Fu una giornata eroica, che culminò quando l’esercito, cane da guardia dell’oligarchia mineraria e latifondista, fu sconfitto, disarmato e disciolto dai minatori dopo due giorni di feroci combattimenti. Come prima in Messico, e poi a Cuba, la sconfitta dell’esercito è il marchio decisivo di tutte le rivoluzioni. Come vedremo più sotto, gli accadimenti della Bolivia ebbero un enorme impatto sul giovane Ernesto Guevara, anni prima che diventasse “il Che”. Anche su un altro giovane brillante come lui, Fidel Castro, che nella sua celebre arringa “La Storia mi Assolverà” (del 6 ottobre 1953) diceva ai suoi giudici che “Si è voluto stabilire il mito delle armi moderne come ipotesi dell’impossibilità di lotta aperta e frontale del popolo contro la tirannia. Le sfilate militari e le esibizioni spettacolari di equipaggiamenti bellici, hanno l’obiettivo di incrementare questo mito e creare nella cittadinanza un complesso di assoluta impotenza. Nessun’arma, nessuna forza è capace di vincere un popolo che si decide a lottare per i propri diritti. Gli esempi storici passati e presenti sono innumerevoli. È ben recente il caso della Bolivia, dove i minatori, con cartucce di dinamite, hanno sconfitto e schiacciato i regimenti dell’esercito regolare.”1
La storia della Rivoluzione Boliviana offre numerosi insegnamenti di grande utilità per le lotte d’emancipazione che sostengono i nostri popoli. I loro risultati iniziali furono immensi, impossibile sottostimarli. Ma mancarono del sostegno politico, economico e ideologico necessario per garantire la loro irreversibilità. La rivoluzione iniziò la sua gestazione pochi mesi prima, nel 1951, quando il Movimento Nazionalista Rivoluzionario (MNR) capeggiato da Víctor Paz Estenssoro trionfa nelle elezioni presidenziali di quell’anno. Poco dopo si produce un colpo di stato, promosso dall’oligarchia mineraria, che instaura una Giunta Militare con lo scopo di impedire l’accesso al potere del capo del MNR, che deve esiliarsi in Argentina. Ciò che ne segue è una crescente inquietudine sociale e politica che si traduce prima in un’impetuosa mobilitazione di minatori e contadini e, poco dopo, in quello che la teoria marxista denomina “dualità di poteri”. Cioè una profonda spaccatura nello stato borghese che, indebolito dalla ribellione di “quelli che stanno sotto”, perde la sua capacità di reclamare e ottenere la subordinazione al proprio governo e che, pertanto, non può impedire il sorgere di un forte antagonista, un potere reale, effettivo, non formale né costituzionale, ma un potere che si costituisce basato sull’immenso appoggio popolare del blocco formato dai contadini e dai minatori in armi.
Proprio come aveva detto Lenin, situazioni di questo tipo sono altamente instabili e rapidamente si volgono in una o altra direzione. Questo è stato esattamente quello che è successo il 9 aprile del 1952, nell’insurrezione popolare di massa che ebbe come epicentro La Paz e Oruro. Lì l’esercito fu sconfitto e smantellato, rimpiazzato da milizie popolari di minatori e contadini, nel miglior stile della Comune di Parigi. Queste giornate, bagnate dal sangue di almeno mezzo migliaio di morti, hanno aperto la strada alla formazione di un governo provvisorio sotto il comando di Hernán Siles Suazo, un altro dei dirigenti del MNR, e del più importante dirigente sindacale di quel tempo, il minatore Juan Lechín Oquendo, che furono letteralmente installati nel Palacio Quemado dalle masse nella speranza del ritorno nel paese di colui che consideravano il suo legittimo presidente, Víctor Paz Estenssoro.
La sconfitta e dissoluzione dell’esercito fu uno dei grandi risultati rivoluzionari degli eventi di aprile 1952. Però ce ne furono altri: poco dopo, in luglio di quello stesso anno, si approva una nuova legislazione concedendo il suffragio universale alle donne, agli analfabeti e agli indigeni. In ottobre si nazionalizzano le miniere, e principalmente quelle di stagno, tradizionalmente in mano a una triade di grandi proprietari conosciuta come “i baroni dello stagno”: Simón Iturri Patiño, Carlos Víctor Aramayo y Mauricio Hochschild. Con la nazionalizzazione queste imprese passarono a far parte di una nuova corporazione statale mineraria, la COMIBOL, contemporaneamente a quando il governo assumeva il monopolio dell’esportazione dello stagno. Allo stesso tempo si introducono programmi per promuovere l’industrializzazione dello stagno in Bolivia e si incrementano le attività petrolifere nell’Oriente boliviano e nel Sud e, più genericamente, si rafforza la sovranità nazionale sulle risorse naturali del paese e si costruiscono strade che permettano di unire l’Occidente dell’altipiano con le pianure orientali. Di enorme importanza è il settore agrario, che si istituzionalizza con la Legge di Riforma Agraria di agosto del 1953, e che permette la distruzione del latifondo, concentrato nelle regioni andine, e la distribuzione della terra agli indigeni, e contemporaneamente favorisce la sindacalizzazione dei contadini. La creazione della COB (Central Obrera Boliviana) ebbe luogo giorni dopo il trionfo dell’insurrezione. La COB fu uno dei pilastri fondamentali di appoggio al nuovo governo per la sua attiva partecipazione in tutti i rami dell’apparato statale. Il suo leader storico, Juan Lechín Oquendo, fu eletto Segretario Generale della COB e nominato Ministro delle Miniere e del Petrolio del nuovo governo. Fu uno dei leader popolari più coscienti del fatto che senza armare adeguatamente le milizie popolari la stabilità del nuovo governo sarebbe stata compromessa. Purtroppo le sue parole caddero nel vuoto.
Dicevamo più sopra che al di là dei suoi risultati la Rivoluzione Boliviana non poté evitare di seguire un corso discendente che la condusse fino alla sua definitiva sconfitta il 4 novembre 1964 con il colpo di stato di René Barrientos Ortuño, sinistro personaggio che come presidente della Bolivia avrebbe orchestrato, insieme alla CIA e al pentagono, la caccia ed il successivo assassinio del Che in Bolivia. Però la sconfitta della rivoluzione già era latente nel suo seno da molto prima. In primo luogo, per la politica delle alleanze perché, quando ancora in fase iniziale il potere reale riposava in mano a operai e contadini armati, la rappresentanza politica della rivoluzione fu affidata al MNR e ai suoi leader, esponenti di un settore sociale che, malgrado la loro strillata antioligarchia, conservavano stretti legami con quella classe e con la borghesia boliviana. E, peggio ancora, tanto Paz Estenssoro come Siles Suazo dimostrarono di essere facilmente cooptabili dall’astuta diplomazia nordamericana. Contrariamente al solito questa non tardò a riconoscere il nuovo governo sorto dai fatti rivoluzionari di aprile, malgrado in quello stesso momento stesse preparando un’invasione di mercenari per deporre dal potereil governo di Jacobo Arbenz in Guatemala. L’importanza che lo stagno aveva per l’industria militare degli Stati Uniti e il suo immagazzinamento di riserve minerali strategiche, nel quadro della guerra di Corea e del pericolo di una Terza Guerra Mondiale, è senza dubbio uno dei fattori che spiega atteggiamenti così differenti in un caso e nell’altro. Mentre Washington aveva molti paesi che potevano venderle il caffè o le banane che esportava il Guatemala, non ce n’erano tanti che potessero offrirle lo stagno che richiedeva il suo apparato industriale e militare. Di fatto, poco più della metà delle esportazioni di quel minerale erano acquistate dagli Stati Uniti, e questo collocava l’impero in eccellenti condizioni di negoziazione per imporre le sue politiche. Inoltre, la debolezza strutturale dell’economia boliviana, senza sbocco al mare e zavorrata da secoli di oppressione e sfruttamento, la rendeva fortemente dipendente dai programmi di “aiuto” predisposti da Washington. E le debolezze ideologiche della piccola borghesia del MNR, col pretesto della necessità di essere “realisti” e non inimicarsi gli interessi imperiali, permisero di chiudere il cerchio dell’assoggettamento all’imperialismo. Uno degli elementi cruciali che gli Stati Uniti hanno maneggiato con molta sagacia, è stata la necessità “tecnica” di ricostruire l’esercito distrutto. Di fatto, due anni dopo il trionfo della rivoluzione si riapriva la Scuola Militare e cominciava il processo di liquidazione delle milizie popolari. Sarebbe stato l’esercito che, nel 1964, avrebbe tirato il colpo di grazia alla rivoluzione. In ogni caso fu questa necessità di mantenere “buone relazioni” con l’impero ciò che ha segnato l’inizio del Termidoro rivoluzionario. La Rivoluzione Nazionale non solo fu una rivoluzione tradita, ma anche una rivoluzione interrotta. Uno dei suoi biografi, dice che Che Guevara, di passaggio in Bolivia nel suo secondo viaggio attraverso l’America Latina, mentre aspettava di essere ricevuto da un alto funzionario del Ministero degli Affari Contadini, recentemente costituito, si trovò con un gruppo di indios che erano arrivati sul posto per ritirare i titoli di proprietà promessi dalla ripartizione delle terre. Ma prima di arrivare all’ufficio del funzionario che aveva la pratica fecero loro compilare un modulo e li spruzzarono d’insetticida. Guevara avrebbe commentato, in una delle sue lettere che “il MNR fa la rivoluzione col DDT.” 2
Il dramma del 1952 potrebbe riassumersi così: una rivoluzione fatta da operai minatori e contadini, che insieme impugnano le armi e distruggono il sostegno fondamentale del decrepito ordine oligarchico, l’esercito, per poi cedere il controllo dello stato agli alleati piccolo borghesi del campo popolare e accettare che siano loro, e non chi fino a quel momento aveva il potere reale in mano, cioè le armi, a decidere la direzione del governo sorto da una rivoluzione il cui destino sarebbe, dodici anni dopo, essere vittima di una controrivoluzione. Altri fattori che pure hanno influito furono: (a) la ripartizione delle terre che, non essendo accompagnata da un intenso lavoro di organizzazione ed educazione politica, finì per far ritirare i contadini nel loro piccolo lotto e abbandonare la scena politica. È successo qui qualcosa di simile a quanto accaduto con i contadini francesi proprietari di parcelle analizzati da Marx nel suo Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte: il feticismo che crea la proprietà privata su un’infima – spesso miserrima! – porzione di terra li fece smobilitare e, ancora peggio, dopo un po’ di tempo li convertì in base d’appoggio di diversi governi anti rivoluzionari, come quello del già citato René Barrientos Ortuño. (b) d’altro canto, i settori minerari non riuscirono a stabilire una solida e duratura alleanza con i contadini, e il progressivo isolamento dei primi facilitò, pochi decenni dopo, il loro indebolimento organizzativo fino a concludersi con la loro scomparsa come attori economici o politici di rilievo nella Bolivia contemporanea. (c) L’attivismo nordamericano per frustrare i processi rivoluzionari, dall’esterno – con pressioni economiche e politiche, promesse bugiarde di collaborazione, o minacce velate o palesi di intervento – come dall’interno, attraendo nella loro egemonia i settori di un certo nazionalismo popolare che, nella loro illusione, sognavano un progetto nazionale che non fosse socialista e radicalmente antimperialista, cosa che più volte si è dimostrata essere impossibile. (d) Infine, la violazione in Bolivia di una sorta di “legge di ferro” di tutte le rivoluzioni e/o processi di riformismo radicale: o si avanza risolutamente verso le nuove mete che radichino la stabilità e l’irreversibilità delle conquiste iniziali, o il processo ristagna, languisce e muore.
Però al di là di questo breve bilancio di trionfi e sconfitte oggi è giusto e necessario rendere omaggio all’eroismo e all’abnegazione dimostrata dal popolo boliviano nelle epiche battaglie combattute sessant’anni fa. I meriti dei rivoluzionari di Aprile non si appannano per la capitolazione del fallito governo installato dalla rivoluzione. Il lavoro dell’insurrezione non è stato così metodico e radicale come sarebbe stato auspicabile, oltre le ovvie domande se al di là dei fatti le cose avrebbero potuto andare in altro modo. In ogni caso è certo che, con la chiusura del ciclo rivoluzionario aperto in quell’occasione, sarebbero trascorsi cinquanta lunghi anni – anni di sofferenza, di miseria e di morte per il popolo boliviano – finché, all’inizio di questo secolo, si ponesse fine a tanta decadenza con le grandi mobilitazioni popolari che, nel 2005, sarebbero culminate con l’elezione di Evo Morales alla presidenza della Bolivia aprendo così un nuovo luminoso capitolo nella storia di quel paese fratello.
Traduzione di Rosa Maria Coppolino, redazione Nuestra America
1 Fidel Castro Ruz, La Historia me Absolverá [edición definitiva y anotada] (Buenos Aires: Ediciones Luxemburg, 2005), p. 57.
2 Ver Frank Niess, Che Guevara (Madrid: EDAF, 2004), pg. 43. Esta anécdota también la narra el Che en América Latina. Despertar de un continente, una recopilación de sus notas de viaje. (La Habana: Ocean Press, 2003), p.71.En una de sus cartas el Che decía que una revolución que actúa de ese modo con los campesinos “no puede ser una revolución verdadera.”
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