Negli anni cinquanta e sessanta, a Roma, tutte le grandi manifestazioni sindacali e dei partiti di sinistra iniziavano con due file di taxi che procedevano in formazione, a passo d’uomo. Dietro, le bandiere, i cordoni, ma davanti i taxi, sempre. Una coreografia rimasta nell’immaginario. Di chi se lo ricorda. Un grande partito di sinistra li integrava nelle sue formazioni coperte di autodifesa. Che fine hanno fatto quelle licenze? Vendute. Il tempo passa. Ora “pensano” diversamente. Dagli interstizi della composizione di classe, si librano verso il cielo di una improbabile, piccola, proprietà.
Il “mezzo” scandisce la loro vita: i tempi di ammortamento, i premi dell’assicurazione, la manutenzione, l’aumento del prezzo del carburante, le rate del mutuo con cui hanno riacquistato la licenza, pubblica. Il mezzo è un pezzo di “capitale” loro affidato, una “macchina” che dà i tempi. Ogni aumento di prezzo o di tariffa li strangola, e loro intensificano l’autosfruttamento e la rabbia nei confronti degli altri automobilisti o degli utenti. Sostiene Enrico S. su FB: «DIKO A Te. Ringhioso spesso violento, ti porti via 5000 euro al mese + o -. C’hai due case, una popolare l’altra a Tor SanLorenzo. Lavori grazie a una licenza pubblica che d’estate affitti e quando molli rivendi a 200000 euro. Ah, dimenticavo: voti a destra, ovviamente». Ma valga per tutte la breve analisi di militant-blog
Le licenze vengono elargite per motivi elettorali, senza alcun rapporto con la domanda, con le esigenze della collettività, senza un piano di mobilità cittadina o ragionale o nazionale. Per non parlare degli autotrasportatori, i “padroncini” per i quali vale lo stesso discorso, moltiplicato per 5 o per 10, dato il maggior prezzo del mezzo.
Per chi se lo fosse scordato, il comunismo nasce contro i socialisti (genere prossimo) e contro la proprietà privata dei mezzi di produzione (differenza specifica). Nemica immediata è la piccola borghesia produttiva in quanto percettrice di reddito spurio: salario + profitto da utilizzo di beni capitale (sia pure infimi, metti un taxi). Ergo, “tassista comunista” è una perfetta contraddizione in termini. Qualcuno glielo dica a Silvia, tassista comunista che così si firma in una accorata lettera al manifesto (14 gennaio 2012, p. 14). Conosco editori di sinistra che sono comunisti. Ma non sono una categoria né una figura sociale. Se dovessero scioperare, lo farebbero, isolati, a loro rischio e pericolo. Il piccolo proprietario può sentirsi comunista. Ma come categoria è infido e diventa pericoloso. A Roma hanno votato in massa per il fascista Alemanno. cdb