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Fenomenologia di Beppe Grillo

Se lo si guarda senza pregiudizi, è difficile negare che il “movimento 5 stelle” promosso da Beppe Grillo rappresenti la principale novità emersa sulla scena politica italiana degli ultimi anni. Ed è forse per questo che politici e commentari stentano a prenderne le misure e tendono a giudicarlo con un misto di fastidio e sufficienza nel tentativo di ricondurlo a esperienze già esaurite o di declassarlo a semplice espressione risentita dell’anti-politica.

Ma la “filosofia” che sta dietro al movimento è tutt’altro che banale. Riflette quelli che sono i bisogni di una società “in crisi” non solo all’interno dei portafogli, ma anche al confronto con temi delicati e attuali come la “ricerca d’identità” e la “rivalutazione dell’individuo”.

Così, molte risposte sul perché di tanto clamore emergono dall’analisi approfondita che Edoardo Greblo, autore de La filosofia di Beppe Grillo – Il movimento 5 stelle (Mimesis), ha offerto ad Affaritaliani.it.

In primo luogo si capisce come il successo di M5S sia dovuto all’idea che alla degenerazione “partitocratica” occorra contrapporre prassi e metodologie gestionali di tipo partecipativo e che lo stesso MoVimento rappresenta il cantiere, o il laboratorio, in cui si comincia a sperimentare, meglio e più che altrove, la reinvenzione delle forme dell’attivismo politico, legato all’utilizzo delle nuove tecnologie dell’informazione. Così, nel panorama italiano (secondo molti filosofi caratterizzato da un processo di “deresponsabilizzazione politica”), quello creato dai grillini risulta essere un luogo nuovo e costruttivo per ripensare il ruolo del singolo nella società e nella politica. Filosoficamente è un luogo dove gli individui che soffrono la spersonalizzazione della società possono provare a ricostruirsi un’identità.

Grillo è oggi al centro di un ampio dibattito politico. Si parla del suo carattere anti-politico. Secondo lei lo è davvero? In che modo?
“Credo, per cominciare, che bisognerebbe sgombrare il campo da due equivoci. Il primo è quello che porta a rubricare il fenomeno Grillo sotto l’etichetta di antipolitica. La cosiddetta “antipolitica” può infatti significare molte cose. Può essere espressione di una sfiducia verso le istituzioni democratiche e il sistema della rappresentanza. Ma può anche essere una reazione salutare e benefica alle liturgie officiate dalle nomenclature politiche e al centralismo delle oligarchie partitiche. Per questo parlerei di “antipartitocrazia” piuttosto che di “antipolitica”. Il secondo equivoco è che quanto sta accadendo sia tutto riconducibile a Grillo. Che certo conta, e non poco. Ma ridurre il MoVimento 5 stelle a semplice braccio politico di un leader carismatico capace di intrattenere un rapporto di comunicazione diretta tra sé e il suo popolo significherebbe commettere un fatale errore di prospettiva”.

 

Qual è la filosofia di Grillo?
“Quella che si può leggere nel programma (o “Non programma”) del MoVimento, dove traspare chiaramente una sensibilità di tipo ecologista e un orientamento decisamente antipartitocratico. Vi si propone la partecipazione diretta dei cittadini alla gestione della cosa pubblica tramite forme di democrazia digitale (da cui l’attenzione per la connettività), si difendono le teorie della “decrescita” mediante la creazione di posti di lavoro “verdi” e la rinuncia a progetti inquinanti e costosi, come gli inceneritori e le cosiddette “grandi opere”, in funzione di una migliore qualità della vita e di una maggiore giustizia sociale. E si propone perciò l’adozione su vasta scala di progetti di risparmio energetico, di eliminazione dei rifiuti urbani, di mobilità sostenibile, di protezione del territorio dalla cementificazione, di telelavoro, di informatizzazione”.

 

Ma quale pensiero sta dietro a queste scelte?
“La filosofia che fa da cornice è l’idea che i politici vadano considerati come una sorta di “dipendenti a progetto” del popolo italiano, e che alla degenerazione “partitocratica” occorra contrapporre prassi e metodologie gestionali di tipo partecipativo. La gestione partecipata viene considerata come il solo antidoto e come l’unica reale alternativa alla degenerazione della democrazia rappresentativa”.

 

Che cosa lo distingue dagli altri politici?
“Il fatto che non è un politico di professione, che non vive di politica, ma che vive per la politica. Non è una differenza da poco: l’esperienza insegna che le differenze tra i “politici a vita”, le differenze tra coloro che vivono di politica, tendono inevitabilmente a ridursi: gli interessi comuni tra coloro che esercitano la medesima professione finiscono per acquisire carattere sistemico e per rendere le diverse posizioni politiche sempre meno distinguibili, a incoraggiare le convergenze trasversali agli schieramenti e a incentivare i fenomeni di degenerazione per i quali si era coniato a suo tempo il termine di trasformismo”.

 

Mi viene in mente la Lega, che oggi è nel caos più totale, ma tempo fa noi giornalisti abbiamo parlato molto di quanto Bossi, con delle sue particolari caratteristiche, avesse rivoluzionato il linguaggio politico. Anche Grillo lo ha fatto a modo suo?
“Certo, e non poco. E anzi, la rottura dei codici linguistici convenzionali è l’aspetto più appariscente e talvolta discutibile, poiché il linguaggio di Grillo si propone di introdurre una cesura radicale nei confronti delle logiche dei partiti e dei cerimoniali di palazzo anche nello “stile”. Lo “stile” è il tratto che appare con maggiore evidenza, poiché si oppone in maniera volutamente provocatoria alla langue des bois retorica, demagogica, involuta e intenzionalmente oscura, perché vuota, del politichese – e non è stato un caso che le uscite pubbliche che hanno maggiormente attirato l’attenzione, generalmente tutt’altro che benevola, dei media siano state i V-Day. Ma il linguaggio volutamente semplice e spesso “urlato” non deve impedire di individuare nel MoVimento 5 stelle il cantiere, o il laboratorio, in cui si comincia a sperimentare, meglio e più che altrove, la reinvenzione delle forme dell’attivismo politico, in particolare dal punto di vista delle nuove forme di partecipazione legate all’utilizzazione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che hanno un ruolo decisivo nel riconfigurare le forme della politica della network society”.

 

A chi parla?
“Questo è un punto delicato. Di solito, e genericamente, agli “italiani”, che oppone frontalmente a una classe politica descritta come una Casta consumata dalla corruzione e collusa con troppi poteri opachi, che non riesce a comunicare alla società né a interpretarne i segnali. In realtà, Grillo si rivolge ai “cittadini”, a tutti quelli che alimentano la reinvenzione dell’attivismo civico al di fuori dell’autoreferenzialità del sistema istituzionale e aggirando le chiusure e le resistenze di élite dirigenti che parlano solo a se stesse. E che si inventano spazi, riti, soggetti e linguaggi. Grillo si rivolge al protagonismo civile della nuova cittadinanza democratica, che si affida a forme di pressione politica costituite da persone e gruppi di base, da campagne nazionali e comitati locali, da associazioni di scopo o da organismi rappresentativi di interessi prima sociali e poi economici. Il MoVimento 5 stelle smentisce l”immagine ricorrente di una società italiana delusa e demotivata, in cui prevale un’accettazione rassegnata nei confronti delle continue manomissioni delle più elementari regole democratiche. Questa immagine viene infatti smentita dalla volontà diffusa di riscatto civile che alimenta iniziative creative e ricche di valori, a cui occorrerebbe soltanto acquisire coerenza sistemica per cominciare a restituire forma civile al nostro paese”.

 

Secondo lei che ha studiato e analizzato a fondo il personaggio è un Grillo diverso dal passato?
“Può darsi, ma confesso che non ho studiato a fondo il personaggio, ma il MoVimento 5 stelle. Anche perché, secondo me, Grillo è semplicemente il catalizzatore di un’associazione tra soggetti reali che cercano una presenza politica al di fuori del riferimento ai partiti e che segue una logica tutta diversa da quella che ha concepito la sovranità come la titolarità e l’esercizio di una volontà monolitica e irresistibile, celebrando il trasferimento in campo politico del modello imprenditoriale del comando diretto. Beppe Grillo è certo uno straordinario comunicatore, che riempie, da anni, piazze, teatri-tenda, arene e perfino stadi. Al tempo stesso attore, predicatore, fustigatore, comico, tragico, dissacrante e moralista, ha fatto da detonatore, intercettando e sintetizzando in forma ancora non del tutto definita i messaggi decentralizzati di un’opinione pubblica altrimenti disgregata in una miriade di gruppi casuali ed estremamente frammentati. La sua figura ha cioè evitato che la rete di issue publics seguisse la propria naturale tendenza centrifuga, disperdendosi in un pulviscolo di gruppi che nascono, si cristallizzano e muoiono intorno a singole controversie”.

Oggi. Recessione, spersonalizzazione, crisi del concetto di identità. Grillo è l’uomo giusto per “ripartire”? Perché?

“L’uomo giusto? È vero che per qualcuno Il MoVimento 5 stelle sarebbe, come quello di Berlusconi, un movimento carismatico allo stato puro, che spaccia per partecipazione e democrazia dal basso la fede condivisa dei militanti nei confronti delle virtù taumaturgiche del capo. In sostanza, grazie alla Rete, al cyberpopulismo di Grillo sarebbe riuscita la stessa operazione compiuta da Berlusconi con la televisione, ossia ricostruire un popolo con le schegge di una composizione sociale sempre più frammentata. E grazie all’impiego dei rispettivi media, entrambi farebbero leva su un rapporto populistico-plebiscitario con i rispettivi spettatori-elettori. Ma quel modello è al tramonto: pensare di resuscitarlo sotto mentite spoglie sarebbe a dir poco anacronistico”.

* da Affari Italiani

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