Che dite, sarà un caso? Da settimane continuano le “proteste democratiche” in Bielorussia, per lo più all’insegna del “No all’aggressore” del Cremlino, e per il 4 gennaio è in programma l’incontro del Segretario di stato Mike Pompeo con il presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko, a coronamento di tutta una serie di “visite” di delegazioni occidentali nel 2019, sia in Bielorussia, che in Ucraina.
A Mosca, fanno notare (un po’ a denti stretti) che i Ministeri degli esteri russo e bielorusso hanno un programma di azioni concertate e l’amministrazione presidenziale russa ha specificato che Minsk ha il diritto di ricevere qualsiasi politico straniero.
“Sappiamo comunque il perché dell’arrivo di Pompeo, cosa ciò preannunci e quali siano le trasformazioni interne bielorusse che hanno reso possibili le visite a Minsk di politici occidentali di primo piano”, scrive TG-canal. E sappiamo anche “dove si dirigerà la Bielorussia dopo tutte queste visite, nel corso delle quali la leadership riceve precise istruzioni sul sabotaggio dell’integrazione con la Russia, sul soffocamento della lingua russa, il sostegno all’Ucraina e l’accesso delle ONG occidentali“.
Per dire, sono già una ventina le missioni dei funzionari della Banca Mondiale in Bielorussia, con l’organizzazione di centinaia tra seminari e incontri a vari livelli.
Non sono sicuramente solo bizze personali del bat’ka, il capo-padre bielorusso, le sue ripetute oscillazioni sui fronti energetico e commerciale con Mosca; sembra abbastanza evidente il suo tentativo di barcamenarsi tra due opposti fronti interni: quello di chi è favorevole alla proclamata (ma sinora oltremodo condizionale) integrazione, e quello degli oppositori, che si riuniscono sotto bandiere UE e USA.
I continui “ammonimenti” che Aleksandr Lukašenko lancia a Mosca sui prezzi di gas e petrolio, sembrano proprio voler dire “veniamo a patti, che, se no, il gas lo prendiamo dagli yankee e io lascio mano libera alle truppe cammellate di Washington”. Una cosa che non sembra voler fare veramente, anche perché ne andrebbe della sua stessa posizione.
In ogni caso, gli ascari del “mondo libero” ci sono e sono anche molto attivi, per quanto nient’affatto numerosi, a detta di Lukašenko, ma ben sponsorizzati. È di 3 milioni di euro il programma triennale del Partenariato orientale “Sostegno alla politica economica della Repubblica di Bielorussia”, e il paese è avvolto da una rete di progetti sovvenzionati da oltreoceano e da Bruxelles, con cui si selezionano gli attivisti, preferibilmente giovani, gruppi, associazioni, ecc. da istruire: niente politica e, come dal nulla, in pochi anni, eccoli fedeli a USA e UE.
Per l’appunto, Pompeo potrebbe trovare terreno favorevole a Minsk, dal momento che, come ha dichiarato il 25 dicembre il Ministro per l’energia russo, Aleksandr Novak, il prezzo del gas verso la Bielorussia non è stato ancora concordato e le trattative continuano; quasi a voler dire: “Minsk non si attenda alcuno sconto”.
L’accordo “di principio” sulle forniture era stato raggiunto il 21 dicembre, nell’incontro tra Vladimir Putin e Aleksandr Lukašenko, ma per il prezzo sembra che la cosa sia ancora ferma alle parole del bat’ka, che spera nella continuazione del prezzo del 2019 (127 dollari/m3), per forniture di 20 miliardi di m3 di gas e 25 milioni di tonnellate di petrolio.
Non è cosa semplice. Nei giorni scorsi, facevano sapere da Gazprom che, nel terzo trimestre 2019, il prezzo medio di vendita del gas ai paesi UE è stato di 169 dollari per mille m3, mentre nel secondo trimestre era stato di 205 dollari. Gazprom, dice il capo dipartimento prezzi dell’azienda, Viktor Jatsenko, non vendeva a un prezzo così basso in Europa dal 2004, quando il prezzo medio era di 137 dollari e oggi i prezzi praticati ai paesi europei sono solo poco più alti di quelli ai paesi dell’ex URSS.
Per la verità, il messaggio sembra diretto soprattutto ai consumatori russi, per avvisarli che il prezzo di 4.050 rubli (62,74 dollari per mille m3) sarà presto rivisto, perché, ha detto Jatsenko, i profitti dalle esportazioni non sono più sufficienti a coprire il mercato interno: dunque, come in ogni “paese civilizzato”, con l’innalzamento dell’età pensionabile, cresceranno anche le tariffe energetiche.
Ma sembra comunque chiaro che, soprattutto dopo il compromesso cui si è dovuta abbassare nell’accordo sul transito del gas per l’Ucraina (e i 2,9 miliardi di dollari che Gazprom ha dovuto dare all’ucraina Naftogaz, dopo la sentenza della corte arbitrale di Stoccolma) il transito attraverso la Bielorussia diventi praticamente secondario e Mosca non acconsentirà tanto facilmente alle richieste di Lukašenko.
E anche l’atteggiamento di quest’ultimo non è fatto proprio per addolcire il clima. In una recentissima intervista alla radio Ekho Moskvy, bat’ka si è lasciato andare a qualche sortita che non piace molto al Cremlino. Come scrive l’agenzia iarex, il portavoce presidenziale Dmitrij Peskov ha respinto il suo tentativo di contrapporre le posizioni di Putin a quelle del primo ministro Dmitrij Medvedev. Peskov ha inoltre risposto con un gelido “sono cose loro” alla semi-minaccia bielorussa di dirottare al re-export di petrolio due rami dell’oleodotto “Družba”.
Sembra che Mosca non abbia intenzione di trovare scorciatoie, in attesa che l’incontro del bat’ka con Mike Pompeo chiarisca i termini concreti, sia dei percorsi pro-occidentali della Bielorussia, sia delle “proposte” yankee in campo energetico.
Nello specifico dei progetti di integrazione, pare che Lukašenko e Putin abbiano concordato di non discutere la cosiddetta “carta 31”, riguardante i futuri organi sovranazionali (Parlamento, Presidente, ecc.), mentre avrebbero discusso più che altro di “questioni doganali, economia, protezione del nostro spazio, difesa, diplomazia”.
Nell’intervista a Ekho Moskvy, bat’ka ha affermato che Bielorussia e Russia dovrebbero concordare “con calma le questioni dell’integrazione, e non creare il terreno per tutti i tipi di provocazioni e battaglie di strada per l’indipendenza e la sovranità. Dobbiamo lavorare con calma, e non lanciare ai media ogni sorta di dichiarazioni provocatorie”.
Certo, ha detto Lukašenko, “le manifestazioni ci sono: sono quelle 4-500 persone che sventolano bandiere americane e dicono di temere per l’indipendenza del paese: li capisco, e non respingo il loro punto di vista, con cui dobbiamo fare i conti. Io non avverto alcuna minaccia da parte della Russia. In questa situazione, la Russia non ha bisogno di altri grattacapi. Se ci sarà una minaccia, sarà quando avremo una pessima economia, quando sarà impossibile per le persone sopportare la situazione. Finché sono al governo, questa è l’unica minaccia. Se all’improvviso la Russia, come dicono quelle 4-500 persone, dovesse cercare di violare la nostra sovranità, si sa già come reagirebbe la comunità mondiale”.
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