Menu

La crisi del debito pubblico in Grecia

 

Origini, politiche, prospettive ed alternative

Introduzione

Ogni storia ha bisogno di una narrazione, di una spiegazione del perché le cose sono accadute in quel modo. In questo racconto si trovano le risposte di come evitare / correggere simili situazioni in futuro, e di come diffondere le idee di sviluppi positivi.

Comprensibilmente, ci possono essere narrazioni differenti per ogni particolare evento, a seconda del proprio punto di vista, sulla base di interessi individuali, del proprio gruppo di appartenenza o di classe, e a partire dalle informazioni disponibili, ecc.

La narrazione della crisi del debito pubblico greco deve essere scomposta su piani diversi: quello nazionale, date le caratteristiche particolari del capitalismo greco; quello europeo, sulla base ristretta dell’integrazione europea e dell’unione monetaria; quello globale, visto il ruolo dominante del sistema della finanza, che fa ricadere la sua parte di responsabilità per la crisi sui contribuenti ordinari.

Andremo ad analizzare ognuno di questi livelli nella prima parte di questa nostra presentazione.

 

Le politiche messe in atto in Grecia, apparentemente nell’interesse del popolo, costituiscono un precedente per la profonda applicazione in Europa del paradigma neoliberista, favorendo il sistema finanziario e più in generale le classi sociali privilegiate. Per esempio, il programma Unione Europea/Fondo Monetario Internazionale è apertamente quello di sostenere le privatizzazioni come mezzo per affrontare la crisi del debito pubblico, violando così la neutralità del Trattato, a tutto favore della proprietà privata.

Inoltre, l’istituzione di una “task force” per fornire assistenza tecnica al governo greco, con il compito di presentare al presidente della Commissione europea e al commissario agli Affari economici un’informativa trimestrale, by-passando il governo greco, compromette la sovranità politica della Grecia.

Le politiche attualmente implementate in Grecia verranno analizzate nella seconda parte della nostra presentazione. La deflazione ha già afferrato l’economia greca, mentre la prospettiva di un lungo periodo di depressione è più reale che mai. Il malcontento sociale si sta trasformando in fermento sociale, mentre la società è attanagliata dalla paura che la luce alla fine del tunnel è ben lontana dal vedersi! Il governo sta mobilitando sempre più reparti di polizia, al fine di sedare le proteste nelle strade. Allora, che cosa si deve fare?

Pur apparendo disperata la situazione, dobbiamo tenere a mente che non c’è carenza di proposte alternative. È la volontà politica di porle sul tavolo e applicarle che scarseggia. È a questo punto che le mobilitazioni sociali possono rapportarsi alla situazione. Più partecipate, più informate, meglio coordinate e organizzate saranno, più è probabile che riusciranno a bloccare, ed anche ad invertire la tendenza degli eventi che ci stanno difronte.

Le prospettive e le alternative possibili saranno discusse nella terza parte di questa nostra analisi.

 

La narrazione greca – le radici della crisi

La spiegazione canonica della crisi del debito pubblico della Grecia è quella della dissolutezza fiscale, è quella di un paese che vive al di sopra dei propri mezzi. Questo non fa sorpresa, dal momento che il deficit pubblico e il debito della Grecia, così come il deficit di conto corrente, sono andati persistentemente elevandosi negli ultimi dieci anni.

Tuttavia, questa è una lettura superficiale della crisi, nella misura in cui non si tiene conto del processo che ha portato la Grecia al suo stato attuale. È solo attraverso la comprensione di questo processo, che si può tentare di cambiare questa condizione.

 

Fattori domestici

Per “domestiche” si intendono le caratteristiche peculiari della formazione capitalista in Grecia, di come questa si è andata a sviluppare nel passato mezzo secolo, caratteristiche che aiutano a spiegare l’attuale stato delle finanze pubbliche greche.

Nei primi anni ‘50, l’economia greca era a brandelli, a seguito di una devastante Seconda guerra mondiale e di una guerra civile altrettanto distruttiva.

Il periodo 1950-1973 è stato dominato dalla Destra autoritaria (1950-1967) e dalla dittatura (1967-1973). Durante questo periodo, la politica economica aveva poco interesse per un’agenda sociale, era volta ad una “crescita ad ogni costo”, sulla base di un particolare tipo di “compromesso sociale”, che tollerava evasioni ed elusioni fiscali le più diverse, come un regime fiscale favorevole per il settore industriale, l’esenzione degli agricoltori dall’imposta sui redditi, l’evasione fiscale da parte delle piccole imprese e dei professionisti, ecc. Tanto, che si era fatto strada il concetto di “evasione fiscale legale”, radicato a tutt’oggi (Stathakis, 2010).

Gli inizi dell’istituzione di uno “stato sociale” si devono far risalire agli anni ’80, durante i quali un certo numero di ex “national champions” sono state nazionalizzate, però con lo Stato che si prendeva carico delle loro passività. [N.d.tr.: “national champion” è un concetto politico-economico con cui si configurano grandi aziende impegnate in settori strategici, non solo per cercare profitto ma anche… per “promuovere gli interessi della nazione”.]

I problemi che affliggevano l’economia venivano aggravati da una crescita lenta e da un’alta inflazione, con un conseguente grave peggioramento delle finanze pubbliche.

Congiungersi all’Eurozona è divenuto l’obiettivo strategico degli anni ’90 e 2000.

I settori produttivi – manifatturiero e agricolo – retrocedevano sempre più, mentre le privatizzazioni e le liberalizzazioni del mercato contribuivano ad approfondire la finanziarizzazione del sistema economico.

Mentre lo stato delle finanze pubbliche peggiorava, queste venivano “falsificate” attraverso l’uso di derivati ​​e con l’aiuto di istituzioni finanziarie…tanto osannate, come la Goldman Sachs; un punto su cui torneremo tra breve.

Inoltre, l’afflusso di investimenti di portafoglio componeva gran parte del disavanzo di conto corrente.

[N.d.tr.: secondo la definizione del Fondo Monetario Internazionale, si definiscono “diretti” gli investimenti effettuati per acquisire un “interesse durevole” in un’impresa, dove l’“interesse durevole” deriva dall’acquisizione di almeno il 10% delle azioni ordinarie o del diritto di voto. Tutti gli altri investimenti sono invece considerati “investimenti di portafoglio”.]

 

Per tutto il sessantennio 1950-2010, la questione di incrementare le finanze statali attraverso l’eliminazione dell’evasione fiscale rimaneva estranea all’agenda politica.

Questa è una caratteristica saliente dei problemi cronici fiscali della Grecia. Il fatto che nemmeno oggi vengono posti limiti all’evasione è indicativo degli interessi dei gruppi dominanti nella società greca. Per esempio, si stima che il 20% più ricco della popolazione paga la minima quantità di imposte sul reddito!

Altre caratteristiche del profilo del sistema economico greco e delle sue basi fiscali possono anche essere spiegate prendendo in esame su lungo periodo lo sviluppo del capitalismo greco. Per esempio, l’esistenza di “professioni a numero chiuso”, e alti tassi di occupazione nel settore pubblico denotano i tentativi dei capitalisti di vincolare ai loro interessi la classe media e settori della classe operaia (Tsakalotos, 2010).

In questo senso, la risultante configurazione sociale ed economica è una componente della Grecia contemporanea, piuttosto che solo il sintomo di uno “Stato clientelare”. Solo una radicale trasformazione sociale ed economica, a partire dal sistema fiscale e dalla pubblica amministrazione, possono avere un impatto duraturo.

Il programma predisposto da UE / FMI non affronta la natura sociale dei problemi fiscali della Grecia, mentre l’aggravarsi della crisi rende più difficile il cambiamento istituzionale.

 

Fattori europei

È stato detto che la Grecia deve affrontare un triplice vincolo (a) l’impossibilità di svalutare la sua moneta, (b) la crisi mondiale (c) un partner potente (la Germania) determinato ad amministrare per suo conto un surplus di conto corrente (la differenza tra esportazioni e importazioni totali) (Papadimitriou et al, 2010).

 

Infatti, adottando una moneta unica, per certo i membri dell’Eurozona hanno risolto il problema della speculazione sui cambi. Tuttavia, la mancanza di un banchiere governativo – vale a dire, di una banca centrale in grado di stabilizzare il mercato obbligazionario sovrano attraverso operazioni di mercato aperto, nello stesso modo in cui la Federal Reserve ed altre banche centrali sono in grado di farlo – questo ha esposto i membri alla speculazione nel mercato obbligazionario, visto che in questo settore il Trattato vieta alla Banca Centrale Europea di agire con competenza legale.

Allo stesso tempo, il regime fiscale dell’unione monetaria si fonda sulla disciplina e su interessi paritari, mentre il bilancio dell’Unione è minimo (meno dell’1% del PIL dell’Unione Europea), escludendo per definizione il concetto di unione di trasferimento di moneta. Così paesi come la Grecia, in un momento di crisi, si trovano senza difese.

 

L’aumento del deficit pubblico della Grecia è in gran parte esogeno. E soprattutto è il risultato della recessione mondiale ed europea, e dell’entrata in gioco di stabilizzatori automatici.

[N.d.tr.: Gli stabilizzatori automatici sono meccanismi interni al sistema economico, che non necessitano di specifiche decisioni da parte delle autorità governative. Gli stabilizzatori hanno l’importante funzione di attenuare le eccessive oscillazioni del sistema economico, operando in maniera restrittiva durante i periodi di espansione ed in maniera espansiva durante la fase di recessione. Tra gli stabilizzatori risultano essere particolarmente importanti i prelievi fiscali, sia diretti che indiretti. Ad esempio in periodi di depressione, il gettito fiscale dell’IVA subirà sicuramente una flessione a causa dei minori consumi; un effetto opposto si avrà in una fase di espansione.]

Da qui, un deficit pubblico cronicamente elevato e un debito sparato verso l’alto nel 2009-2010. L’ingegneria finanziaria ha aggravato la situazione.

 

Il terzo vincolo a cui la Grecia deve sottostare, così come altri paesi della Zona Euro indebitati, è il crescente divario nel rendimento dei diversi paesi. In particolare, un persistente e crescente squilibrio commerciale tra la Germania e alcuni altri paesi del Nord Europa, da un lato, e la maggior parte dei paesi del Sud Europa, tra i quali la Grecia, dall’altro, è indicativo dei problemi di competitività che sono presenti anche in tempi normali, figuriamoci in momenti di crisi. La posizione macroeconomica scelta dalla Germania grazie al suo sistema economico più importante nell’Eurozona, mina ogni tentativo di convergenza.

Quindi, anche se i Greci lavorano molte più ore dei Tedeschi su base annua, hanno uno dei più bassi redditi pro capite in Europa, una distribuzione decisamente diseguale del reddito e un elevato livello di povertà, soprattutto tra i lavoratori poveri (OCSE, 2010); questi lavoratori sono meno competitivi rispetto ai loro omologhi tedeschi, perché la Germania sta perseguendo una strategia di crescita a bassi salari, che è coerente con il suo modello dominato dalle esportazioni.

Sul lungo periodo, tali divergenze non sono compatibili all’interno di un’unione monetaria, a meno che la differenza nel saldo delle partite correnti tra gli Stati membri con surplus e deficit sia compensata da trasferimenti. Questo però è precluso strutturalmente.

In buona sostanza, gli accordi restrittivi istituzionali dell’Unione Monetaria Europea e le politiche salariali divergenti dei suoi Stati membri danno conto per la maggior parte non solo della situazione in cui la Grecia si trova, ma anche della sua incapacità di superarla.

 

Fattori globali

Come accennato in precedenza, gran parte dell’aumento del debito pubblico greco è stato originariamente provocata dalla crisi globale. Inoltre, il sistema finanziario globale ha svolto un ruolo significativo nell’aggravare la crisi nelle sue diverse fasi.

Partiamo dall’inizio: per quasi quindici anni, la Goldman Sachs (GS) ha creato “riporti valutari” che hanno permesso all’amministrazione greca di emettere il debito in dollari e yen, per poi essere scambiato con titoli espressi in euro, che sarebbero stati rimborsati in un secondo momento.

 

[N.d.tr.: Per riporto valutario si intende la vendita e l’acquisto simultanei della stessa quantità di valuta a corso di cambio a termine.

Il riporto è un contratto frequentemente collegato con le operazioni di borsa a termine, cioè un contratto con il quale una parte (il riportato) trasferisce in proprietà ad un’altra (il riportatore) titoli di credito di una data specie per un determinato prezzo, e il riportatore assume l’obbligo di trasferire al riportato, alla scadenza del termine stabilito, la proprietà di altrettanti titoli della stessa specie, verso rimborso del prezzo, aumentato o diminuito nella misura convenuta. Quando il prezzo è diminuito si parla, più propriamente, di deporto.

Pur trattandosi, dal punto di vista giuridico, di un contratto unitario, il riporto corrisponde, in sostanza, ad una vendita a pronti e contemporaneo riacquisto a termine che il riportato compie con il riportatore, e può servire a scopi diversi.

Così, ad esempio, può consentire al riportato che necessita di denaro, ma non intende disfarsi dei titoli (perché prevede un rialzo), di procurarsi il denaro stesso dando i titoli a riporto ad una banca, che percepirà, come utile, la differenza fra i due prezzi.

Può accadere, invece, che il contratto venga stipulato nell’interesse del riportatore che desidera disporre temporaneamente di titoli (ad esempio, per esercitare il relativo diritto di voto in un’assemblea), ma non intendendo acquistarli, li prende a riporto (in questo caso, anzi, a deporto, come abbiamo detto) e sarà lui a pagare un corrispettivo. In questi casi il riporto ha un contenuto essenzialmente economico, ed è detto anche riporto di banca.

Altre volte, invece, viene posto in essere da operatori di borsa per un fine essenzialmente speculativo, e precisamente per prolungare nel tempo posizioni speculative al rialzo od al ribasso compiute mediante operazioni allo scoperto (cioè acquisti fatti senza disporre dei corrispondenti capitali, ovvero vendite senza disporre dei relativi titoli) ; è questo il cosiddetto riporto di borsa.]

L’intervallo di maturazione dei titoli era compreso tra i 10 e i 15 anni. La GS riceveva una commissione di peso, e nel 2005 vendeva contratti a riporto ad una banca greca.

Il governo greco manteneva contenti e sicuri i suoi partner dell’Eurozona e lo stato delle finanze pubbliche della Grecia veniva contraffatto sapientemente e legalmente!

Quando nel 2009 le condizioni finanziarie della Grecia peggiorarono, la GS, JP Morgan e alcune altre banche dettero il loro sostegno ad una quasi sconosciuta società – il gruppo Markit di Londra – nell’introdurre un nuovo indice – l’iTraxx SovX Europa Occidentale – composto dai 15 “credit default swap” più scambiati in Europa a coprire economie in situazioni di difficoltà come quella della Grecia.

 

[N.d.tr.: i “credit default swap” (cds) sono contratti derivati che permettono agli investitori, pagando un premio, di proteggersi dall’eventuale fallimento di una obbligazione (soprattutto titoli di Stato). 

Una vera e propria polizza assicurativa, che di conseguenza segnala il livello di rischio di un titolo, dalle azioni alle obbligazioni governative. Infatti più aumenta il costo per stipulare un “credit default swap”, quindi per assicurarsi, più significa che il sottostante (l’oggetto del contratto) aumenta il suo grado di rischio. 

Il problema è che spesso questi sottostanti sono rappresentati da titoli di Stato di un paese sovrano. 

A questo punto una domanda sorge spontanea: possono le banche e le istituzioni private decidere sul destino economico e finanziario di interi paesi e di milioni di cittadini?

Un discorso simile alle recenti polemiche sul ruolo eccessivo assunto dalle agenzie di rating americane. Non a caso, se andiamo ad analizzare come funzionano (e chi gestisce) i cds, le curiosità non mancano. 

Anzitutto sono contratti stipulati sui mercati non regolamentati, sono comprati e venduti dagli operatori al telefono, senza un sistema elettronico e quindi privi di trasparenza. Il loro mercato è concentrato nelle mani di 4-5 colossi bancari americani e rimangono accessibili solo ai grandi investitori. Insomma si tratta di strumenti opachi e senza tracciabilità, che hanno però un potere enorme: quello di influenzare e condizionare mercati enormi, come quello dei titoli di Stato

Possono diffondere il panico e far lievitare i rendimenti, contribuire a destabilizzare i governi, le borse e di conseguenza i risparmiatori.] 

 

Questo permette agli speculatori sul mercato di scommettere se la Grecia, tra gli altri, dichiarerà fallimento o meno. Il comprare e vendere swap produce l’aumento del costo per assicurare il debito sovrano greco e, a sua volta, l’aumento di ciò che Atene deve pagare di interessi per prendere a prestito fondi. Di qui il fenomeno delle banche che scommettono se la Grecia dichiarerà fallimento per debiti, che loro hanno contribuito a nascondere!

Come accennato in precedenza, il regime monetario dell’Eurozona abbandona i suoi membri più vulnerabili alle speculazioni del mercato dei cambi. Come la crisi greca ha dimostrato, questi paesi possono essere tenuti in ostaggio dai mercati finanziari e dalle stesse agenzie di valutazione del credito.

I molteplici dimensionamenti verso il basso delle obbligazioni emesse dallo Stato greco sono illustrativi a questo proposito. Solo nella prima metà del 2011, le tre grandi agenzie di rating le hanno declassate 7 volte! Non sorprende che, entro il luglio 2011, i differenziali su questi titoli siano esplosi, così come i “cds”.

In buona sostanza, la finanza globale ha influenzato la nascita e lo sviluppo della crisi greca del debito pubblico, sia direttamente che indirettamente.

I casi particolari di cui sopra sono esempi di responsabilità diretta.

Indirettamente, la finanza globale è stata strumentale nel promuovere la narrazione sul sistema economico poco virtuoso della Grecia, nel tentativo di distogliere l’attenzione dalla sua parte di responsabilità nella crisi, e per garantire fondi freschi per il salvataggio finanziario.

Inoltre, come sottolineato da Walden Bello, puntando i riflettori sulla spesa pubblica sempre elevata ed in crescita, come il problema chiave dell’economia mondiale, la finanza mondiale sta cercando di deviare le pressioni per una regolamentazione più severa della finanza, tanto richiesta dai cittadini e dai governi fin dall’inizio della crisi globale.

 

Il salvataggio finanziario da parte dell’EU/IMF – Cura micidiale per il paziente?

 

La corsa al primo salvataggio

La saga della crisi del debito pubblico della Grecia ha avuto il suo inizio nel mese di ottobre 2009, quando il governo socialista di recente elezione annunciava che il deficit pubblico per il 2009 avrebbe raggiunto il 12,5% del PIL, invece del 3,7%, come previsto nel bilancio di quel anno.

Il differenziale di rendimento decennale dei titoli di stato (rispetto a quello della Germania), che era pari a 134 punti base (pb) il 22 ottobre 2010, cominciava a crescere.

[N.d.tr.: la misura dei prodotti su obbligazioni e titoli è il punto base equivalente a un centesimo di punto percentuale, ossia è uguale allo 0,01%. Viene usato per esprimere differenziali di rendimento. (7,50% – 7,15% = 0,35%, vale a dire 35 punti base). Quindi un differenziale (spread) del 3,64% è uguale a 364 punti base.]

Ai primi del 2010, la Grecia annunciava una serie di misure di austerità, che venivano “ben accolte” dalla Commissione Europea (nella sua assemlea del 25 marzo 2010). Tuttavia, il 22 aprile, il differenziale di rendimento decennale dei titoli di stato raggiungeva i 586 pb.

Il 23 aprile 2010, il governo greco ufficialmente si rivolgeva per assistenza finanziaria all’Eurozona e al Fondo Monetario Internazionale (FMI). Il salvataggio finanziario veniva concordato all’inizio di maggio 2010, quando la Banca Centrale Europea (BCE) annunciava che avrebbe accettato titoli di stato greci come garanzia, a prescindere dalla loro valutazione di solidità (rating).

Eppure, il 7 maggio, il differenziale di rendimento decennale dei titoli di stato arrivava ai 1038 bp, e si manteneva intorno a questo valore per tutto il 2010, e comunque attualmente è stato superato.

 

Il salvataggio del 2010

Questo prestito ammonta a 110 miliardi di Euro, di cui 80 miliardi sono prestiti intergovernativi impegnati dai paesi dell’Eurozona e 30 miliardi da parte del FMI.

Il progetto di erogazione dei prestiti veniva impostato per soddisfare le esigenze di finanziamento della Grecia fino alla prima metà del 2013.

I prestiti, con un tasso d’interesse del 3,5%, hanno una scadenza di 15-30 anni, compreso un periodo di dilazione del pagamento di 10 anni. Il pacchetto di salvataggio è strettamente subordinato alla realizzazione di misure di austerità severe, e di riforme a largo raggio di liberalizzazioni e di privatizzazioni.

Nello specifico, le misure di austerità si basano più su tagli di spesa (oltre il 60% della riduzione del deficit) che su aumenti delle tasse, e sono state studiate per ridurre il deficit pubblico dal 15,4% del PIL del 2009 al 2,6% entro il 2014.

Inoltre, le riforme, già dettagliate o in fase di approfondimento, del sistema pensionistico, della sanità e dell’istruzione pubblica costituiscono condizioni esplicite del pacchetto di salvataggio.

I progressi in tutti questi settori verranno controllati ad intervalli regolari da funzionari dell’Unione europea e del FMI, a determinare se la nuova tranche di prestiti potrà essere erogata o no. In questo modo, viene esercitata un’ulteriore pressione, provocando ulteriori misure di austerità, nel caso di non conseguimento degli obiettivi.

Le proiezioni del salvataggio finanziario si basavano su un assunto fondamentale, sulla ripresa della crescita non solo in Grecia, ma anche a livello globale. Come l’esperienza dello scorso anno ha dimostrato, si trattava di una supposizione audace, quasi per certo destinata a fallire nel breve periodo. La Grecia è già stretta in una spirale verso il basso di salari, prezzi e produzione in caduta e aumento della disoccupazione (17%, dal 10% nel 2009, e a breve dovrebbe superare il 20%), della povertà e delle disuguaglianze.

Come la Quarta Revisione del “Programma di aggiustamento economico per la Grecia” sottolinea, la recessione è più profonda e più lunga di quanto inizialmente veniva previsto. Il risultato è il mancato raggiungimento degli obiettivi del salvataggio finanziario, che porta a nuove misure, prese in una situazione di quasi-panico da parte del governo greco, perennemente all’inseguimento della propria ombra!

 

Il salvataggio del 2011

Questo salvataggio è stato deciso nel luglio del 2011, e segna uno scostamento da quello precedente, in quanto contiene una clausola riguardante il coinvolgimento del settore bancario, a cui viene richiesto di accollarsi una perdita di circa il 21% del suo portafoglio in titoli di Stato greci. L’effettiva forma e la quota di partecipazione delle banche specifiche non sono ancora state definite.

Una pietra miliare di entrambi i salvataggi finanziari è l’imposizione della rapida privatizzazione delle partecipazioni statali presenti in tutto il sistema economico. Nonostante la presunta neutralità dell’Unione europea nei confronti della proprietà privata (art. 345 del Trattato), la Commissione europea assume una posizione chiara a favore delle privatizzazioni, come mezzo per ridurre il debito pubblico, e nel contempo promuovere l’attività economica.

Inoltre, il processo di privatizzazione deve essere monitorato da una commissione indipendente, sull’esempio dell’agenzia “Treuhand”, incaricata della privatizzazione del sistema economico della Germania Est, dopo l’unificazione.

Ovviamente, si ritiene che questa agenzia abbia colto dei bei successi, anche se in questo processo di privatizzazioni sono andati persi 2,5 milioni di posti di lavoro, mentre il costo intero di esercizio ha superato i 300 miliardi di marchi tedeschi, a fronte di profitti dalle privatizzazioni non superiori ai 60 miliardi di marchi.

In buona sostanza, i salvataggi Unione Europea /FMI non riescono a riconoscere la natura della crisi del debito greco, sia esso nazionale, europeo o mondiale. In questo modo, si chiudono gli occhi non solo sugli aspetti più profondi delle carenze dell’economia greca, ma anche sulle debolezze e inadeguatezze strutturali della costruzione dell’euro, così come sul ruolo del sistema finanziario.

Inoltre, la stessa unilateralità di ordine logico e politico viene manifestata in relazione non solo ad altri paesi indebitati in cerca di assistenza finanziaria, come l’Irlanda e il Portogallo, ma anche per quanto riguarda i principali orientamenti politici da adottare per l’Eurozona nel suo complesso.

Perseguire il risanamento di bilancio simultaneamente su un’area di 17 Stati membri (per non parlare dei 27!) in un momento di crisi è semplicemente diffondere un’“austerità contagiosa” con il rischio di provocare una “crisi contagiosa” nell’Eurozona nel suo complesso, in effetti mettendo a rischio la sua stessa sopravvivenza (Munchau, FT, 4 settembre 2011).

 

Prospettive ed alternative

Le misure di austerità e le riforme del mercato del lavoro portate avanti in Grecia sono una forma di svalutazione interna, cioè un modo di abbassare il tasso di cambio effettivo reale in termini di costo unitario del lavoro. Si tratta di un processo che va a protrarsi a lungo, con un costo sociale pesante, reso ancora più pesante dalle attuali incertezze mondiali ed europee.

[N.d.tr.: Il tasso di cambio effettivo è un indice di competitività di prezzo di un’area economica (area domestica) rispetto ad un certo gruppo di aree economiche concorrenti. Esso mira a rappresentare l’evoluzione dei prezzi nell’area domestica relativamente ai prezzi nelle aree concorrenti. Può essere calcolato nella versione nominale o nella versione reale.

Il tasso di cambio effettivo nominale, si costruisce come media ponderata dei tassi di cambio tra la valuta utilizzata nell’area domestica e le valute utilizzate nelle aree concorrenti.

Il tasso di cambio effettivo reale si costruisce aggiungendo alle informazioni sull’evoluzione dei tassi di cambio anche le informazioni sull’evoluzione dei prezzi nelle aree economiche considerate attraverso l’utilizzo di opportuni indici di prezzo, ad esempio l’indice dei prezzi al consumo.

I pesi utilizzati nella ponderazione della media si basano, di norma, sull’entità dei flussi di commercio verso le aree concorrenti, in modo da dare maggiore importanza ai prezzi delle aree con le quali si ha un maggiore interscambio commerciale. L’interpretazione dell’indice è che ad un incremento corrisponde una diminuzione della competitività di prezzo dell’area (ad esempio perché i prezzi domestici sono aumentati mediamente di più rispetto ai prezzi delle aree concorrenti), mentre ad un decremento corrisponde un aumento di competitività dell’area.]

 

Per di più, non si potrà andare avanti così per molto, non solo perché l’economia finirà per crollare, ma anche perché, in una società con gruppi di interesse diversificato, quelli che stanno sopportando la maggior quota degli oneri raggiungeranno il limite della loro capacità di farlo. Già, ci sono segnali di alienazione politica e manifestazioni di rabbia contro i due principali partiti politici, che si sono alternati al potere in Grecia nel dopoguerra.

Infatti, la Destra estrema sta registrando un aumento nelle preferenze elettorali.

Nel complesso, la situazione in Grecia non è più economicamente e socialmente sostenibile. L’esperienza dello scorso anno ha dimostrato che il consolidamento del sistema finanziario senza crescita non è possibile, e che proseguire nel programma di austerità e di riforme proposto dalla UE / FMI, di fatto approfondisce la recessione, rendendo più imminente un default senza controlli. Allora, che cosa si deve fare? La risposta ortodossa, classica, a questa domanda è “più ortodossa della stessa”.

Il ministro federale tedesco delle finanze, Wolfgang Schäuble, afferma che “i governi interni ed esterni all’Eurozona hanno bisogno non solo di impegnarsi per il risanamento di bilancio e il miglioramento della competitività, hanno bisogno di iniziare a generare tutto questo, ora e subito. La ricetta è tanto semplice quanto difficile da attuare nella pratica: le democrazie occidentali e altri paesi devono far fronte ad alti livelli di indebitamento, e i deficit necessitano il taglio delle spese, l’aumento delle entrate e la rimozione degli ostacoli strutturali nelle loro economie, comunque il tutto politicamente doloroso” (FT , 5 settembre 2011).

Un messaggio chiaro, in chiaro linguaggio neoliberista, che purtroppo non può funzionare in un momento di crisi. Ma qual è l’alternativa?

L’idea di emettere “eurobond”, cioè obbligazioni garantite collettivamente dagli Stati membri dell’Eurozona, è stata avanzata da proponenti diversi e in una varietà di forme.

Per esempio, secondo la proposta di “titoli blu”, i paesi potrebbero avere il diritto di emettere obbligazioni “blu”, collettivamente garantite fino al 60% del loro PIL, con un abbassamento significativo dei costi dovuti all’indebitamento finanziario.

Un’altra proposta di “eurobond” sarebbe che la Banca Centrale Europea (BCE) emetta obbligazioni e compri fino al 60% del debito esistente nei paesi dell’Eurozona, mentre i singoli paesi dovrebbero rendersi responsabili per la loro quota di interessi sugli eurobond.

Entrambe queste proposte potrebbero offrire qualche conforto nell’attuale crisi di fiducia nella Eurozona, e aiutare i paesi indebitati come la Grecia ad uscire dalla loro attuale impasse.

Tuttavia, la proposta del titolo “blu” implica un trasferimento dai paesi più forti verso i paesi più deboli, sotto forma di garanzie, mentre la proposta dell’“eurobond” si scontra con la clausola “no bail-out – nessun salvataggio” del Trattato e dello statuto della BCE.

Sono disponibili altre proposte, che non necessariamente richiedono la revisione del Trattato dell’Unione. Per esempio, Thomas Palley ha proposto l’istituzione di un’Autorità europea sulla finanza pubblica, che dovrebbe agire come tesoreria per l’Eurozona, in collaborazione con la BCE, che a sua volta dovrebbe aiutare il finanziamento del bilancio attraverso la gestione dei tassi d’interesse obbligazionari, come un banchiere governativo dovrebbe normalmente fare (Palley a FT, 31-8-2011).

Tutte le proposte di cui sopra per una unione più significativa dell’Eurozona finanziaria, se non fiscale, hanno due cose in comune: (i) richiedono la volontà politica di adottarle e applicarle, (ii) sono misure di medio se non lungo termine. Nel migliore dei casi, non possono affrontare immediatamente i problemi che stanno di fronte alla Grecia o all’Eurozona.

Molti analisti concordano sulla necessità di offrire condizioni più favorevoli alla Grecia. La continuazione di politiche di austerità non solo smorzano la domanda aggregata complessiva. Aumenta anche il valore reale del debito in essere, che porterà al fallimento delle banche e alla bancarotta delle imprese. Da qui, la necessità di invertire la marcia, cioè, di ridare stimolo all’economia attraverso la promozione della crescita economica. Dal momento che il settore privato non può fare questo, dovrà essere il governo a farlo!

Inoltre, vi è un urgente bisogno di riavviare la crescita nell’Eurozona e più in generale nell’Unione europea. Paesi con avanzo di bilancio come la Germania possono incrementare la spesa dei consumatori, in coordinamento con il resto dell’Eurozona. Anche la Banca Europea per gli Investimenti può contribuire al rilancio tramite il finanziamento di opere pubbliche.

Inutile dire che tale azione di stimolo dell’economia dovrebbe tener conto delle considerazioni ambientali e climatiche e dovrebbe essere condotta in modo da ridurre la disuguaglianza e la povertà.

Infine, è essenziale che la riforma della politica di regolamentazione finanziaria in Europa, così come a livello globale, si concluda presto, dopo più di due anni di deliberazioni. I tentativi da parte delle banche e di altri istituti finanziari di adattare le nuove norme ai propri interessi devono essere contrastati. Dopo tutto, la crescita e la stabilità sono i presupposti per superare con successo l’attuale crisi a livello nazionale, europeo e mondiale.

 

Foto da mkhalili.

di Marica Frangakis, membro del consiglio direttivo dell’ Istituto di ricerche economiche “Nicos Poulantzas” di Atene

 

http://www.tni.org/article/public-debt-crisis-greece

 

(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

 

ottobre 2011

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *