E così è passato anche il 1 settembre e con esso le celebrazioni per l’80° dell’inizio della Seconda guerra mondiale. Sul perché queste si siano svolte a Varsavia e non, per esempio, a Pechino, e perché quest’anno e non due anni fa, gli storici cinesi avrebbero forse qualcosa da dire. Ma, di questo, più avanti.
Già diversi mesi fa, quando Varsavia aveva cominciato a trasmettere gli inviti per la commemorazione, si sapeva che Mosca sarebbe stata esclusa. Quando sono in gioco gli interessi di supremazia regionale, contemporanei e futuri, reali o agognati, torna conto considerare la Mosca post-1991 (o anche post-1956) erede di quell’Unione Sovietica che l’odierno governo di Varsavia reputa “complice della Germania nazista” nell’aggressione alla Polonia nel settembre 1939: la Russia di Vladimir Putin non è stata chiamata alle commemorazioni. Per la verità, nel 2009, Vladimir Putin era presente alle celebrazioni per il 70°; ma le cose cambiano, ha detto il vice Ministro degli esteri polacco Shimon Shinkovsky Wiel Senk, che ha “giustificato” l’esclusione di Mosca sentenziando che la Russia non sarebbe interessata alla “verità storica”. In compenso, c’era la Germania, anche se il Presidente Frank-Walter Steinmeier non ha fatto parola su ciò che oggi più preme ai polacchi: qualche centinaia di miliardi di euro come “riparazioni” postbelliche. E, insieme a capi di Stato e di governo di un’altra quarantina di Paesi, c’era anche l’Ucraina golpista che, quanto a “verità storica” su Volinija, OUN-UPA, eroicizzazioni banderiste e altro, non la pensa esattamente come Varsavia.
Il presidente polacco Andrzej Duda ha dichiarato che Hitler e Stalin, con il Patto Molotov-Ribbentrop, si accordarono per “distruggere” la Polonia, ma che la “Russia si comporta tuttora come se non ne sapesse nulla”; che alla fine della guerra la Polonia si ridusse a “ostaggio del comunismo” e che per la Polonia, “la guerra mondiale e le sue conseguenze si sono concluse solo nel 1989″; che oggi Varsavia vuole a tutti i costi l’apertura sul proprio territorio non solo di un ”Fort Trump” – sul che, Donald ha già posto il veto – ma anche di un “Fort Merkel”: più uomini e mezzi militari USA e NATO per “contenere l’aggressività russa”. Gli ha fatto eco la Presidente estone Kersti Kaljulaid, convinta che la guerra sia terminata per il suo paese solo “25 anni fa, quando gli ultimi vagoni coi mezzi militari delle truppe d’occupazione lasciarono il nostro territorio”.
Con ciò si potrebbe anche concludere; ricordando solo di sfuggita come il vice Presidente USA Mike Pence (Donald Trump ha motivato la propria assenza con le previsioni meteo) abbia dichiarato che “i polacchi trasformarono una terribile sconfitta in una grande vittoria”. E se a Mosca oggi si sottolinea come Stati Uniti e altri Paesi occidentali avessero svolto un ruolo importante nel rilancio del potenziale militare tedesco (il 70% dei prestiti a lungo termine era statunitense); se topwar.ru nota che le parole di Pence sono risuonate un po’ ambigue a Varsavia, dato che nella moderna storiografia polacca non è ben accolta la parola stessa di “sconfitta”, la Tass si limita a ricordare che, “per la liberazione della terra polacca dagli hitleriani che l’avevano invasa nel 1939, diedero la vita 600.000 soldati sovietici”.
Ora, più di una volta, anche sulle colonne di questo giornale, è stato ricordato come ben prima – e con ben più serie conseguenze – del cosiddetto “patto Molotov-Ribbentrop” del 23 agosto 1939, ci fossero stati Monaco (1938), il Polsko-niemiecki pakt o nieagresji (gennaio 1934), il rifiuto polacco a qualunque accordo con Mosca, che non fosse preventivamente concordato con Berlino; come sin dall’insediamento al potere di Hitler si fossero susseguiti tutta una serie di passi tedeschi (e in alcuni casi, d’accordo con Varsavia: vedi lo smembramento della Cecoslovacchia) in funzione della guerra, dall’abbandono della Lega delle nazioni, alla rimilitarizzazione della Renania, al patto “RoBerTo”, solo a parole contrastati, quando non apertamente giustificati, dalle maggiori potenze occidentali.
Al contrario, proprio dal 1932-’33, la politica estera sovietica aveva cominciato a muoversi nel tentativo di sventare la minaccia di guerra che si faceva sempre più incombente: la ricerca di patti, alcuni raggiunti, altri no (il “Patto orientale”, ad esempio, respinto da Germania, Polonia e Gran Bretagna), con Francia, Cecoslovacchia, Paesi della “Piccola Intesa”, adesione alla Lega delle Nazioni, ecc; tanto che oggi alcuni storici russi – per tutti: Jurij Žukov – sembrano inquadrare proprio in quest’ottica anche le lotte interne al Partito bolscevico negli anni ’30, coi tentativi delle opposizioni di ricorrere al terrorismo individuale nei confronti della cosiddetta “direzione ristretta” del Politbüro, per la sua politica di ricerca delle alleanze con i Paesi democratico-borghesi, nella speranza di allontanare dai confini sovietici l’aggressività nazista. Per buona parte degli anni ’30, l’URSS tentò ogni sforzo per creare un sistema di sicurezza europeo, mentre, ad esempio, il rifiuto polacco di consentire alle truppe sovietiche l’attraversamento del proprio territorio in caso di ulteriori aggressioni naziste, privava di significato la convenzione militare anglo-franco-sovietica.
I pan polacchi si muovevano nell’ottica di una rinascita della “Grande Polonia” del XVIII secolo, sognando “lo smembramento della Russia”, preparandosi “con largo anticipo, materialmente e spiritualmente alla sua spartizione”. Nel gennaio 1939, dopo l’incontro a Berlino con il Ministro degli esteri polacco Józef Beck, Joachim von Ribbentrop riferiva a Hitler che “la Polonia afferma ancora di mirare all’Ucraina sovietica e a uno sbocco sul mar Nero, da raggiungere insieme al Reich e alla Romania”. Nel marzo del 1939, i comandi militari polacco e tedesco avevano messo a punto il piano “Questione orientale” che, secondo le memorie del primo Presidente della Polonia postbellica, Bolesław Bierut, prevedeva “attacchi congiunti tedesco-polacchi contro Minsk, Gomel, Žitomir e Kiev”. Questi, sono solo alcuni dei momenti su cui la Varsavia odierna e i suoi apologeti preferiscono soprassedere.
E dunque: dieci anni fa, in occasione del 70° anniversario dell’inizio della Seconda guerra mondiale, Jaroslav Butakov osservava su stoletie.ru che si potrebbe sollevare qualche dubbio sul fatto che tale inizio sia coinciso con l’avvio delle “ostilità in Europa” e notava come in ciò prevalga un “preconcetto eurocentrismo”. Tra l’altro, diversi conflitti, solo nominalmente locali, avevano preceduto il 1 settembre 1939: a cominciare dalla guerra civile spagnola, in cui, di fatto, “alcuni futuri nemici della Seconda guerra mondiale si trovavano già sui lati opposti della linea del fronte: l’Unione Sovietica aiutava la Repubblica, la Germania e l’Italia il dittatore Franco. E nell’aprile del 1939 l’Italia occupava militarmente l’Albania”, dopo che nel 1935 aveva attaccato l’Etiopia.
Nel famoso Breve corso della Storia del VKP(b), pubblicato nel 1938, era scritto che “La seconda guerra imperialista è già iniziata. È iniziata in sordina, senza dichiarazioni di guerra”; vale a dire, osserva Butakov, “per i contemporanei, già nel 1938 era chiaro che era in corso la Seconda guerra mondiale, che presto sarebbe divampata con fiamme ancora più chiare”. Chi accusa l’URSS di aver provocato lo scoppio della guerra, “dovrebbe studiare il Breve corso. Vi è tracciata nero su bianco l’intera politica dell’URSS, prima e durante la Seconda guerra mondiale: conservazione a qualsiasi prezzo dell’unico stato socialista al mondo, ossia la Russia, e non “esportazione del comunismo” attraverso la “rivoluzione mondiale” e avventure militari”.
In effetti, la versione dell’inizio della seconda guerra mondiale solo il 1° settembre 1939 è una “versione pro-occidentale” scrive Butakov; “la storiografia sovietica, adottandola negli anni ’50, ha con ciò tranquillamente solidarizzato coi nostri avversari geopolitici”, i quali erano “guidati dalla stessa aspirazione di adesso: riversare sull’URSS la responsabilità dello scoppio della guerra e porre il patto Molotov-Ribbentrop come suo punto di partenza”. Al contrario, l’invasione della Polonia nel 1939 non fu il primo atto di aggressione nazista in Europa. Nel marzo del 1938, nessuna potenza occidentale aveva risposto all’anschluss dell’Austria; e nel settembre 1938, con il beneplacito diretto di Gran Bretagna e Francia, la Germania aveva violato la sovranità della Cecoslovacchia. Quindi, l’accordo di Monaco del 29-30 settembre 1938 può giustamente essere considerato l’inizio della Seconda guerra mondiale (ancora senza sangue) in Europa”.
Tra l’altro, il successivo attacco nazista all’Unione Sovietica del 22 giugno 1941, fu solo formalmente un attacco tedesco. Oltre alla Germania, erano ufficialmente in guerra contro l’URSS, Italia, Romania, Ungheria, Finlandia, i governi fantoccio di Croazia e Slovacchia. La Spagna franchista, senza dichiarare guerra, inviò una divisione volontaria; migliaia di volontari di altre nazioni d’Europa erano arruolati nella Wehrmacht; divisioni e brigate SS erano composte di francesi, valloni, olandesi-fiamminghi, scandinavi, croati, albanesi, baltici, ucraini. Gli storici inglesi hanno da tempo stimato che il numero di francesi arruolati nella Wehrmacht fino all’estate del 1944, era più alto del numero di coloro che combatterono nella resistenza e nella “France libre” del generale de Gaulle.
Gli storici cinesi, scrive infine Butakov, sono convinti che la Seconda guerra mondiale sia iniziata con l’attacco giapponese alla Cina, il 7 luglio 1937. E ciò sembra convincente, dato che si trattava di una guerra tra paesi con una popolazione complessiva, all’epoca, di oltre mezzo miliardo di persone – più di tutta l’Europa – e che, fin dall’inizio, URSS e Stati Uniti fornirono assistenza alla Cina. Inoltre, nel periodo che separa l’attacco giapponese alla Cina da quello tedesco alla Polonia, l’Unione Sovietica fu coinvolta in tre conflitti (oltre a incidenti di frontiera minori) con il Giappone – sulle isole Konstantinov sull’Amur (1937), al lago Hassan (1938) e sul fiume Khalkhin-Gol (1939).
E’ ormai diventata una tradizione annuale, scriveva ieri la russa RT, quella di incolpare l’Unione Sovietica, ogni 1 settembre, per l’attacco della Germania nazista alla Polonia nel 1939; e iarex.ru aggiunge che, purtroppo, questa folle logica è diretta ai più alti livelli: nel 2009, il Parlamento europeo ha proclamato il 23 agosto – data della firma del Trattato di non aggressione tra Germania e Unione Sovietica – “Giornata a ricordo delle vittime dello stalinismo e del nazismo”. Per qualche motivo, il Parlamento europeo non ha ancora trovato il tempo di proclamare, ad esempio, una “Giornata a ricordo delle vittime del franchismo” o “delle vittime dell’imperialismo britannico”.
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Elio Mascolo
Purtroppo la storia la hanno sempre scritta i vincitori.
Ora, a riscriverla sono i padroni dei vincitori e In un Europa sempre più ignorante, verità storica e obiettività non hanno più “diritto di asilo”…