4 marzo o dalla prima assemblea nazionale – oltretutto tormentati dall’urgenza di fare tutto quel che bisogna fare per partecipare seriamente a un’elezione (a due, per alcuni comuni), molto tempo è stato occupato in attività che poco hanno a che fare con l’organizzazione del conflitto sociale e politico. A cominciare dalle discussioni su di sé – come organizzarsi, come chiarire punti programmatici, come scambiarsi esperienze di pratiche sociali conflittuali, ecc – che hanno trovato un primo ma importante momento di sintesi nella due giorni di Napoli.
Ora c’è un lungo periodo (più o meno un anno, se non ci sono sfracelli al momento non calcolabili in dettaglio) in cui l’azione di Potere al Popolo deve dispiegarsi nei territori, radicarsi, creare comunità e un blocco di interessi sociali solidamente uniti. L’afflosciarsi, probabilmente rapido, della “bolla grillina” richiede un protagonismo serio, concreto, fisico, per presentare una alternativa credibile.
Cominciamo con la tappa di sabato, a Roma.
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federica
Che analisi sbagliata. Siete stupidi e in malafede.
Redazione Contropiano
delle due l’una: o stupidi o in malafede, entrambi è impossibile. Il primo è un deficit cognitivo, il secondo un atteggiamento. E se magari invece avessimo grattato sotto la superfice?
tony sboboda
condivido l’analisi, lo sgonfiamento del fenomeno grillino era da tempo pronosticato. Non sono però tanto ottimista sulle prospettive della sinistra cosiddetta radicale. Al momento i risultati di quelli che si sono presentati (Rifondazione Comunista, Partito Comunista e Potere al Popolo) sono semplicemente pietosi.
marco
anche il PC di rizzo resiste e in una tendenza di regressione generale, in certi posti addirittura avanza.
Tant’è che a fare la somma matematica, certo fallace ma indicativa, se PaP e PC avessero presentato una lista di coalizione, in alcuni posti avrebbero ben superato la fatidica soglia del 3%.
Dando così rappresentanza sia ai comunisti che ai movimentisti.
Questo dato, se non per amore, quantomeno per logica (fredda e atroce aritmetica), dovrebbe essere uno stimolo ad iniziare quel benedetto dialogo che molti compagni si chiedono perchè si continui ad ignorare.
Il PC la mano al dialogo l’ha tesa già da prima del 4 marzo.
Da PaP….. non pervenuto….
fate voi.
Redazione Contropiano
Sinceramente, non ci risulta proprio (che il Pc abbia teso una mano al dialogo). E qualcosina presumiamo di saperne…
Daniele
Concordo con la Redazione: nessun micro partitino comunista, PC compreso, ha teso una mano a nessuno, anzi è stato proprio Potere al Popolo a fare un discorso di unificazione, ma a quanto pare molti continuano a guardarsi l’ombelico per poi dire come sono bravi, belli e buoni.
marco
a me risultano due appelli.
uno prima e uno dopo le elezioni.
Credo siano ancora sul sito ufficiale.
Redazione Contropiano
In questo mondo, tra organizzazioni, si prende il telefono e ci si parla… pubblicare un appello e metterlo sul proprio sito – lo sappiamo tutti – non serve a nulla. Solo a pulirsi la coscienza, dopo…
marco
certo, come sappiamo che in politica anche i gesti formali contano.
Specie tra realtà in cui ci sono componenti che hanno una difficoltà storica a parlarsi.
Con tutto il rispetto, volendo liquidare questo gesto come pro-forma, si sarebbe dovuto rispondere con un altrettanto pro-forma “ok parliamo” e vedere se erano rose che potevano fiorire.
Mi sembra che questa seconda parte parte da parte di PaP sia mancata.
Poi scusate, non dovrei essere io a dirlo, legato come sono per formazione e storia, alla forma-partito (e al centralismo democratico), ma almeno come inizio di un dialogo, la telefonata tra gruppi dirigenti, mi sembra una pratica vecchia ed escludente dalla quale ci vorremmo tutti liberare.
Meglio sarebbe una pubblica risposta e altrettanto pubblico dibattito.
Redazione Contropiano
La noia delle procedure che sarebbe stato giusto usare produce sbadigli infiniti… Se Rizzo voleva dialogare aveva mille modi per farlo sapere. Non l’ha fatto. Punto.
marco
quindi un comunicato ufficiale del CC del partito non è uno di questi mille modi?
Diciamo che non lo ha fatto nei modi che (alcuni) dentro PaP volevano.
Ammetto che anche per me il dialogo con i movimentisti non sia il massimo e che alla luce di interventi scollati dalla realtà attuale, come quello di daniele, la tentazione di buttare a mare ogni tentativo di dialogo sia forte.
Ma quello che mi chiedo è perchè dall’altra parte non c’è stato nemmeno quel gesto (per qualcuno), insufficiente e sbagliato che è venuto dal PC?
Perchè PaP non spariglia le carte, sorprende tutti e non fa quel gesto di dialogo, con tutti crismi corretti che il protocollo richiede?
Quantomeno aprirebbe delle contraddizioni e politicamente avrebbe segnato un punto.
Temo che oltre alla scarsa consapevolezza delle forze attuali, la difficoltà nel trovare un dialogo stia in un malcelato senso di competizione tra simili.
Il che purtroppo, ci rende invece più simili a coloro che vorremmo combattere.
In questo atteggiamento, mi sembra di vedere la stessa arroganza che c’era nella rifondazione comunista di bertinotti.
La stessa che ha portato alcune componenti tra i compagni alla scelta tattica di appoggiare i 5 stelle.
cosa che poi si è rivelato un errore clamoroso.
lo dico con il rispetto (per la base), la consapevolezza e la profonda, profondissima amarezza di chi dentro quel partito ci ha passato 23 e rotti anni.
Oltre ad aver contribuito a fondarlo.
Redazione Contropiano
Ultima risposta. Sembra sfuggirti il fatto che la comunicazione tra esseri umani – singoli, collettivi, organizzazioni – o viene indirizzata a qualcuno oppure è un appello generico-solipsista di cui non è affatto detto che gli altri si accorgano. Specie per le organizzazioni “comuniste”, che sono un’infinità, constano di poche persone ognuna, e quindi tendono a parlare da sole.
L’appello di Potere al Popolo ha seguito linee un po’ meno solipsistiche, arrivando persino sui media mainstream – per puro caso, probabilmente, dovuto a quei curiosoni di Blob – e quindi l’anno saluto praticamente tutti. Tutto qui. Ed è di una noia mortale…