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L’acid risiko di Saviano, tra psicosi geopolitica e tartuferia

Pochi giorni fa, di fronte alle immagini e alle notizie provenienti da Kabul, nonché al cospetto di una nuova e prevedibilissima crisi afghana – paese tra le cui montagne si sono schiantati non pochi imperi nel corso della Storia, antica e contemporanea – il più tartufesco e pagato “intellettuale” mainstream, al soldo del Potere purché sia, ovvero Roberto Saviano, in un editoriale sul Corriere della Sera, così scriveva: «Non ha vinto l’islamismo, in queste ore, dopo oltre vent’anni di guerra. Ha vinto l’eroina. Errore è chiamarli miliziani islamisti: i talebani sono narcotrafficanti».

Per poi continuare, con quel suo solito monologare da strologo saccente, ad imbastire un ragionamento sul narcotraffico – sulle nuove vie dell’oppio e della droga, e sugli slittamenti geopolitici che le economie illegali, legate ai traffici di eroina, cocaina, marijuana e hashish ridisegnerebbero sulla scala dei conflitti regionali – incentrato su un riduzionismo talmente ossessivo da risultare certamente grottesco al lettore più avveduto.

Pur tuttavia, decisamente pericoloso per chi, invece, si lascia ammaliare da tesi “complottistiche” ma nonostante ciò suggestive, che vanno purtroppo ad incidere e a plasmare il senso comune.

Mi spiego.

Saviano, nel suo articolo “I talebani sono i nuovi narcos: eroina, miliardi e geopolitica”, sembra far scaturire conflitti, guerre ed equilibri geopolitici dalle sole rotte della droga. Oppio e Cocaina, principalmente.

Il controllo delle quali sarebbe non solo funzionale – cosa da sempre assolutamente plausibile, come vedremo più avanti – ma addirittura fondamentale e prioritario negli scenari geostrategici.

Con tanti saluti a petrolio, materie prime, forze produttive, guerra delle monete, finanza hi-tech, giochi di borsa, fanatismi religiosi ed ideologici, diplomazia tra Stati.

Intendiamoci, il mercato degli stupefacenti può benissimo essere concepito come mercato secondario e parallelo.

E quale fonte di ingenti profitti, poi riciclabili attraverso banche e attività legali, rientrare nel bilancio di uno Stato, contribuendo all’incremento del Pil.

Ma qui il problema è un altro.

Seguendo il “ragionamento” di Saviano si finisce col credere che la vera natura e il solo scopo del Capitale sia la produzione, lo smercio e il controllo delle materie prime con cui lavorare la merce stupefacente.

Continuando nella lettura di questo articolo, permeato da un cospirazionismo di proporzioni globali, si finisce col convincersi che, alla fine, i rapporti di forza sullo scacchiere mondiale siano determinati quasi esclusivamente dalla gestione del mercato della droga.

E che il vero core business delle potenze mondiali sia lo spaccio delle sostanze psicotrope. D’altra parte, basta leggere quanto scrive lo stesso Saviano: «I talebani hanno cambiato lo scacchiere internazionale».

Un’affermazione talmente ambigua e perentoria, nella sua insinuante astrattezza, da non circoscrivere il discorso al solo traffico degli stupefacenti, ma da alludere a più generali equilibri globali.

Saviano scrive alla sua maniera, attirando il lettore in un’avvincente e viscosa trama fantasiosa, che fa delle “vie dell’oppio” le vere ed uniche tangenziali su cui si muovono merci e capitali…e tanti saluti a Marx :

«[…] il monopolio dell’oppio era in Indocina, nel triangolo d’oro Birmania-Laos-Thailandia. Ora i talebani hanno preso il loro posto, lasciando un mercato residuale al sud-est asiatico, una fetta di mercato che va dall’1% al 4%».

L’autore di Gomorra traccia senz’altro logici scenari espansionistici del traffico di stupefacenti, per quelle che sono le dinamiche della criminalità organizzata e delle mafie.

Arrivando addirittura a riconfigurarli, però – attingendo alla sua romanzesca immaginazione o alle indicazioni della Dea (United States Drug Enforcement Administration) – sulla falsariga di conflitti inter-imperialistici.

È come se giocasse ad una sorta di Acid Risiko – di Risiko lisergico – dove ai carri armati si sostituiscono tappetti di ero e coca:

«L’eroina talebana ha creato un asse importantissimo con la mafia di Mumbai, la D Company di Dawood Ibrahim, il sovrano dei narcos indiani protetto da Dubai e dal Pakistan e che è il vero distributore dell’oro afgano. Il mercato cinese ancora non è conquistato ma l’ambizione talebana guarda a Est, a prendersi anche il Giappone (la Yakuza si rifornisce in Laos, Vietnam e Birmania) e soprattutto le Filippine, che hanno un mercato florido e da sempre sono in rotta con l’eroina birmana».

Ma il grande tessitore di trame criminali non può accontentarsi. E si spinge, così, fino in Iran:

«L’Iran ha bisogno di eroina esattamente come di benzina, e l’eroina consumata a Teheran viene tutta dall’Afghanistan. I trafficanti iraniani vogliono poter controllare l’eroina afgana, poter essere loro e non più i turchi, i libanesi (e i kurdi) a essere i mediatori con l’Europa. Vogliono non avere solo Hezbollah come strumento del traffico di hashish ed eroina, vogliono controllare l’oppio afgano e i talebani a breve saranno nemici da sconfiggere per sostituirli con i loro uomini. L’Iran è un paese divorato dall’epidemia d’eroina».

A questo punto non può non sorgere un sospetto, nel lettore più avveduto.

Ma come mai a governare il mondo e la geopolitica ci sono gli Usa e le potenze occidentali e non il povero Afghanistan? La risposta arriva immediata e folgorante:

«Ebbene, gli Stati Uniti hanno speso 80 miliardi in vent’anni di guerra per addestrare un esercito afgano, creare ufficiali, truppe, poliziotti e giudici locali; i talebani, in vent’anni, hanno guadagnato oltre 120 miliardi dall’oppio. Quale era l’esercito più ricco? Con chi conveniva stare? I talebani vincitori non avranno pace».

Troppo facile concludere che quel «non avranno pace» implichi un “finché non avranno conquistato il mondo con i loro tappetti neri dell’ Acid Risiko”.

Et voilà le jeux sont fait…

Il ribaltamento della verità storica, politica, economica, antropologica è servito.

Imposto dalle onde telluriche di una controstoria complottista su scala internazionale.

In poche e più chiare parole, dalla narrazione che Saviano imprime alla sua articolessa, si evincerebbe che i paesi ricchi e dominanti non sono certo i G8. I “veri potenti”, quelli che hanno (avrebbero) nelle mani i destini del mondo e ad esso impongono le regole del proprio gioco tossico, finiscono con l’apparire i paesi produttori ed esportatori di droga.

Laos, Birmania, Thailandia, Vietnam, Messico, Colombia. Con in testa l’Afghanistan. Paesi e popoli che noi “sprovveduti” abbiamo sempre considerato appartenenti al cosiddetto Terzo Mondo. Fornitori di materie prime a basso costo, insomma.

Ma che ora, il nostro illuminante narratore, ci descrive come Narcostati potentissimi che annoverano, ovviamente, tra le fila dei loro governi, crudelissimi e inumani narcotrafficanti.

Cosa in taluni casi anche molto vera. Ma al cui cospetto – ed è qua che gli elementi narrativi grotteschi e granguignoleschi si intrecciano e si sposano – vien da pensare, proseguendo nella lettura di Saviano, che il Presidente degli Usa o gente come Bezos e Bill Gates, o multinazionali come la Coca Cola e la Exxon Mobil, siano paragonabili a dei burattini con tanto di fili, i primi; e che le multinazionali siano in fondo delle miserande “organizzazioni umanitarie”.

Gli uni e le altre, in balia di un mondo nel quale, a tirare quei famigerati fili, sono i pastori e i contadini dell’Oriente. Medio o lontano che sia. Tutti trafficanti. E tutti più potenti degli imperi e dei capital-imperatori occidentali!

Ovviamente, dalla lista non mancano i russi. Ed Hezbollah, Farc, Hamas. Addirittura i poveri Kurdi. Tutti movimenti guerriglieri, guarda caso, accusati di “terrorismo” e inseriti nella lista nera da Ue e Usa.

Alla Cina, poi, Saviano riserva un trattamento particolare. Leggiamo: «l’eroina cinese è direttamente gestita dai militari e quindi può contare su una produzione veloce ed efficiente che spesso i cartelli costretti alle tangenti e alle mediazioni non riescono ad ottenere».

Sbalorditivo! Il sillogismo è chiaro. Considerando che la Cina è una dittatura comunista, e le dittature comuniste sono ineludibilmente militari, se i militari gestiscono l’eroina, la Cina è anch’essa un Narcostato.

Con tanti saluti alla prima economia del mondo e ai grandissimi progressi sociali, politici e culturali compiuti nel corso del ‘900 e degli ultimi trent’anni…

A questo punto, non sarà sfuggito al lettore lucido e che ancora possegga un minimo di capacità critica, un dato. Subdolo e inquietante.

Saviano, nel tracciare la mappa dei “potentissimi” Narcostati ha praticamente fatto – more solito – il copia-e-incolla di quei paesi considerati (dall’amministrazione Usa e dai suoi alleati europei) “Stati canaglia”.

Per esempio, con i palestinesi di Hamas – nemici giurati di Israele – il filo sionista Saviano ci va giù duro. Riporta il comunicato di Hamas:

«Ci congratuliamo con il popolo islamico afghano per la sconfitta dell’occupazione americana su tutto il territorio dell’Afghanistan e con i talebani e la loro brava leadership per la vittoria che giunge al culmine di una lunga battaglia durata 20 anni».

Per poi chiosare: «Queste sono apparentemente alleanze politico—ideologiche, in realtà patti criminali». Una narrazione talmente infida e squallida, parziale e – nelle sue declinazioni profonde – razzista, classista, neocolonialista e imperialista, da mettere i brividi.

E già, perché per il casapesennese Saviano – da notare che nella sua controllatissima biografia su Wikipedia, il paese di Casapesenna, dov’è vissuto, non viene mai citato. Se ne vergogna? – la minaccia viene tutta da quell’Oriente che, se non è in qualsiasi modo allineato ai diktat delle potenze occidentali, o vive in condizioni di caos politico, non può che essere “una minaccia”.

Peggio. Un agglomerato di Narcostati terroristici, unici responsabili della guerra globale e dei conflitti regionali.

E l’Occidente, ci si domanderà dopo cotanta e profonda analisi?

Ebbene, nella narratologia savianea l’Occidente è spenglerianamente al tramonto! Un Occidente, certo vittima della sua decadenza e della corruzione dei costumi. Frastornato, disorientato e oramai incapace di combattere, se non confusamente e con mezzi insufficienti e inadatti, le sue guerre.

Un Occidente con governi democratici e liberali, pieni di buona volontà, che si arrabattano nel vano tentativo di estirpare il Male e gli imperi che lo incarnano.

Perché bisogna sempre rammentarsi che noi siamo il Regno del Bene. E che the West is the Best, come cantava, però in modo ironico, Jim Morrison.

Ma più di tutto, un Occidente tenuto in scacco dalle orientali superpotenze rurali e contadine, produttrici e padrone del mercato della droga. Il che sembra tradursi, nella lisergica e mitopoietica visione savianea, nel dominio assoluto della Terra!

Droga con cui – sembra volerci far intendere – questi immondi e ricchissimi pecorai, naturalmente attraverso la collaborazione delle organizzazioni criminali e delle mafie di ogni latitudine, starebbero letteralmente riducendo in stato di prostrazione le nostre società. Corrompendone etica, morale, sobrietà di costumi e gioventù.

Insomma, i Talebani sarebbero la nuova Spectre. Al cui servizio opererebbero tutti i Narcostati che cospirano contro la nostra grandiosa cultura. Bianca, opulenta, cristiana e democratica. Benché in crisi, a causa proprio dell’ esasperante stile di vita stressato dalla competizione.

Almeno su questo aspetto, Saviano non devia. Resta il fatto che, al cospetto di una simile, disonorevole, surreale, grottesca narrazione, ci sarebbe da ridere. Se non ci fosse da incazzarsi ferocemente.

Perché Saviano è “bravo” in quel che fa. Cantore “creativo” della nuova ideologia capital-liberista,  permeata di relativismo, entropia, caos e soprattutto disinformazione sistemica. Fino a giungere alla più completa distorsione della verità, che peraltro conosce benissimo (come vedremo alla fine).

Saviano è “bravo” perché suggerisce, insinua, evoca, piuttosto che asserire in modo chiaro. Usa tutte le tecniche narrative  della liquidità socio-culturale e del populismo politico-linguistico che attraversa l’intero occidente.

E’ il corifeo di un sistema dove tutto è comunicazione e nulla è verità. Una verità il cui statuto linguistico è costantemente slittato, traslato, altrove. E i cui codici sono prodotti dalla Governance a seconda dei contesti.

Governance che necessita di sorveglianza e punizione a tempo indefinito, per chiunque non si conformi alle sue mutevoli ma indiscutibili formule comunicative, sul piano della fittizia produzione della stessa verità . Un apparato ideologico insomma, con i suoi sedicenti intellettuali, altamente pervasivo.

Un esempio di questa pervasività – per tornare all’articolessa di Saviano – è dato proprio da alcuni post che sono circolati su Facebook nei giorni scorsi.

Lì qualcuno ha addirittura incolpato i tossicodipendenti di essere la causa della vittoria Talebana e degli smottamenti geopolitici, in quanto occulti e inconsapevoli finanziatori dei miliziani teocratici. 

In conclusione, come si sarà capito, l’articolo in parola dell’autore di Gomorra – una narrazione economicamente fortunata in cui il “buon Roberto” sembra ormai auto-recluso – è un concentrato tragicomico di delirio complottista e malafede ideologica.

Da un lato, il suo ossessivo e scellerato ridurre al solo mercato e traffico degli stupefacenti, o ad un’ eterna lotta tra mafie, la realtà tutta – i rapporti di forza, la stabilità sullo scacchiere internazionale, e finanche le relazioni commerciali e le quotazioni di borsa – ha il sapore amaro del paradosso cospirazionista e psicotico.

E ciò, considerando l’attuale sviluppo iper-tecnologico del Modo di Produzione Capitalistico,  è veramente risibile.

Dall’altro, la sua neanche tanto velata assoluzione delle potenze occidentali – il sistema che in fondo lo nutre con una certa generosità –  per i conflitti regionali o per quelli su più vasta scala, ha la veste logora del servilismo e della disonestà intellettuale.

Se è vero, infatti, che per l’oppio si sono fatte guerre; se è vero che l’oppio è stato, nel passato, merce importante nelle relazioni commerciali; se è vero che la produzione, la raffinazione, il controllo e il traffico dell’eroina e della cocaina – come pure il mercato della marijuana e dell’hashish – sono ancor oggi variabili importanti che rientrano nei bilanci di alcuni Stati attraverso il riciclaggio; se è vero che anche la droga “fa Pil”… allora bisogna anche avere il coraggio di dire che le prime ad avere, oggi come ieri, l’interesse a gestire quei mercati, erano e sono le democrazie liberali.

Ovverossia, quelle che per il passato diedero vita a vasti e potenti imperi.

Il colonialismo e l’imperialismo occidentali, come loro predatoria consuetudine, hanno storicamente saccheggiato le risorse dei paesi più poveri, che occupavano con la guerra e la spoliazione. E alcuni di quei paesi non avevano e non hanno altro da offrire che le coltivazioni utili alla produzione di sostanze psicotrope. Come pure di più legali farmaci, peraltro.

Come dovrebbero sopravvivere dunque, i suddetti paesi, se quella che dovrebbe essere la loro principale fonte di guadagno è, di fatto, proibita e lasciata alle regole del mercato criminale? 

In realtà, un modo per scongiurare il commercio illegale della droga ci sarebbe. Legalizzare tutte le sostanze. Come è per l’alcool (senza ripercorrere i “fasti del proibizionismo”…). Ma dubitiamo che i nostri “integerrimi” e “coscienziosi” governi euro-atlantici abbiano interesse in questo senso.

Troppi sarebbero i guadagni che andrebbero persi. Perché, diciamolo chiaramente, “l’illegalità paga”, su questo Saviano ha perfettamente ragione.

Per non tacere del fatto che, forse legalizzando, avremmo anche molta meno droga in circolo, tra le strade delle nostre decadenti società. E nelle vene dei nostri ragazzi!

Or dunque però, per concludere questa nostra lunga riflessione, vorremmo dare un consiglio, al nostro amico Roberto.

Vada a ripassarsi Saviano – ché siamo sicuri l’avrà studiato, almeno all’Università – le Guerre dell’Oppio. Guerre che hanno voluto e scatenato (1839-1842 e 1856-1860) l’Impero Britannico, la Compagnia delle Indie Orientali, l’Impero francese e – ohibò! – gli Usa, contro la Cina della dinastia Qing.

La ragione di quelle guerre è semplice e ormai accertata:  il controllo e soprattutto la diffusione del traffico d’oppio. Sostanza di cui l’Impero Britannico e la Compagnia delle Indie erano, grazie ai loro possedimenti coloniali in Estremo Oriente, anche coltivatori (papavero) e produttori.

Con quell’oppio, era loro intenzione invadere il mercato cinese.

Altre epoche. Un altro mondo. E altre economie. Meno complesse e più semplici da gestire e ristrutturare. Niente grafici di borsa. Niente informatizzazione. Niente industria 4.0.

Il Dragone a quei tempi – ma oggi di nuovo, a quanto pare – era decisamente autosufficiente dal punto di vista del mercato.

La Cina venne però sconfitta nelle due guerre e, con i trattati di Nanchino e Tientsin, l’Impero Britannico ebbe via libera per la diffusione dell’oppio sul mercato cinese, imponendo, tra l’altro, l’apertura di numerosi nuovi porti per il commercio.

Risale proprio a quel momento, la cessione di Hong Kong alla Gran Bretagna.

Ricordarsi quale sia la storia “drogata” dell’imperialismo occidentale in Cina, e quale fosse la funzione di Hong Kong nei rapporti commerciali, sarebbe se non altro utile quando si inneggia alla “libertà” dal cosiddetto “giogo cinese”.

Un suggerimento che vorremmo fosse recepito dai nostri italici “sinistri”, fautori di  rivoluzioni arancioni e arcobaleno.

In definitiva, se Saviano vuol definire l’Afghanistan e alcuni paesi dell’America Latina come Narcostati, faccia pure.

A patto che definisca l’Occidente quale Narcogovernance Globale del traffico della droga.

A cominciare dai suoi amichetti della Dea. Che in Sud America – Colombia in primis – fanno costantemente accordi sottobanco con i cartelli della coca, proteggendone alternativamente alcuni a discapito di altri.

È così che le nostre democrazie mercantili mantengono in piedi la farsa della lotta alla droga. In realtà, facendo della droga stessa un grossissimo e lucrosissimo affare. Cui affiancare quello della vendita di armi.

Una farsa che è possibile tenere in vita, chiaramente, con l’ausilio servile dei media. Nonché di pennivendoli come Saviano. Che appare però ormai fuorigiri.

Difatti, scambiando i pastori Talebani per i faraoni d’Egitto, l’eroina per il petrolio o le hi-tech technology, e l’Afghanistan per l’Impero Romano, ridisegna geostrategici scenari surreali.

Alla fin fine, però, la verità gli scappa di penna, anche se la classifica come un “errore” commesso dagli Usa.

Qui accade uno dei più gravi errori dell’amministrazione americana: nel 2002 il generale Franks, il primo a coordinare l’invasione in Afghanistan da parte delle truppe di terra americane, dichiarò: «Non siamo una task force antidroga. Questa non è la nostra missione». Il messaggio era rivolto ai signori dell’oppio, invitandoli a non stare con i talebani, dicendo che gli Stati Uniti avrebbero loro permesso la coltivazione. Lo stesso James Risen, nel 2009, scrisse sul New York Times un articolo dove segnalava che nella lista nera del Pentagono dei trafficanti di eroina da arrestare non venivano inseriti quelli che si erano schierati a favore delle truppe americane.”

Un semplice giornalista di inchiesta avrebbe tratto la conclusione senza grandi sforzi: gli Stati Uniti, dal 2001 ad oggi, hanno gestito e controllato la produzione afgana di oppio tramite un accordo con i trafficanti locali.

Ora quel controllo non sarà più possibile e andrà in mano ai talebani, che decideranno se lasciar proseguire produzione e traffico oppure no (dicono di no, ma…). E solo ora quelli come Saviano si accorgono che in Afghanistan si coltiva l’oppio e ci sono dei narcotrafficanti non più controllati da Washington.

Ma deve trattarsi di una semplice coincidenza…

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

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4 Commenti


  • ANNA

    Bravo. Da molto tempo non sopporto il servilismo e l”informazione” veicolata da Saviano, sempre in linea col pensiero dominante. Strano che non abbia incluso Cuba e Venezuela , tante volte bersaglio delle sue calunnie, nei paesi coinvolti nel narcotraffico


  • Ninco Nanco

    ma che articolo mediocre. talmente scritto male ( ma due libri l’anno li leggi?) e impregnato di stantio ideologismo che non serve nemmeno smontarlo.

    parli della cina ( sfruttamento bestiale e disumanità totale) come di un paese di progresso sociale??????? ma cosa dannazione scrivi.

    ps saviano non è casapennese…basta un minimo studiare


    • Redazione Roma

      Invitiamo Lei ed altri a perdere il pessimo vizio di aggredire verbalmente ancora prima di esprimere un proprio punto di vista. Nessuno chiede a Lei quanti libri abbia letto prima di scrivere quello che ha scritto. Questo andazzo non ci piace e non avremo remore nel bannare altri commenti di questo tono.


  • Mimmo

    Saviano e la stampa inginocchiata italiana stanno reagendo allo shock della fuga dall’Afghanistan apparecchiando la tavola con le giustificazioni per futuri interventi nella regione. Quale miglior argomento per mobilitare le masse occidentali della lotta al nascente narcostato talebano? Prima che qualcuno si chieda come mai nel periodo talebano degli anni 1996-2001 gli ettari coltivati a papavero erano passati da 82 mila a 6 mila ettari mentre nel periodo americano gli ettari sono arrivati a 326 mila con la produttività per ettaro aumentata usando il denaro e la tecnologia della coalizione occidentale. Gli incensati e foraggiati signori della guerra dell’alleanza del nord sono stati e tuttora sono fra i maggiori produttori di oppio. Il fratello dell’ex presidente Karzai, imposto dagli americani e vezzeggiato dall’Occidente è stato uno dei più grandi trafficanti d’oppio dell’Afghanistan. Sotto gli occhi americani sono state impiantate in quel Paese decine di raffinerie per la sintetizzazione dell’eroina che prima non esistevano. Quindi di che guerra alla droga cianciano? Contro i taliban non mancano certo argomenti ma fa vomitare l’uso strumentale della questione droga e ancor di più quello sui diritti delle donne.

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