Confindustria ha scelto il suo nuovo presidente e, in qualche misura – ma molto ironicamente – si potrebbe dire che è “l’uomo giusto al momento giusto”. La sua carriera “imprenditoriale” ruota intorno al suo ruolo dirigente in Synopo, marchio sconosciuto ai più perché – letteralmente – non produce praticamente nulla.
Synopo, come spiega il sito aziendale, “commercializza apparecchiature elettromedicali, servizi di assistenza ed accessori per Aziende Ospedaliere, Istituti di Cura privati, Istituti a carattere scientifico e Studi Medici”. Compra e rivende, insomma, in particolare dispositivi monouso e apparecchiature elettromedicali per la terapia intensiva e la radiologia (dopo aver acquisito il marchio Sidam), oltre a dispositivi per la neurologia, neurochirurgia e riabilitazione prodotti dalla Natus, multinazionale Usa di cui aveva rilevato nel 2013 la filiale italiana.
La biografia stilata da IlSole24Ore (organo di Confindustria) è ovviamente più empatica, e parla dei ruoli già ricoperti nel “sindacato delle imprese”: “da giugno 2017 è presidente di Assolombarda, l’associazione delle imprese che operano nella città metropolitana di Milano e nelle province di Lodi, Monza e Brianza”. Per chi conosce la storia italiana del dopoguerra, Assolombarda è come “i nazisti dell’Illinois”, per quanto riguarda le relazioni industriali e le pretese nei confronti dei lavoratori dipendenti…
Al contrario dei predecessori (Squinzi e Boccia), è stato “designato” dal Consiglio generale con una maggioranza dei due terzi (120 a 67), segno che i vertici delle imprese italiane confidano molto nella sua “linea politica”, specie di fronte alla catastrofe che si è aperta con la pandemia.
Già come presidente di Assolombarda, infatti, si era distinto per fustigare imparzialmente tutti i governi – quello “giallo-verde” come l’attuale – a botte di “meno burocrazia”, “lasciate fare a noi”, “dateci di più”, “tagliateci le tasse” e altri luoghi comuni della retorica padronale.
Le sue prime dichiarazione da Grande Capo sono in continuità esplicita con il suo stile.
«Dobbiamo metterci immediatamente in condizioni operative tali per affrontare con massima chiarezza ed energia la sfida tremenda che è davanti a noi: continuare a portare la posizione di Confindustria su tutti i tavolo necessari rispetto ad una classe politica che mi sembra molto smarrita in questo momento, che non ha idea della strada che deve percorrere il nostro Paese. Non pensavo di sentire più l’ingiuria che le imprese sono indifferenti alla vita dei propri collaboratori. La politica ci ha esposto ad un pregiudizio fortemente anti-industriale che sta tornando in maniera importante in questo Paese», sull’emergenza lockdown. «Sentire certe affermazioni da parte del sindacato mi ha colpito profondamente. Credo che dobbiamo rispondere con assoluta fermezza».
Come? Incarcerando persino Landini e la Furlan?
Le imprese, al contrario, sanno benissimo dove andare… E lo dicono con esemplare brutalità.
Bisogna riaprire tutte le aziende subito, anche se non è per nulla finita la tremenda “fase 1” dell’epidemia. Il massimo della concessione è puramente verbale (“evitare una seconda ondata di contagio”), ma contraddetta dalla richiesta di riapertura senza limitazione.
Se altri milioni di lavoratori, oltre a quel 55% registrato dall’Istat nel momento di “massimo blocco”, ricominciano a circolare tutti i giorni, prima che il contagio sia stato ridotto entro limiti “controllabili”, è inevitabile che la salute dell’intera popolazione verrà pesantemente compromessa.
Ma chissenefrega, hanno sempre detto dalle parti di Confindustria e a maggior ragione di Assolombarda. Non può essere certo un caso che nessuna area industriale della Lombardia – “feudo” sui cui insiste questo ramo dell’Associazione – sia mai stata dichiarata “zona rossa”. Nemmeno in quelle aree dove il “massacro” è stato particolarmente pesante (la Val Seriana, nella bergamasca, la provincia di Brescia, il cremonese, ecc).
Non che i predecessori al vertice di via dell’Astronomia siano mai stati “buoni” o particolarmente inclini a mediare (a meno di non esservi costretti da un movimento dei lavoratori molto forte), ma tanta iattanza veniva quantomeno mascherata sotto “buone maniere”.
Con Bonomi, invece, si fa largo un modo di intendere il rapporto tra imprese e “politica” (tutta intera, senza particolari distinzioni, anche se è palese uno strettissimo rapporto di dominanza sulla destra leghista) di assoluto comando.
Qui, forse, diventa necessario sapere chi è Carlo Bonomi e quale storia “imprenditoriale” abbia. Non è impossibile trovare notizie – per lui – sgradevoli, perché la sua resistibile ascesa ai vertici confindustriali non è mai stata accolta con favore da tutto l’ambiente.
Diciamo che fino al 2013 non se ne aveva notizia, secondo un’inchiesta de Gli stati generali (non un organo “boscevico”, ma “Un laboratorio innovativo per la comunicazione dove le aziende possano interagire in modo trasparente e governato con i potenziali consumatori e l’opinione pubblica”).
E infatti lo presentano in questo modo quando emerge, nel 2017, come candidato alla presidenza di Assolmbarda: “la storia di Bonomi è invece recentissima e trova la sua cifra nell’audacia finanziaria del private equity applicato al settore biomedicale”.
Segue la ricostruzione delle su “partecipazioni e acquisizioni” per chiarire cosa vada inteso per “audacia finanziaria applicata a…”.
Nel 2013 acquisisce per l’appunto Synopo, filiale italiana di Natus. Due anni dopo “la svolta”, con l’acquisto dell’emiliana Sidam (specializzata proprio in dispositivi monouso o per terapia intensiva). Non lo fa con soldi suoi, ma “grazie ai capitali apportati da Caravaggio Tre srl, che fa capo a Berrier Capital, società di private equity di Vincenzo Alberto Craici”.
Bonomi, nella partecipazione azionaria di Synopo, neanche compare. Per capire il suo ruolo, spiegano, “bisogna risalire di due piani e incrociare due scatole vuote”: Marsupium e Ocean. Solo in quest’ultima, nel 2017, Bonomi risulta essere socio con il 33,3%.
Tradotto dunque in quote della “controllata Synopo”, a quella data, “secondo gli ultimi dati della Camera di Commercio di Milano, il candidato alla presidenza di Assolombarda ha in trasparenza appena il 4,5% dell’azienda che espone sul suo biglietto da visita, la Synopo. Una quota che a monte della piramide societaria corrisponde a un impegno di capitale di soli 31mila euro”.
Con un po’ di buona volontà, la troviamo anche noi, una cifra del genere…
Ocean è una scatola vuotissima. Nel 2014 dichiara ricavi per 1.300 euro, zero l’anno dopo 9.700 nel 2016. Però riesce a finanziare Marsupium con 60.000 (54.000 dei quali presi a prestito da ignoti).
Le controllate, invece, sfornano utili interessanti (Sidam nel 2015 presenta utili per 850.000 euro), ma non da “grande impresa”. Anche l’acquisto di Sidam da parte di Synopo, comunque, avviene solo in parte con “mezzi propri” e per la gran parte con il ricorso alla “leva finanziaria”, tanto che fino al 2018 il pacchetto di controllo di Sidam (il 90%) rimane “in pegno” alla Banca popolare di Milano.
Nonostante questo fuoco di sbarramento, che lo dipinge com un “imprenditore anomalo” soprattutto rispetto alla tradizione lombarda, Carlo Bonomi viene eletto alla guida di Assolombarda ed ora dell’associazione nazionale.
Com’è possibile?
Grazie agli sponsor, naturalmente. Che – spiegano sempre Gli stati Generali – sono concentrati intorno alla famiglia Rocca. Ma sì, proprio quella del presidente uscente (di Assolombarda) Gianfelice Rocca, il patron della Tenaris e del gruppo ospedaliero Humanitas.
In altre parole il “clan” di Bergamo, quel blocco di potere che ha opposto feroce resistenza a qualsiasi istituzione di una “zona rossa” nel proprio regno proprio mentre dipendenti, pensionati e cittadini della zona cadevano a centinaia vittime del coronavirus. Tanto lo guadagnavano anche su questa tragedia, controllando l’ospedale privato Humanitas, in cui intanto altre decine di componenti del personale medico si ammazzavano – non metaforicamente – di lavoro e di Covid-19.
Ecco, personaggi del genere pretendono da oggi anche il comando politico del Paese, come contoterzisti degli “imprenditori veri”, al di sopra e al di là di una “classe politica” perché, tanto, quella che c’è “non ha idea della strada che deve percorrere il nostro Paese”.
Quella per l’inferno.
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