Nelle ultime settimane, il dibattito sulla ripresa scolastica di settembre è stato in gran parte dominato dalla discussione sull’opportunità d’introdurre l’obbligo vaccinale per le/gli insegnanti e i loro studenti.
In questo dibattito si è distinto il generale Figliuolo, che ha più volte richiamato la necessità che i membri del personale scolastico non ancora vaccinati, vale a dire, secondo lui, circa il 15%, pari a oltre 200.000 persone, lo facciano entro la ripresa delle lezioni. Questa sarebbe una condizione indispensabile per il rientro in presenza.
Purtroppo, i dati del gen. Figliuolo, che farebbero pensare a una consistente frangia no vax nei lavoratori della scuola, sono assai opinabili.
Prima di tutto, Figliuolo accorpa i dati delle scuole e dell’università, che, seppure siano ambedue istituzioni dedicate alla formazione, hanno personale e studenti diversi. In secondo luogo, i dati del gen. Figliuolo sono arrotondati, spesso per eccesso, in modo da creare difficoltà a districarsi nelle percentuali.
Un esempio: in Sicilia ci sarebbero 140.000 docenti, non uno di meno e non uno di più, di cui il 43% non sarebbe vaccinato. Invece, secondo le autorità regionali proposte alla campagna vaccinale, i docenti sono poco più di 129.000, di cui oltre 105.000 si sarebbero vaccinati. In questo modo la percentuale dei non vaccinati scende al 18%, dato abbastanza vicino alla media nazionale.
Inoltre, i dati forniti dal gen. Figliuolo non tengono conto del fatto che quando si è deciso di adottare come criterio praticamente unico di priorità nelle vaccinazioni quello dell’età, si è perso, per evidenti ragioni di riservatezza, il conto degli insegnanti rispetto a tutti gli altri cittadini.
In questa vicenda ha avuto il suo peso anche il pasticcio dei vaccini da adottare per le diverse fasce d’età, per cui in una prima fase si è evitato di vaccinare i docenti più anziani con AstraZeneca, lasciando questo preparato ai più giovani e riprogrammando non sempre con efficienza la somministrazione ai primi.
Porre oggi la questione nei termini proposti dal gen. Figliuolo e da alcuni esponenti del governo serve solo a creare polemiche inutili rispetto a una categoria – il personale della scuola – che ha massicciamente risposto all’appello alla vaccinazione.
Infine il gen. Figliuolo immagina un’enorme campagna in grado di portare alla vaccinazione oltre 2.000.000 di studenti entro la prima decade di settembre, obiettivo prestigioso quanto poco credibile.Visto che attualmente la percentuale di dosi effettivamente inoculate, rispetto a quelle a disposizione del governo, è ufficialmente intorno al 95%. Insomma: ci sono ancora poche dosi rispetto al necessario, non manca la gente che vuole riceverle.
Stupisce quindi che l’autorità commissariale continui a proporre dati e analisi discutibili e proposte poco realistiche, ma ancora di più colpisce che il governo ponga la questione della vaccinazione degli insegnanti come una condizione indispensabile, quasi unica, per la ripresa in presenza.
In realtà, questo atteggiamento del governo nasconde la miseria delle iniziative prese e programmate per una vera ripresa in sicurezza. Infatti, giovedì 29 luglio è stato presentato lo schema di decreto per la ripresa 2021-2022, che si discosta ben poco, anzi, in alcuni aspetti peggiora, le norme per l’anno trascorso.
Anzitutto, si parla ancora di “regole sul distanziamento”, da tenere ove sia possibile (sic), in mancanza del quale si ricorrerà alle mascherine. La locuzione ove sia possibile intende che in molte situazioni il distanziamento non sarà possibile, poiché le classi saranno troppo numerose, formate con i medesimi criteri di prima della pandemia.
Scarsissime le risorse aggiuntive per il personale ATA e docente, solo le quote non spese nell’anno precedente, tanto che si prevede l’assunzione di ultra-precari che scadrà il 30 dicembre 2021.
Si precedono fondi solo per l’edilizia leggera, cioè per l’installazione di qualche tramezzo posticcio, senza che si effettuino interventi strutturali.
Qualora siano accertati casi di positività, la sanificazione dei locali sarà affidata a personale interno, non qualificato per una tale funzione e quindi esposto al rischio di contagio, e non a ditte specializzate.
Non tranquillizza nemmeno, anzi preoccupa, il richiamo alla possibilità di diversificazione dei provvedimenti e della prevenzione tra Regioni, quando riprenderà la stolta giostrina dei colori bianco-giallo-arancione-rosso-rosso profondo che tanti danni ha già provocato.
Sulla questione, inoltre, pesa l’insipienza delle Regioni nel miglioramento dei trasporti pubblici, mai avvenuto, per cui si ripropone ancora lo scaglionamento delle entrate negli istituti, provvedimento che, come già sperimentato, provoca grandi disagi organizzativi alle scuole senza produrre risultati significativi.
Una miseria totale, mancanza di visioni progettuali e scarsità di risorse, a dispetto dei grandi paroloni sulle magnifiche sorti del PNRR i cui fondi, come abbiamo già avuto modo di scrivere più volte, se arriveranno, andranno a incrementare i piani sulla scuola e sull’università delle fondazioni, dei privati, delle industrie e del terzo settore nel quadro della “sussidiarietà” cara al ministro piddino Bianchi.
Tutto questo è confermato dall’ultima parte dello schema di decreto, che come al solito esalta il ruolo dell’autonomia dei singoli istituti, indicando anche possibili modalità “innovative”, tra cui brilla l’idea di “accorpamento di discipline in ambiti” – piuttosto pericolosa – e che fa trasparire la logica famigerata delle “competenze” a scapito dei saperi.
Rispunta, nello schema di decreto, l’idea dei “Patti educativi di comunità”, un’idea d’affezione del ministro Bianchi, già contenuta nelle proposte formulate dalla commissione da lui stesso presieduta l’anno scorso per la ripresa 2020-2021.
È significativo che tale proposta – fallita nella scorsa estate – sia riproposta, evidentemente come prolungamento esterno dell’idea di “autonomia”, vista nel solco della famigerata sussidiarietà pubblico-privato, che vuole coinvolgere nella gestione dell’istruzione i privati e il terzo settore.
Il ministro Bianchi è convinto della bontà (mai verificata) della “commistione tra pubblico e privato”, come è testimoniato, tra l’altro, dal fatto che proprio il 28 luglio il Ministero ha destinato 5.000.000 di euro a progetti di recupero, sostegno e inclusione che, non a caso, saranno affidati a imprese del terzo settore anziché al personale statale.
La scuola ha bisogno di un grande piano di rilancio, sostenuto dallo Stato, con investimenti pubblici che portino a un piano d’assunzione di insegnanti stabili e a strutture sicure ed efficienti. A queste esigenze il ministro Bianchi risponde solo con le parole d’ordine fallimentari dell’autonomia scolastica e ancor più della sussidiarietà pubblico-privato.
È invece necessario rilanciare l’idea di tornare allo spirito della Costituzione, che prevede una chiara separazione tra insegnamento statale e privato, violentato dalle leggi sulla parità scolastica dei ministri Bassanini e Berlinguer che idearono un modello di sistema scolastico nazionale in cui coesistono pubblico e privato “paritario”, sul modello con il quale, pochi anni prima, era stato fatto scempio del Sistema Sanitario Nazionale.
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