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Una rottura democratica per l’Europa

Chi decide nell’UE? Per avere una risposta basta leggere le Conclusioni dell’ultimo Consiglio Europeo e si vedrà, per prendere un solo esempio, che a preparare le prossime tappe dell’Unione economica e monetaria sarà un gruppo formato dal Presidente del Consiglio Europeo, da quello della Commissione, dell’Eurogruppo e della BCE. Essi prepareranno le misure indicando modi e tempi della loro attuazione – si legga il punto 4 delle Conclusioni. Gli stessi Stati, che Dieter Grimm ha sempre definito essere i ‘signori dei trattati’, saranno solo consultati così come consultato sarà il Parlamento europeo. Nell’Unione Europea decide ormai una vera e propria oligarchia, che risponde ai ‘voti’ del mercato finanziario. Per modificare disposizioni fondamentali non si ricorre neppure alle procedure semplificate dell’articolo 48 del Trattato di Lisbona, secondo cui un ‘qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre al Consiglio europeo progetti’ di modifica. Ora perfino queste disposizioni vengono disattese perché si attiva un gruppo di tecnocrati che proporranno loro al Consiglio europeo se e quali modifiche apportare ai Trattati che gli Stati avranno il solo compito di presentare ai Parlamenti per la ratifica.

Chi decide le sorti dei popoli europei non può e non deve essere un’oligarchia, bensì i cittadini europei. Su questa torsione oligarchica non stupisce il silenzio della Commissione (essendone parte), stupisce il silenzio del Parlamento Europeo che accetta di essere ancora una volta declassato al ruolo di organo consultivo. Tutto questo ci spinge a lanciare un vero e proprio allarme democratico.

Il Consiglio Europeo ha confermato e rafforzato la costruzione, ormai in stato di forte avanzamento, di un edificio che, senza precedenti nella storia delle democrazie, ha distrutto le fondamenta dello stesso Stato borghese, quelle costruite sulla base del “ no taxation without representation “. Si sta realizzando un sistema monetario, fiscale e bancario in funzione di un’economia di mercato che deve essere altamente competitiva sulla scena del capitalismo globalizzato. E se ne affida la direzione ad una struttura tecnocratica del tutto priva di un mandato popolare e sottratta a ogni forma di controllo, anche delle istituzioni rappresentative. Con l’approvazione del Fiscal Compact un altro passo decisivo si va compiendo dopo quelli realizzatisi con il Semestre Europeo, il Patto euro plus, il Six pack, e ora con le nuove misure del two pack tese ad imporre una sempre più stringente disciplina fiscale. Finanche l’ideologia del modello sociale europeo viene giudicata obsoleta – come ha dichiarato ripetutamente Mario Draghi -, e le politiche liberiste, per destrutturare i fondamenti della condizione materiale e dei diritti del lavoro, per demolire il welfare, per privatizzare i beni comuni, richiedono la distruzione della democrazia, anche di quella rappresentativa. Le stesse elezioni non avvengono più in un clima di garanzie dato che si svolgono sotto il permanente ricatto della crisi dei ‘debiti sovrani’ e del minaccioso andamento dei mercati finanziari. Il voto in Grecia si è tenuto sotto il ricatto del Memorandum della troika e della minaccia di fallimento dello Stato. Il metodo intergovernativo, ispirato dal funzionalismo, ha portato alla costruzione di una tecnocrazia autoritaria al servizio dei mercati.

L’opposizione alle scelte economiche e sociali imposte sotto spada di Damocle del debito − ingiuste e inefficaci, se per inefficaci ci si riferisce al benessere sociale e non a quello dei predatori − deve accompagnarsi ad una altrettanto forte mobilitazione per non subire un ulteriore vulnus nella vita democratica dei popoli europei. È necessaria una rottura democratica. Rottura democratica che si basa sulla contestazione della tecnocrazia e delle sue imposizioni, a partire dal Fiscal Compact, e sull’attivizzazione di un processo Costituente Democratico di un’altra Europa. Questo processo si realizza attraverso la costruzione storica del demos che, come afferma Etienne Balibar, è necessariamente un demos sociale aperto e non etnico e che, dunque, si nutre di una democrazia innervata di diritti sociali e di libertà delle persone.

Facciamo appello perché si costituisca una vasta coalizione di forze associative, politiche, sindacali, di movimenti ma anche di singoli cittadini, che si riconosca nella domanda di democrazia europea e che trovi in un’assemblea − da tenere nell’ambito di Firenze 10+10 – una sede in cui far confluire attorno ad un nucleo di rivendicazioni concrete la pluralità di voci che in questi mesi si sono levate. Importante che tale schieramento sia realmente transnazionale, ricordando in particolare l’importanza dell’Europa centrale e orientale, e che contribuisca ad innovare le pratiche politiche di movimenti, partiti, e sindacati. Perché la democrazia non dipende solo dalle istituzioni, ma anche dalla capacità di sviluppare nuove pratiche politiche transnazionali da parte della cittadinanza attiva. 

Vogliamo anche rivolgerci a quegli esponenti della istituzioni locali che si battono contro le misure di austerità perché prendano parte a questa coalizione per la democrazia europea. Si potrebbe così avviare un percorso per costituire una Convenzione europea dei Cittadini in grado di spezzare la passività e di provocare una permanente e democratica contestazione dei metodi tecnocratici e autoritari. Anche le elezioni del 2014 possono essere utilizzate per sottrarre all’oligarchia di Bruxelles e Francoforte la ‘signoria sui Trattati’, e per affidare al PE un mandato per l’elaborazione di una Carta guidata dai principi del costituzionalismo democratico, da sottoporre a referendum europeo.

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