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Mr. Monti senza bacchetta magica

Mr. Monti senza bacchetta magica
Gabriele Pastrello

Da Maastricht a Monti impera una filosofia di fondo: restituire tutto al mercato. L’euro è stato disegnato in consonanza con una vecchia idea dell’arci-nemico di Keynes, von Hayek: de-politicizzazione della moneta, cioè rescissione dei legami tra moneta e Stato. La Banca centrale dev’essere sottratta a decisioni sovrane, e non deve finanziare in nessun modo lo Stato, vale a dire gli Stati membri dell’Unione europea. Forse una strategia obbligata, o temporanea, aspettando Godot: uno Stato federale nell’intenzione degli europeisti, o una ferrea egemonia della Germania, come recenti comportamenti piuttosto suggeriscono. Ma va ridotto anche l’intervento dello Stato in economia in due direzioni: da un lato privatizzare la gestione di reti nazionali (trasporti, energia etc.); dall’altro fare in modo che il livello dell’occupazione torni a dipendere solo dalle scelte del mercato. Quindi, riduzione prima e azzeramento poi dei deficit di bilancio degli Stati. Ma esistono due varianti di questa strategia, le possiamo chiamare la linea Trichet-Merkel e quella Draghi-Monti.

Draghi, con l’apertura di credito illimitato per tre anni, ha fatto quello che Trichet non avrebbe neppure osato pensare. Trichet ammoniva contro l’inflazione e aveva alzato i tassi di interesse, che Draghi ha nuovamente ridotto. Il successo della manovra così come il suo limite sono evidenti. Gli spread tra titoli tedeschi e gli altri sono caduti decisamente per le scadenze entro i tre anni, pur restando alti per quelle superiori. Non si può chiedere alle banche di fare di più, assumendosi i rischi del prestatore di ultima istanza. Inoltre, la sua misura rende superflui gli eurobond nella misura in cui dovevano servire a sostenere i debiti sovrani; e anche il fondo salva-stati diventa più uno strumento di riserva che non di prima linea. Tutte cose che non dispiacciono alla Merkel.
Ma c’è un ma. L’attacco all’euro continua, come mostra il declassamento dei debiti: resta immune ormai solo il nocciolo duro intorno alla Germania. Se l’attacco continuasse forse Draghi dovrebbe osare l’inosabile, fuoriuscendo da Maastricht: un finanziamento allo scoperto del fondo salva-stati in attesa che – normalizzati i mercati – possa essere estinto per mezzo della prevista leva finanziaria. Inoltre la linea Draghi ha un’implicazione reale; non solo persegue l’obiettivo di impedire il collasso finanziario, ma presuppone che la Banca centrale possa anche far ripartire la ripresa, spingendo le banche a far giungere alle imprese la liquidità aggiuntiva: l’importante è che non sia il bilancio dello Stato a stimolare l’economia. Ma qui si scontra con la trappola della contro-liquidità in cui sono incartate le banche, che non trasferiscono sufficientemente alle imprese la liquidità ottenuta.
E qui interviene Monti. Ha chiesto alla Merkel di ammorbidire le posizioni tedesche sugli eurobond, nella misura in cui potrebbero servire a finanziare investimenti pubblici da defalcare dai calcoli del deficit di bilancio. Ma la Merkel ha basato la sua rielezione su una campagna forsennata contro la prodigalità mediterranea. Anche Sarkozy vorrebbe, per ragioni elettorali, smarcarsi dalla posizione tedesca, ma è molto improbabile che possa spingersi fino a ridefinire un nuovo asso franco-italiano. Quindi dovremo sopravvivere alla scommessa della Merkel, che nei prossimi due anni la recessione non sia catastrofica e l’attacco ai debiti possa essere controllato. Ma non è detto che riesca. Standard&Poor ha incredibilmente usato un argomento keynesiano, ben lontano da quelli ortodossi del Fondo monetario internazionale, per giustificare l’attuale declassamento del debito, e quindi per prepararne altri. Cioè che sono proprio le politiche recessive, che secondo Germania dovrebbero mettere al sicuro la solvibilità dei paesi europei, a minacciare quella stessa solvibilità.
Di conseguenza Monti si ritrova ad affrontare solo con il decreto «cresci-Italia» le molte crisi che si stanno addensando contemporaneamente sul paese. La crisi del debito in tempo reale. La crisi di domanda di breve periodo: una uscita debole dalla recessione 2008-09 che rischia di essere soffocata sia da un rallentamento mondiale che dalla pesante manovra recessiva imposta da mercati e Germania. E la crisi della stagnazione di lungo periodo dell’economia italiana risultante da: scarso dinamismo globale dell’investimento in progresso tecnico, compressione del potere d’acquisto di massa, come conseguenza della pressione su occupazione e salari – che la manovra salva-Italia continua e aggrava -, redistribuzione fiscale inversa insieme a rendite e tariffe che appesantiscono i bilanci delle famiglie; aspetti che la manovra Monti non tocca positivamente ora, né sembra intenzionata a toccare in futuro. Peraltro, se la svalutazione dell’euro che consegue all’attacco può ridare fiato all’economia europea, difficilmente può risolvere i problemi italiani, come si è già visto nel 2010.
Pare che per Monti vada evitato innanzitutto e comunque un deciso intervento dello Stato per stimolare la ripresa. Ma allora, affrontare tutti quei nodi in questo contesto solo con la bacchetta magica di liberalizzazioni e privatizzazioni, che dovrebbero scatenare gli animal spirits degli imprenditori italiani, sembra decisamente un’illusione.

da “il manifesto”

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