Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti
L’economia spagnola in questi ultimi decenni ha ridotto in maniera consistente le proprie dotazioni industriali, delocalizzando l’attività produttiva e trasformandosi in un paese consumatore di beni importati anche dalla Germania, fornita di ben più forti e qualificati apparati industriali, condividendo così lo stesso destino di Portogallo, Irlanda, Italia e Grecia.
A distanza di undici anni dall’istituzione dell’euro –che è stato costruito su misura della necessità tedesca di avere una moneta forte in grado di competere con le altre valute extra europee, per cui i tassi di cambio fissati per gli altri paesi europei non sono stati valutati in base alla ricchezza di ciascuna nazione, ma in funzione delle necessità competitive sia economiche che monetarie della Germania- proprio i cosiddetti PIIGS sono i paesi che maggiormente pagano i costi della crisi sistemica in cui versa il modo di produzione capitalistico che non riesce più a ricavare dall’economia reale tassi di profitto considerati adeguati per far ripartire il sistema.
In tutti questi paesi , l’Unione Europea, La Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale hanno imposto lo stesso piano di rigore per risanare i debiti che in larga parte sono privati (banche e imprese), ma che vengono scaricati sul debito pubblico (oggi rinominato debito sovrano), cioè dei cittadini o meglio solo delle fasce più deboli della popolazione, perché sono loro, gli operai, i contadini, i lavoratori della pubblica amministrazione, i precari e i pensionati, coloro che devono sostenere sulle loro spalle i costi dei tagli alle pensioni, alla sanità, all’istruzione pubblica, alla ricerca, ma anche i costi delle controriforme del lavoro e delle pensioni che vogliono dire solo cancellazione dei diritti acquisiti con decenni di lotte.
Mentre, al contrario, le solide rendite degli imprenditori, dei finanzieri, dei proprietari terrieri, dei costruttori vengono graziate da qualsiasi forma di tassa patrimoniale. In Italia la sperequazione sociale è ancora più accentuata ed è proprio di questi ultimi giorni il giudizio tranchant espresso nella bozza del rapporto annuale della Commissione europea, diffusa in anticipo dal Financial Times, che stigmatizza il governo Monti per non aver fatto abbastanza per combattere e contrastare la diffusione dell’evasione fiscale e il lavoro nero. Ricordiamo per inciso che il 30% del PIL italiano è imputabile all’economia criminale e all’economia sommersa.
La Spagna, come tutti gli altri PIIGS, ha accettato le imposizioni della troika: il premier spagnolo Mariano Rajoy del PPE ad aprile ha varato una finanziaria, la più pesante per la Spagna dal 1970 ad oggi, di ben 28 miliardi di euro, di cui dieci miliardi hanno colpito la sanità e sette l’istruzione. I cittadini dovranno pagare il ‘copago’, un ticket sanitario molto pesante soprattutto per i pensionati già alle prese con l’aumento del costo della vita. La disoccupazione ha toccato ufficialmente quota 25%.
Anche in Spagna la politica del governo ha fatto ricadere i tagli della spesa pubblica a cascata sugli enti locali, che a loro volta, sempre in nome della riduzione del deficit, hanno attuato ulteriori tagli alle spese sociali e imposto ai cittadini ulteriori tasse. Il governo della regione di Valencia, ad esempio, ha immediatamente annunciato il licenziamento di ben 5000 dipendenti delle amministrazioni locali e la privatizzazione delle aziende municipalizzate controllate dall’amministrazione regionale.
In Andalusia, il cui governo regionale è guidato dal PSOE e da IU Izquierda Unida, le cose non vanno meglio. Lì, addirittura prima del varo della finanziaria da parte del governo centrale, la giunta regionale ha deciso di mettere all’asta e vendere ai privati ben 20 mila ettari di suolo pubblico, compromettendo il diritto al lavoro degli agricoltori e la sovranità alimentare della regione.
Per secoli, prima dell’industrializzazione, questi terreni sono stati il cuore pulsante dell’economia nazionale da cui veniva gran parte della produzione dell’olio d’oliva, della frutta e della verdura consumata in Spagna. Nei decenni passati, invece, i proprietari terrieri hanno preferito i più facili guadagni offerti dal business dell’edilizia, destinando le terre alla costruzione di case o, più recentemente, hanno preferito lasciarle improduttive, approfittando delle sovvenzioni dell’Unione europea.
Secondo il SAT Sindicato Andaluz de Trabajadores, ogni anno i proprietari terrieri spagnoli ricevono da Bruxelles 6,5 miliardi di euro come contributi comunitari all’agricoltura. “E non viene chiesto loro conto di questi soldi, che potrebbero essere investiti per migliorare la produttività e dare lavoro a migliaia di persone […] è un insulto”. Questo avviene quando, in realtà, ci sono migliaia di disoccupati che cercano di sopravvivere con i 426 euro del sussidio di disoccupazione. “Per questo – prosegue il SAT – davanti a una crisi così grave, non possiamo permettere che la terra finisca nelle mani di quattro signorotti che la lasceranno morire aspettando le sovvenzioni dell’Unione europea.”
Rubén Villanueva, portavoce della COAG Coordinadora de Organizaciones de Agricultores y Ganaderos, ha chiarito che per ottenere un sussidio base da parte dell’Ue è sufficiente essere proprietari di un terreno e tenerlo in condizioni “economicamente corrette”, e cioè pronto alla lavorazione, ma non necessariamente produttivo. Oggi l’80% dei fondi finisce nelle tasche del 20% dei proprietari terrieri che hanno una maggiore disponibilità di terra.
Il COAG ha chiesto che nella riforma della PAC Politica Agricola Comunitaria del 2013 il contributo economico europeo per i proprietari o affittuari venga vincolato all’effettiva produttività della terra, per impedire il perpetuarsi dello scandalo di un’altissima disoccupazione bracciantile a fronte di terre incolte, abbandonate a se stesse.
Oggi con la crisi che colpisce in maniera pesante l’agricoltura, portando la disoccupazione a livelli altissimi, la Giunta dell’Andalusia del PSOE e di IU, anziché pensare a un piano per la piena occupazione dei braccianti, ha pensato bene di mettere in vendita all’asta 20.000 ettari di terreni pubblici. Per il 5 marzo era prevista l’asta per una finca di sua proprietà, la fattoria di Somonte di 400 ettari, nei pressi della cittadina di Palma del Río che registra più di 1.700 disoccupati e altri 4.000 nei paesi vicini.
Ma qualcuno li ha anticipati e il 4 marzo ha deciso di riprendersi quella terra e di riappropriarsi così del lavoro. Più di 500 persone tra disoccupati e non solo contadini, sindacalisti e simpatizzanti del movimento hanno occupato la finca di Somonte, dando vita a una comune che ha suscitato subito la simpatia e il sostegno anche a livello nazionale di varie associazioni di contadini che già guardano a Somonte come a un modello.
Gli occupanti si sono costituiti in cooperativa di braccianti e hanno immediatamente interpellato la giunta regionale per l’accoglimento del loro progetto di collettivizzazione delle terre, contro la privatizzazione, progetto che prevede, tra l’altro, la piena occupazione di 80 lavoratori, la garanzia del rispetto dell’ambiente, il non utilizzo di Ogm e di additivi chimici inquinanti, affinché fosse impedita la vendita all’asta agli speculatori che avrebbero beneficiato delle sovvenzioni europee e di guadagni derivanti da uno sfruttamento agricolo estensivo e industrializzato per agro combustibili e Ogm, senza generare occupazione.
La giunta in un primo momento ha dichiarato anche alla stampa di non aver ancora preso una decisione, ma in seguito ha presentato una denuncia contro gli occupanti e ha richiesto l’intervento della Guardia Civil per lo sgombero della fattoria, come ai tempi di Francisco Franco. Sgombero che è puntualmente avvenuto il 26 aprile; ma, tempo 24 ore, i braccianti l’hanno immediatamente rioccupata al grido di “la terra a chi la lavora”, organizzando una grande festa per il 1° maggio per ribadire il sacro diritto di poter lavorare le terre improduttive e abbandonate a se stesse.
L’occupazione delle terre in opposizione all’ondata di privatizzazione delle terre pubbliche non è una lotta limitata alla regione andalusa né alla sola Spagna, perché lotte e vertenze simili stanno accadendo in Romania, Austria, Francia dove i braccianti rivendicano il diritto di accesso alla terra e chiedono la sovranità alimentare dei popoli. Dal 23 al 25 aprile si è tenuta a Roma, presso la Città dell’Altra Economia, l’annuale Assemblea Generale del Coordinamento Europeo di Via Campesina (ECVC): dalla tre giorni è emersa con forza “la volontà di dare sostengo e solidarietà a tutte le persone che ogni giorno preservano la risorsa terra coltivandola con metodi rispettosi dell’ambiente e delle persone. Un forte impegno quindi per garantire l’accesso alla terra come volano per garantire l’accesso a tutte le risorse (acqua e sementi in primis).”
La terra è un bene comune fondamentale che appartiene a chi la lavora e non deve essere né mercificata né oggetto di speculazioni; la terra come le semenze, l’aria e l’acqua sono risorse che devono essere gestite dalle comunità locali, nella piena integrazione e rispetto per l’ambiente. Per questo oggi l’unica alternativa alla crisi dell’agricoltura è rappresentata dalla lotta per la terra e dalla sovranità alimentare.
Non può essere una soluzione quella portata avanti dalle istituzioni -con l’aggravante di essere di “sinistra” nel caso dell’Andalusia- che pensano solo a realizzare profitti con la privatizzazione delle terre, per cercare di sopravvivere alla crisi, ma che in realtà provocano solo nuove espulsioni di forza lavoro ,spesso molto specializzata in quel settore, dalla terra e creando così maggiore disoccupazione, incrementando la precarietà e sempre maggiore povertà.
Oggi in nessun settore economico-produttivo, e ancor meno nell’agricoltura dove si producono beni di prima necessità,non si possono illudere i lavoratori facendogli credere che è possibili cogestire la crisi sistemica coniugando l’inconciliabile, e cioè rigore (finora a senso unico) e il suo opposto, cioè politiche espansive per la crescita, misurandosi esclusivamente sul terreno delle compatibilità puramente economiche di mercato ,come vanno sostenendo gli economisti keynesiani tra cui alcuni che si definiscono marxisti e i partiti della sinistra europea che hanno da tempo rinunciato nei loro programmi alla politica del conflitto sociale per la realizzazione di un’alternativa anticapitalista.
La risposta del mondo contadino, operaio , impiegatizio, di tutto il mondo del lavoro e del lavoro negato,alla crisi sistemica capitalistica può essere solo quella di riappropriarsi della politica; una politica che indirizza e domina l’economia in capacità di risposte in una nuova stagione di protagonismo sociale e sindacale che sappia coniugare momenti rivendicativi tattici, possibili solo invertendo i rapporti di forza dell’attuale conflitto di classe dall’alto, con la costruzione dell’organizzazione di classe per la prospettiva strategica della trasformazione radicale della società in senso socialista.
Fonti:
http://www.lettera43.it/economia/macro/andalusia-diritto-alla-terra_4367551991.htm
http://www.sindicatoandaluz.org
http://www.agricolturacontadina.org/modules/imblogging/post.php?post_id=52
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