Menu

Medio Oriente sull’orlo dell’esplosione

In Giordania prove di guerra Usa e Italia

Antonio Mazzeo

Dal 15 maggio, la Giordania sarà al centro di una delle più imponenti esercitazioni belliche mai realizzate in Medio Oriente. Più di 12.000 militari provenienti da 17 paesi daranno vita ad «Eager Lion 2012» che – secondo il Comando Usa per le operazioni speciali – «avrà come obiettivo il rafforzamento delle relazioni tra le differenti forze armate attraverso un comune approccio multinazionale ed inter-governativo per affrontare tutte le odierne e future sfide per la sicurezza». Salvo imprevisti, i giochi di guerra in Giordania si concluderanno nei primi giorni di giugno.
In passato «Eager Lion» veniva svolta ogni due anni solo dai militari di Stati Uniti e Giordania. Da quest’anno invece vedrà la partecipazione dei reparti terrestri, aerei e navali dei principali paesi della regione mediorientale, Siria esclusa. «Essi verranno addestrati alla guerra irregolare, alle operazioni speciali e alla contro-insorgenza con il coordinamento di una task foce multinazionale guidata dai generali Ken Tovo dell’U.S. Special Operations Central Command e Mohammed Jeridad, direttore del comando per l’addestramento delle forze armate giordane», ha dichiarato il maggiore Robert Bockholt, portavoce dei reparti speciali Usa. Le unità straniere sono giunte ad Amman nella prima settimana di maggio insieme a numerosi mezzi da guerra come carri armati, aerei ad ala fissa ed elicotteri d’attacco. Per il maggiore Bockholt, nel corso delle operazioni sarà simulato un «grave incidente chimico» affinché «vengano preparati i corpi speciali nella gestione di interventi d’emergenza».
I 12.000 militari saranno dislocati in centri sparsi in tutto il paese e in particolare alle frontiere «critiche» con Israele e la Siria. Dopo che gli organi di stampa giordani hanno legato «Eager Lion 2012» alla drammatica crisi che tormenta il regime di Damasco, il portavoce del Pentagono è intervenuto per spiegare che l’esercitazione non ha alcuna «relazione» con il conflitto interno e che è «mera coincidenza» che essa si realizzi contemporaneamente all’avvio della missione degli osservatori Onu in Siria. Per timore di un possibile inasprimento della crisi siriana, l’amministrazione Obama aveva deciso di annullare qualche mese fa la vasta esercitazione bilaterale Usa-Israele programmata per la primavera(«Austere Challenge 12»). Ad essa avrebbero dovuto partecipare i reparti d’élite dei due paesi dotati di batterie missilistiche, cacciabombardieri, tank e sistemi radar. Con «Eager Lion» usciranno comunque rafforzati i legami tra gli Stati Uniti e il regno giordano. Amman è sin d’ora uno dei maggiori beneficiari degli «aiuti» economici e militari Usa in Medio Oriente (più di 2,4 miliardi di dollari negli ultimi cinque anni). Amman è pure sede di una delle maggiori basi operative d’oltremare delle forze armate statunitensi. A fine 2008, il consorzio AICI-Syska-Archirodon L.L.C. di Arlingtonvi ha realizzato un centro di addestramento per le operazioni speciali di US Army, intitolato al re Abdullah II (costo finale, 70 milioni di dollari). Sarà proprio il «King Abdullah Special Operations Training Center» ad ospitare il comando centrale di «Eager Lion 2012».
Massimo riserbo del Pentagono sui paesi che parteciperanno alla vasta campagna militare di primavera in Giordania. È certa la presenza delle forze armate italiane. Nel corso della sua recente visita ad Amman dove ha incontrato il sovrano Abdullah II e il principe Feisal (assistente del capo dello stato maggiore giordano), il ministro della difesa Giampaolo Di Paola ha annunciato la presenza di 43 militari italiani ad «Eager Lion». «L’esercitazione multinazionale è stata organizzata con l’obiettivo di rafforzare l’interoperatività e le relazioni tra i paesi partecipanti nell’ambito delle Crisis Response Operations», recita il comunicato emesso dal ministero della difesa. «Tra gli altri temi al centro dei colloqui italo-giordani, il Piano di Cooperazione bilaterale in campo tecnico – militare ed industriale. Si è discusso pure della situazione in Afghanistan, delle lezioni apprese dall’operazione NATO/Unified Protector in Libia ed è stata ribadita l’importanza del ruolo del nostro Paese per gli equilibri del Medio Oriente con l’operazione Unifil in Libano». Da rilevare come la visita del ministro-ammiraglio italiano e l’annuncio dei nuovi giochi di guerra in Giordania siano avvenuti in contemporanea all’inaugurazione della «Jordan’s Special Operations Forces Exhibition (Sofex)», la fiera annuale sugli ultimi ritrovati tecnologici delle industrie belliche internazionali. Tra gli operatori presenti, Selex Galileo, società del gruppo Finmeccanica, giunta ad Amman per presentare innanzitutto gli aerei a controllo remoto e d’attacco «Falco», i sistemi elettro-ottici per il controllo del fuoco e le tecnologie per soldati che «possono dare una marcia extra alle operazioni speciali della Giordania ed alle forze di sicurezza interna», come spiegato dai manager Selex. «Il “Falco” è già in servizio operativo con quattro Nazioni ed è disponibile immediatamente», hanno aggiunto. Alla fiera dei piazzisti d’armi, la società ha pure offerto ai potenziali clienti l’elicottero d’attacco «Linx» e i sofisticati sistemi di controllo «Aspis» e «Scorpio».

 
da “il manifesto”
 
È massiccio l’afflusso di combattenti di Al Qaeda dalle «frontiere» dell’Iraq
Daniel Brode *
I sunniti siriani ricevono supporto dall’intero mondo musulmano, dalla Cecenia alla Libia

La recente ondata di attentati suicidi, e la confisca libanese di un carico zeppo di armi destinato ai ribelli siriani, mette in secondo piano l’infiltrazione non solo dell’ideologia sunnita-jihadista in Siria, ma anche di armi, tattiche, e combattenti provenienti da tutto il Medio Oriente. Tali forze, assieme agli islamisti radicali siriani, si propongono di intensificare i loro attacchi verso obiettivi civili e governativi allo scopo di trasformare la Siria sebbene sia difficile da credere nel novello Iraq.
A differenza dell’Egitto, il governo siriano ha dimostrato di esser ben più radicato e difficilmente removibile per mezzo delle sole proteste civili e della pressione internazionale. Questa consapevolezza, e una repressione sempre più brutale da parte del governo, ha generato un inevitabile militarizzazione del conflitto, alimentata e intensificata da elementi sunniti distribuiti trasversalmente in Medio Oriente, e soprattutto da Arabia Saudita, Qatar e Libia. Sebbene i militanti sunniti non siano più in grado di sconfiggere la ben armata, motivata ed efficiente forza combattente siriana in battaglia aperta, stanno sviluppando una strategia, dove bombe e altri attacchi asimmetrici verso obiettivi civili e governativi in Siria diverranno probabilmente la norma nell’imminente futuro.
Detto ciò, l’opposizione siriana rimane attiva e in grado di portare avanti le sue attività, ma sfortunatamente per loro, il governo di Assad non sembra intenzionato a volersene andare al momento. Mentre molti oppositori sunniti ancora bramano maggiori diritti personali e politici, è nata in loro la consapevolezza che tale situazione non potrà avvenire a meno che i secolari e compatti alawiti non siano scalzati dal potere. Al contempo, la Siria è emersa come ben più di una semplice battaglia per l’ottenimento di diritti individuali e politici, ma come una battaglia regionale per il potere che oppone gli alawiti e i loro alleati regionali contro un blocco sunnita-islamista emergente determinato a riportare la Siria sotto il controllo della sfera islamista stessa.
Facendo un passo indietro, è importante notare come la militanza sunnita e l’Islam politico non rappresentano minacce straniere opposte al regime alawita. Per più di quattro decadi, la famiglia Assad si è difesa contro tali minacce e ha condotto numerose operazioni militari, che includono il massacro di Hama del 1982, per sopprimerle. A quel tempo, la principale minaccia al governo alawita erano i Fratelli Musulmani. A differenza del 1982, i Fratelli hanno di gran lunga un maggior supporto oggigiorno e sono in crescita in tutta la regione assieme ad altre e perfino più radicali sette islamiste.
Mentre l’opposizione continua a negare qualsivoglia ruolo nei recenti attentati, il contesto settario in cui si dipana la crisi, che mescola tensioni attraverso i confini a un crescente estremismo nell’intero mondo musulmano, fa sì che queste dichiarazioni siano altamente improbabili. In aggiunta, un gruppo militante sunnita, il Fronte di Al-Nusra, ha già rivendicato la responsabilità per l’esplosione avvenuta a Damasco la scorsa settimana su un website jihadista, che si va ad aggiungere a quella per attacchi suicidi precedenti.
I sunniti siriani stanno ricevendo supporto dall’intero mondo musulmano. Dalla Cecenia alla Libia, i sunniti sono determinati a veder rovesciato l’«eretico» regime alawita e in molti sembrano voler sostenere o attuare un maggior numero di attacchi militanti per raggiungere tale obiettivo. Ancora, è stato riferito abbondantemente che c’è stato un afflusso di combattenti di Al-Qaeda dal vicino Iraq in Siria ed è altamente improbabile che costoro siano venuti per reggere cartelli durante le proteste.
Piuttosto, è probabile che stiano portando con sé la guerra santa la stessa che ha colpito sciiti, cristiani e americani in Iraq in precedenza contro alawiti, Hezbollah, Iran e Siria. In aggiunta ai combattenti stranieri, molti sunniti siriani si sono radicalizzati e sono pure diventati seguaci di dottrine jihadiste. Ciò è indicato apertamente dai nomi islamisti di molte brigate del Esercito Libero Siriano, come anche dal loro aspetto, dalle loro dichiarazioni, e dalla crescente tendenza islamista diffusa nella regione, che non ha scavalcato la Siria. Come affermato prima, l’Islam politico era ricorso alla violenza in Siria anche prima, ma a differenza del passato, la vera e temibile minaccia proviene non dai Fratelli Musulmani ma da elementi del Salafismo e Wahabismo presenti all’interno del territorio siriano.
Sebbene i Fratelli siano tradizionalmente il più prominente partito sunnita siriano, le sette più radicali salafite e wahabite sono ora in crescita in Siria. Inoltre, esse portano con sé la capacità di scatenare un’inarrestabile guerra santa. La loro crescita sul territorio e la conseguente guerra santa in Siria diventano sempre più possibili, data l’ascensione di credo jihadisti promossi durante la «Primavera Araba» lungo l’intero Medio Oriente.
Per finire, sebbene l’opposizione abbia fallito sia pacificamente che militarmente nel rovesciare il regime di Assad, elementi più radicali all’interno della Siria e all’estero sono pronti a promuovere e attuare l’uso di attacchi militanti più aggressivi.
Presumibilmente, il loro obiettivo è di indebolire ed erodere il regime alawita in Siria a lungo termine, così come trasformare il paese nel prossimo Iraq.
* ekurd.net
www.ekurd.net/mismas/articles/misc2012/5/syriakurd492.htm
(traduzione di Eleonora Vio)

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *