La crisi finanziaria è la manifestazione drammatica della crisi di un’intera civiltà, l’esito dell’insostenibilità – antropologica, sociale, ambientale – di un modo di produzione ormai declinante, che considera gli esseri umani una pura variabile del capitale globale. Torna all’attenzione la proprietà capitalista, il presupposto tacito dato per scontato, che ha elevato una ristretta cerchia di proprietari universali al rango di una onnipotente entità sovrastante, gli insindacabili «mercati» cui tutti debbono inchinarsi. Compresi gli Stati dell’Europa, dove risorgono vecchie tentazioni egemoniche e pericolosi nazionalismi. Come se ne esce? Non c’è prospettiva di un reale cambiamento senza la lotta per una civiltà più avanzata, in cui l’economia sia al servizio dell’uomo e non viceversa. La Costituzione della Repubblica italiana, che fonda sul lavoro le premesse dell’uguaglianza e della libertà, apre le porte a una società di tipo nuovo cui anche i movimenti per i beni comuni alludono. Una possibilità che diventa effettiva a una condizione: che coloro i quali subiscono le conseguenze distruttive della crisi, in primo luogo i lavoratori dipendenti uomini e donne, in tutte le loro figure ed espressioni, si uniscano in un’ampia ed efficiente coalizione politica.
«È ormai chiaro che se si rimane nell’ambito del pensiero liberista, sia pure nelle ispirazioni più nobili, le difficoltà interpretative della crisi appaiono insormontabili. (…) Ma anche le più diffuse interpretazioni post keynesiane della crisi attuale, l’una che potremmo definire finanziaria e l’altra distributiva (…), si rivelano entrambe inadeguate».
«Torna d’attualità Carlo Marx e il suo pensiero critico, di cui non si può fare a meno per scoprire il codice genetico del capitale e il suo modo di essere, e quindi l’origine delle crisi che lo attraversano. Oggi le lenti di Marx ci servono proprio per mettere a fuoco le cause di una crisi che per profondità ed estensione, e per le sue manifestazioni inedite, spoglia il capitale dei suoi orpelli ideologici, portandone allo scoperto la natura distruttiva e il limite storico».
«Anche all’osservatore superficiale non sfugge che per uscire dalla crisi occorrerebbe rimuoverne le cause. Difatti si tratta di un’ovvietà. Ma di un’ovvietà tale da mettere in discussione un intero sistema: perché se la crisi è connaturata con il capitalismo, per uscire dalla crisi occorre uscire dal capitalismo».
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