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“We need Power”: la posta in gioco della lotta dei lavoratori dell’automotive

Per non essere frainteso sul proprio approccio Shawn Fain, presidente dell’UAW, si è presentato alla diretta video settimanale di FB (seguita da circa 60mila spettatori in diretta) in cui fa il punto sullo stato dell’arte delle trattative ed annuncia le azioni successive del sindacato, con la maglietta “EAT THE RICH”.

Una risposta, forse, al dettagliato ritratto che gli ha fatto David Streitfeld per il New York Times questa settimana: “New U.A.W. Chief has a Nonnegotiable Demand: Eat The Rich”. Cioè: il nuovo capo dell’UAW ha una richiesta non trattabile: mangiate il ricco.

Fain inizia con una notizia “bomba”.

La minaccia di estensione dello sciopero alla GM allo stabilimento di Arlington nel Texas, dove si produce il SUV più remunerativo per la casa automobilistica, ha costretto l’azienda ad includere ora anche lo stabilimento che produce batterie sotto la tutela dell’accordo sindacale nazionale.

Una vittoria importante perché va verso una gestione della transizione all’elettrico’ senza che il sindacato sia estromesso. Un’ipotesi giudicata “impossibile” fino a poco tempo fa.

Ma se le cose si muovono velocemente nella direzione desiderata, facendo significativi progressi, anche le richieste non sono state tutte accettate, e quindi la battaglia contrattuale va avanti.

Significativi miglioramenti salariali, COLA (in pratica la “scala mobile”), lavoratori temporanei, equiparazione salariale per chi guadagna meno, maggiori margini di azione sindacale… sono tutti miglioramenti che la contrattazione di queste tre settimane sta ottenendo.

«Stiamo vincendo, stiamo facendo progressi, siamo nella giusta direzione» dice Fain. La questione principale per il movimento, dice, è «come le persone della working class costruiscono la forza per ottenere quello che meritano».

Power in inglese, che è assicurato dallo «sciopero e della minaccia dello sciopero».

E per non essere frainteso, cita Martin Luther King: «la forza è la capacità di raggiungere un obiettivo, la forza è la capacità di determinare un cambiamento, e abbiamo bisogno di forza».

E la forza per il sindacato, parafrasando, un altro vecchio leader della UAW, è fare dir “sì” ai padroni, quando vorrebbero dire “no”.

Una nuova strategia

Lo sciopero dei lavoratori dell’automotive negli USA ha già superato le 3 settimane di durata. Iniziato il 15 settembre, fino ad oggi ha riguardato poco più di 25 mila lavoratori dell’United Auto Workers International (UAW) su 146 mila iscritti.

In una prima fase hanno iniziato a scioperare 3 stabilimenti delle Big Three (GM, Ford e Stellatis), seguiti la settimana successiva dai 5 mila lavoratori di 38 filiali che si occupano dei ricambi in GM e Stellantis; quella ancora successiva sono scesi in sciopero altri due stabilimenti, uno della Ford l’altro della GM, dove lavorano 2.300 operai.

La strategia scelta da Shawn Fain, eletto di stretta misura a capo dell’organizzazione sindacale nel marzo di quest’anno, sta funzionando.

Si tratta di allargare di volta in volta la base degli scioperanti comunicandolo all’ultimo momento, sia alle aziende che non sanno come anticipare le mosse dell’UAW, sia ai lavoratori stessi che sono costantemente mobilitati.

In questo modo si ottengono due risultati: il ribaltamento dell’organizzazione della produzione contro la parte padronale e dall’altra una inversione della “passivizzazione” dell’intero corpo sindacale – anche quello per ora non chiamato ad incrociare le braccia – con rally, pratiche di picchetto ed una costante attenzione allo sviluppo dello sciopero.

In precedenza le trattative tra gli incaricati del management e quelli della burocrazia sindacale si svolgevano in un clima di reciproca intesa, e l’andamento della contrattazione rimaneva piuttosto opaco, quasi fosse una trattativa commerciale tra privati.

Una prassi che aveva contribuito alla degenerazione della leadership sindacale, facendola assomigliare più alla controparte che all’espressione dei propri iscritti, con scandali giudiziari che hanno coinvolto una dirigenza più simile alla caricatura del sindacalista corrotto “a stelle e strisce”, peraltro visibili in una certa quantità di film.

L’azione sindacale era differente. Anche ai tempi di Walter Reuther, negli Anni Cinquanta e Sessanta, si sceglieva una delle tre maggiori case automobilistiche e si scioperava, cercando di allargare progressivamente i benefici conquistati in una delle Big 3 ai valoratori delle altre aziende.

É stato così per esempio con il COLA, il meccanismo di indicizzazione automatica del salario all’inflazione, che ora la UAW vorrebbe reintrodurre dopo che il sindacato vi aveva rinunciato per “salvare il settore dalla bancarotta” durante la Grande Recessione, alla seconda metà del decennio scorso.

Fain sembra voler “graziare”, di volta in volta, la controparte più disposta a fare avanzare le trattative: la prima volta la Ford, la seconda la Stellantis, questa volta la GM, incrinando se così si può dire la “solidarietà padronale” in una gara al rialzo che è un vero rompicapo per i padroni.

Fine del sindacalismo corporativo: un ritorno alle origini

Un altro aspetto innovativo è il superamento dello spirito corporativo che per decenni aveva pervaso il sindacato, in due direzioni.

La prima è quella degli altri settori della working class, cui parla direttamente l’azione della UAW, partendo dal punto di vista generale della condizione operaia generale e non della singola categoria.

L’ultimo esempio si è avuto con la solidarietà espressa ai 75.000 lavoratori e lavoratrici del settore sanitario in sciopero della Kaiser da questo giovedì. Si tratta della la più grande azienda sanitaria no-profit degli Stati Uniti, e del più grande sciopero mai avvenuto nel settore.

Ha detto Fain: «Oggi, siamo a fianco dei 75 mila membri della nostra famiglia sindacale che sono in sciopero. Che tu lavori in un ospedale, dietro un ufficio, in una linea di assemblaggio, la tua lotta è la nostra lotta.

Meritiamo tutti un futuro per le nostre famiglie e le nostre comunità. Abbiamo bisogno tutti di una parte equa di ridistribuzione delle ricchezze economiche, che come classe lavoratrice, creiamo e facciamo andare. Alla nostra organizzazione sorella alla Kaiser, la UAW è dietro di voi!».

É un ritorno ad un approccio per così dire più “confederale” che tradunionista, visione alla base del sindacalismo industriale statunitense degli Anni Trenta in cui è stata creata la CIO, che nel dopo-guerra ‘si accoppiò’ con la moderata AFL.

Un nuovo industrial unionism che ha le sue origini più radicali nel sindacalismo di azione diretta degli IWW nello spirito dello slogan “Noi Saremo tutto”.

Ed infatti l’attuale “stand Up strike” si rifa esplicitamente al sindacalismo militante degli Anni Trenta nel settore automobilistico.

La seconda direzione che inverte la tendenza corporativa è l’attenzione rivolta alle “comunità”, in particolare agli effetti devastanti che la de-industrializzazione ha su interi territori e la vita delle persone.

Negli ultimi anni sono stati chiusi 65 stabilimenti automobilistici, mentre le case automobilistiche “non-sindacalizzate” aprivano nella parte meridionale del Mid-West o nella Sun Belt, con minore tradizione sindacale.

Un video-intervista sulla pagina FB della UAW racconta i traumi di Dustin Rose, un ex lavoratore della GM di Lordstown,  che ha dovuto lasciare casa e ha visto la propria famiglia dispersa per gli States, raccontando della separazione dalla moglie dopo la chiusura della fabbrica, nonostante macinasse ancora profitti.

Una delle richieste della UAW è un meccanismo di protezione in caso di chiusura – il Community Program – che assicuri la continuità lavorativa a spese dell’azienda, ricollocando la forza lavoro in professioni al servizio della comunità, per non desertificate il tessuto sociale.

Il legame tra comunità ed organizzazione sindacale è stata la chiave di successo dell’organizzazione di classe negli Stati Uniti.

Louder than a Bomb!” Per cambiare la narrazione dominante

Altro aspetto importante è la pubblicizzazione delle richieste: aumenti salariali del 40%, riduzione della giornata lavorativa a 32 ore settimanali a parità di salario, la fine del sistema del two tier – che stratifica i lavoratori, nonostante facciano la stessa mansione, in base alla data del contratto (discriminando tra “anziani” e “neo assunti”) – la fine dell’utilizzo dei lavoratori a tempo determinato se non c’è una prospettiva reale di assunzione a tempo indeterminato, il ripristino per tutti dell’assicurazione sanitaria e dell’accesso alla pensione, oltre alle richieste salariali prima menzionate.

É interessante notare come su questo “pacchetto” i lavoratori dell’UAW non solo abbiano conquistato un consenso maggioritario bipartisan, ma stiano vincendo la ‘battaglia delle idee’ anche su questioni che vanno contro la narrazione finora dominante.

Prendiamo due nodi: gli aumenti salariali e la riduzione dell’orario.

Un paper di Goldman Sachs riportato da Axios Markets – non esattamente un ‘covo di bolscevichi’ – ha mostrato come gli aumenti salariali richiesti dai settori sindacalizzati non creerebbero automaticamente quella tanto invocata spirale inflazionistica.

In prima istanza perché si tratterebbe di un adeguamento salariale rispetto all’inflazione galoppante degli ultimi anni. in cui i livelli salariali erano bloccati; inoltre si tratterebbe di aumenti che riguarderebbero un periodo di 4 anni “a venire”. Non ultimo, la forza lavoro sindacalizzata negli USA è pari al 10%, con una percentuale maggiore nel pubblico che nel privato.

Certo, aggiungiamo noi, diminuirebbero i profitti delle aziende, ma non ci sarebbe la bancarotta.

Per quanto riguarda la diminuzione dell’orario di lavoro, un’interessante inchiesta dello storico giornale progressista The Nation mostra come, essendo venuta meno una concezione ergonomica di progettazione delle linee di montaggio – un risultato della recente scarsa capacità delle maestranze di incidere sulle condizioni di lavoro – questa sia un modo per tutelare la salute in un lavoro fisicamente logorante, soprattutto quando si è costretti agli straordinari per “sbarcare il lunario”, assecondando le richieste aziendali per finire gli obiettivi produttivi.

Your body suffers”: The unremarkable Pain of an Auto-Assembly-Line Worker, di Sarah Lazare, è un’inchiesta che entra nella vita di un lavoratore e due lavoratrici che hanno avuto conseguenze fisiche così serie da impattare sulla loro vita quotidiana.

Se è il tuo corpo che si deve adattare ai movimenti richiesti alla catena di montaggio, e non il contrario, la salute viene meno. Come del resto si sa da sempre…

Il muschio non cresce sui sassi che rotolano

Un’altra partita interessante che l’attuale dirigenza dell’UAW sta giocando consiste nell’attirare i lavoratori non sindacalizzati del settore, che si stanno ponendo delle domande e contattando l’UAW, anche grazie ai successi dei lavoratori UPS e degli sceneggiatori di Hollywood.

Finora c’erano vari fattori che  non avevano favorito la sindacalizzazione in parecchi stabilimenti Tesla, Nissan, Hyundai e Toyota, ecc.

In primis l’Union busting (repressione antisindacale), di cui la  Tesla di E. Musk è una capofila, oltre alla scarsa cultura organizzativa nei territori scelti (non a caso) in base all’esistenza di una legislazione anti-sindacale – il cosiddetto right to work -; ma anche la minaccia della delocalizzazione fuori dagli Stati Uniti (in Messico, soprattutto) e, non ultima, l’indole rinunciataria della precedente dirigenza sindacale.

Come afferma la studiosa Kate Bronfenbrenner, in una inchiesta della NBC News, «Cosa succederà se si vedranno le conquiste che un sindacato potrebbe far ottenere? Questo genere di cose cambiano la mentalità delle persone».

Questo è il punto. Sono i fatti a cambiare le idee. Ed è quello che la UAW sta facendo cambiando “le regole del gioco”.

E certo i miliardari del settore automobilistico non gradiranno molto che «un bifolco dell’Indiana» inviti i lavoratori a mangiarseli, letteralmente.

Buon appetito!, auguriamo noi…

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