I ministri delle finanze della zona euro, moltiplicano le loro riunioni. Un vertice urgente dei capi di Stato, è stato già programmato. L’Euro brucia.
Ed adesso, l’Italia…
Dopo la Grecia, l’Irlanda ed il Portogallo per le quali le purghe preparate a Bruxelles e dal FMI non soltanto non servono a nulla, ma conducono queste nazioni dritte contro un muro, ora tocca all’Italia. È uno dei paesi fondatori della Comunità Economica Europea. Da sola ha un peso due volte superiore ai tre paesi sopra menzionati. Il suo indebitamento rappresenta il 120% del suo prodotto interno lordo (PIL), cioè 1600 miliardi di euro contro i 350 miliardi della Grecia (150% del PIL). È chiaro che, se la penisola cedesse, il cuore della zona euro sarebbe colpito.
Ma occorre stupirsi di situazione simile?
In realtà, il verme è nel frutto stesso dell’Unione Europea. Gli artefici di quest’ultima hanno voluto creare uno spazio dove i capitali potessero circolare “liberamente”, dove la concorrenza fosse“libera e non distorta”. Per arrivare a ciò, gli Stati membri si sono visti imporre drastiche regole economiche e di bilancio, in particolare attraverso i famosi criteri di Maastricht. Il principio di austerità imposta è scolpito nel marmo dei trattati europei. Le nazioni hanno dovuto frenare le loro spese sociali, privatizzare ed abbandonare ai mercati tutti i meccanismi delle loro società. Ciascuna è stata costretta ad uniformarsi ad un unico schema, indipendentemente dalla propria storia, dalla propria cultura, dalle proprie tradizioni, dalle proprie strutture economiche e dal proprio livello di sviluppo. Oggi sappiamo che la Grecia, per entrare nell’euro, ha mentito sulla sua reale situazione, consigliata dalla banca d’affari Goldman Sachs. Questa l’ha portata a richiedere prestiti e ad indebitarsi molto, per apparire agli occhi dei finanzieri e degli speculatori un’area stabile e sicura.
Il verme è nel frutto
Il risultato di questa struttura nella zona euro, ha portato ad un aumento della disoccupazione, ad un calo del potere di acquisto delle famiglie, allo sviluppo della precarietà del lavoro, in definitiva alla rottura di una delle molle della crescita, il consumo. L’euro è oggi sopravvalutato. Penalizza le esportazioni, favorisce le importazioni, incita alla delocalizzazione. Questo porta i paesi a vivere al di sopra dei propri mezzi, mentre esplode la questione sociale. È un circolo vizioso, una spirale verso il declino. Le banche e gli istituti finanziari si nutrono di questo cancro che cresce e tende a generalizzarsi. L’esempio della Grecia, che è precipitata nell’abisso, è indicativo. Più il paese affonda, più le agenzie di rating lo fanno regredire; più il costo del denaro aumenta, più gli investimenti dell’economia reale lo abbandonano. Ma i giganti della finanza non ci perdono mai. Inoltre, in questo caso, sono gli Stati, l’Unione Europea, che li annaffiano con miliardi di euro. Il mondo appartiene loro. Sono loro che lo comandano.
Uscire dall’euro
Se vogliamo uscire da questa situazione, esiste una sola strada. Occorre che le nazioni riconquistino la loro sovranità. Occorre dunque uscire dall’euro. Che triste spettacolo queste riunioni a ripetizione di ministri delle finanze, che dispiegano la loro impotenza di fronte ai mercati finanziari! Se i nostri concittadini penano a vedere la differenza tra la sinistra e la destra, se è un ministro socialista che oggi in Grecia amministra l’epurazione del suo popolo, è perché i poteri politici, che tuttavia dispongono della legittimità popolare, si sono dimessi dalle loro responsabilità e sono sottoposti ai dettami della finanza, alle direttive di Bruxelles, alle ingiunzioni dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e del FMI. I governi hanno il dovere di recuperare i loro poteri e questo è possibile solo a livello nazionale, il che non esclude la cooperazione, i progetti comuni, ma effettuati su solide basi.
Il primato del potere politico
La riconquista della nostra sovranità nazionale, ci renderebbe il controllo monetario e la nostra sovranità economica. L’introduzione di un Franco nuovo, con la leva della svalutazione, abbasserebbe il costo delle nostre produzioni all’estero, favorirebbe le esportazioni. Unito ad una politica d’aumento del potere d’acquisto, permetterebbe un rilancio dei consumi, della produzione e dunque della crescita. Si tratta di una manovra per creare nuove ricchezze e che potrebbe affrontare in modo sano, una diminuzione del debito e del deficit.
Ciò presuppone, in una prospettiva di rilancio, che si mobilitino i fondi necessari e che, a tale scopo, vengano consegnati alle banche e agli istituti finanziari per ricollegare il denaro all’economia reale.
Che sia chiaro: senza questo, nessuna politica di sinistra è possibile.
* da PCF – http://lepcf.fr/Comment-sortir-de-l-Euro-avant-qu
Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
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