Tre euro e venti. Se mamma vi dirà che la cultura è importante, rispondete: tre euro e venti. Quando il professore si dilungherà sulla necessità dello studio e dell’impegno, sillabate a mente: tre euro e venti. Mentre il rettore vi impalmerà con l’accademico bacio in fronte, cantilenate questa filastrocca: tre euro e venti.
Tre euro e venti all’ora (spicci più, spicci meno) è la strabiliante cifra che il Ministero dei beni e delle attività culturali offre a 500 fortunati giovani per svolgere un modestissimo compito: catalogare e digitalizzare lo sterminato patrimonio culturale italiano. L’indennità di partecipazione offerta per svolgere questa umile mansione si aggira intorno all’appetitosa somma di 417 euro mensili. Per intenderci, meno di una pensione minima, con l’unica, sostanziale differenza che, per ambire a siffatto invidiabile patrimonio, bisogna aver conseguito la laurea con un tondo 110: il massimo dei voti, insomma, oltre alla conoscenza certificata dell’inglese, e agli inevitabili punti extra per chi vanta stage, master e altre, altrettanto illuminanti esperienze formative.
Ovviamente, niente ferie e decurtazione immediata del compenso per eventuali assenze ingiustificate. Eh sì, perché questa enorme quantità di denaro potrebbe spingere l’eventuale partecipante a bigiare l’orario lavorativo (35 ore a settimana) per abbandonarsi a una vita dissoluta, disseminata di costosi vizi e ugualmente dispendiosi piaceri. In effetti, tre euro e venti – una nuova proporzione divina che rende immediatamente invidiabile l’introito medio di un lavavetri – è una cifra che permette al giovane under 35 di togliersi non poche soddisfazioni. Oserei dire tutto il necessario per godersi appieno la vita, visto che, nello specifico, con tre euro e venti è possibile acquistare:
2 biglietti dell’Atac;
2 Peroni 66cl (a patto di servirsi di un alimentari a conduzione bangladese);
1/2 grammo di hashish;
2 pacchetti di cartine (corte)
quasi 1 pacchetto di tabacco (grammatura variabile);
3 goleador;
4 caffè;
1 quotidiano e mezzo (variabile a seconda della pubblicazione e dei sempre illuminanti inserti);
1/16 di un pompino e 1/33 di una scopata sulla Salaria (prezzo variabile);
6 sms a X-Factor;
quasi 2 primarie del PD.
Ammetto di non essere informato sull’attuale costo della colla. Colpevole mancanza, giacché sniffarne quantità ingenti potrebbe essere l’unico modo per raggiungere un’adeguata predisposizione fisica e mentale, insomma l’essenziale motivazione e lucidità necessaria per inoltrare la propria candidatura a codesta prestigiosa posizione lavorativa. E soprattutto per accettare – definitivamente, una volta per tutte – la vasta gamma di opportunità conquistate dopo anni di studio e tasse universitarie.
Leggo in giro parecchi inviti a firmare una petizione contro questa elemosina di Stato. Ma credo che la risposta migliore sarebbe se nessuno – e dico, nessuno – si abbassasse a partecipare a questa squallida selezione. Piuttosto, affrettatevi: i semafori ultimamente si sono fatti decisamente affollati. E con i tempi che corrono, a chi non fa comodo un po’ di colla?
“Con la cultura si mangia!” Merda.
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