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Messico, una restaurazione “berlusconiana”

Il 31 agosto scorso, il Tribunal Electoral ha messo la parola fine al lungo e tortuoso processo elettorale messicano, approvando all’unanimitá una sentenza che sancisce la legalitá e la trasparenza delle recenti elezioni presidenziali e dichiarando non procendente la richiesta di annullamento presentata dai partiti di centrosinistra. Enrique Peña Nieto, il controverso candidato della restaurazione priista, é dunque ufficialmente il Presidente eletto della Repubblica Messicana. Inizia cosí una fase di transizione che si profila turbolenta e che si concluderá con la cerimonia d’investitura ufficiale il prossimo primo dicembre. Il verdetto, tuttavia, pare non aver convinto una parte significativa della cittadinanza, la quale, con proteste in rete e nelle piazze, continua a considerare fraudolento il suffragio e illegitimo il vincitore.

A partire dalla campagna elettorale, sono state tantissime le segnalazioni di pratiche abusive e illegali da parte del Pri (Partido Revolucionario Institucional). In effetti, la lista di accuse che il Movimento Progressista (la coalizione di centrosinistra che ha sostenuto López Obrador) e la societá civile (i movimenti che hanno controllato dal basso le elezioni con la cosidetta “observación ciudadana”) hanno formulato per annullare il suffragio é lunga e articolata, e mette in discussione la regolaritá del processo in tutta la sua estensione. Si va infatti dall’appoggio incondizionato al candidato priista da parte dei media, alla compravendita di milioni di voti attraverso l’uso di schede prepagate; dall’eccezionale sforamento del tetto di spesa per la campagna elettorale, all’uso indebito dei sondaggi; dal finanziamento occulto che fa pensare al riciclaggio di denaro sporco e a rapporti con il narcotraffico, all’intervento dei governatori che avrebbero abusato di fondi pubblici e programmi sociali per condizionare l’elettorato; per arrivare, infine, alle migliaia di irregolaritá segnalate durante la giornata elettorale e all’atteggiamento complice dell’IFE (Istituto Federale Elettorale), il quale, invece di vigilare sulla regolaritá della contesa, avrebbe omesso di intervenire.
Nella sentenza, i sette unanimi magistrati smontano una per una le prove e le argomentazioni presentate dal centrosinistra, considerandole infondate e insufficienti per confermare i brogli. Secondo il Tribunale, dunque, le elezioni sarebbero state “libere e autentiche” ed il primo luglio scorso il popolo avrebbe votato senza subire pressioni di sorta, in un esercizio democratico esemplare che confermerebbe la maturitá del sistema politico-elettorale messicano. D’altra parte, molti e molte considerano che i giudici non abbiano esercitato fino in fondo le proprie facoltá investigative, limitandosi ad un approccio legalista e superficiale. Il Tribunale, in altri termini, avrebbe minimizzato le accuse, sottovalutando soprattutto il preoccupante tema del finanziamento occulto, rispetto al quale avrebbe colpevolmente evitato di mettere in pratica il precetto “follow the money”, tipico di ogni indagine su giri di soldi sospetti che voglia produrre qualche risultato. Inoltre, per quanto riguarda il voto di scambio, pur riconoscendo l’esistenza delle schede prepagate, i componenti del supremo organo di giustizia hanno deliberato che non é possibile dimostrare giuridicamente che le stesse possano aver influito sulla volontá dei cittadini al momento del voto. Allo stesso modo, non si possono provare la parzialitá dei media, né l’uso interessato dei sondaggi e dei soldi pubblici. Insomma, niente brogli né voto di scambio, secondo il Tribunale, ma genuina espressione della volontá politica dell’elettorato.

Se la maggioranza del mondo politico-impresariale, cui i media mainstream fanno da entusiastica cassa di risonanza, ha risposto in maniera trionfalistica alla convalida della legalitá del suffragio, esortando la cittadinanza alla collaborazione con il futuro Presidente in funzione delle riforme e per il bene del Paese; dal punto di vista della legittimitá, la situazione é radicalmente diversa e ricorda quella vissuta da Calderón (il presidente uscente), il quale ha dovuto convivere con il fantasma dei brogli e con le contestazioni durante tutti i sei anni del suo mandato. Infatti, da un lato, López Obrador ha dichiarato di non voler riconoscere un Presidente prodotto dalla compravendita dei voti, invitando i suoi sostenitori alla disobbedienza civile, e, dall’altro, parallelamente, il movimiento contro l’imposizione di Peña Nieto, nato con gli studenti di #YoSoy132 ed allargatosi ad altri settori sociali (qui https://www.contropiano.org/it/archivio-news/documenti/item/10597), ha accolto il verdetto con iniziative in tutto il paese. A Cittá del Messico, con una chilometrica marcia funebre partita dall’UNAM (la storica universitá statale della capitale), il movimento ha dichiarato la morte della democrazia, accerchiando pacificamente il Tribunale, e costringendo il futuro Capo dello Stato, convocato dai magistrati per la consegna del documento che lo accredita come Presidente eletto, a presentarsi in elicottero per evitare le proteste. Insomma, pare che anche per Peña Nieto la distanza tra legalitá e legittimitá rappresenterá un serio problema, con l’aggravante che, in quest’occasione, le accuse sono piú gravi e il movimento é piú vasto e, malgrado tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, viene dal basso e pare avere una buona capacitá ricompositiva.

Le iniziative e le manifestazioni hanno colpito anche un altro evento istituzionale di fine estate: il cosidetto “informe” di governo del Presidente, il quale, come ogni anno, presenta al parlamento una relazione sui risultati raggiunti dalla sua amministrazione. Anche quí, ció che colpisce, é la distanza tra la narrazione della realtá fatta da Calderón (e ripetuta fino alla nausea da centinaia di spot in tv e alla radio) e la percezione che ha della stessa un’importante parte della popolazione. In effetti, se il rapporto calderoniano parla di un Messico che non sente la crisi e che cresce economicamente, riducendo povertá e disuguaglianza sociale e allargando considerevolmente l’accesso a scuola e sanitá; nelle piazze e sui social network, le cose stanno in tutt’altri termini, tanto che abbondano i riferimenti sarcastici al “Favoloso mondo di Calderón” e che il trendingtopic del giorno dell’informe é stato -significativamente- #calderónmiente.

Gli studenti di #YoSoy132 hanno risposto alla relazione presidenziale con mobilitazioni e vivaci proteste in tutto il paese, come l’occupazione simbolica di diversi municipi e la “liberazione” di alcuni caselli autostradali per far passare gratuitamente gli automobilisti, oltreché con un voluminoso “Contrainforme critico”, nel quale si racconta un paese ben diverso da quello descritto dal Presidente. Nel testo, letto di fronte a un parlamento blindato il primo settembre scorso, le parole chiave per descrivere il mandato calderoniano sono: “fame, esclusione, disinformazione, disuguaglianza, malattia, spoliazione, repressione e morte”. Il Presidente uscente viene criticato per aver favorito la concentrazione della richezza nelle mani della minoranza oligarchica che monopolizza le risorse economiche della nazione, aumentando in questo modo povertá ed esclusione. Inoltre, gli si rimprovera di essere stato autoritario e repressivo con i movimenti, di aver svenduto il territorio senza considerare i diritti dei popoli originari e la tutela dell’ambiente, nonché di aver ridotto nei fatti la libertá di espressione, sostenendo gli interessi del duopolio televisivo Televisa-TvAzteca e reprimendo i mezzi di comunicazione alternativi o critici. Nel mirino del Contrainforme ci sono anche la politica sanitaria e scolastica dell’attuale governo, le quali, rispettivamente, non garantiscono realmente il diritto alla salute, ed escludono dalla formazione di qualitá la stragrande maggioranza dei giovani, per favorire invece la produzione di mano d’opera qualificata a basso costo, in funzione delle esigenze del mercato globale. Insomma, secondo il Contrainforme di #YoSoy132, le politiche neoliberiste che il governo ha portato avanti hanno privilegiato “la stabilitá macroeconomica a beneficio del capitale finanziario globale e a scapito degli interessi della maggioranza della popolazione.” La scelta di militarizzare il territorio per portare avanti una guerra contro la criminalitá organizzata, infine, descritta dall’attuale Presidente come una decisione storica e coraggiosa, viene considerata tragica, in quanto lesiva delle libertá individuale e portatrice di un conflitto che ha giá prodotto, secondo gli ultimi, preoccupanti dati dell’Inegi (l’Istat messicano), 97mila morti e 30 mila desparecidos.

Da segnalare, infine, come le proteste e le contestazioni non abbiano risparmiato neppure il Grido dell’Indipendenza del 15 settembre, una delle feste nazionali piú amate dai messicani, quando le piazze del paese si riempiono di gente e di bandiere per gridare “viva México!” e ricordare i Padri della Patria. Ebbene, anche quest’importante evento é stato caratterizzato dalla contrapposizione tra il paese ufficiale e quello che ne mette in discussione la legittimitá. Il movimento #YoSoy132, infatti, ha cercato di riappropiarsi del rituale civico e di sottrarlo alla retorica ufficiale organizzando contestazioni in tantissimi centri del paese. Nella capitale, sotto una pioggia battente, l’evento presieduto da Calderón, protetto da oltre 25 mila elementi delle forze dell’ordine, é stato contestato da migliaia di persone che, al grido di “fraude”, “asesino” e “Mexico sin Pri (senza Pri)”, hanno rovinato l’ultimo saluto dal balcone di Palacio Nacional del Presidente uscente. (qui: http://www.youtube.com/watch?v=6G5WswRbUsc&feature=player_embedded )

Insomma, dopo un’estate alquanto dinamica, tutto fa supporre che anche in autunno sará difficile annoiarsi. La protesta iniziata durante la campagna elettorale, infatti, per quanto provata da mesi di logorante mobilitazione, sembra tenere botta, dimostrando di aver ancora una buona capacitá di convocazione e consolidando la sua presenza anche al di fuori della capitale. Per capire quali prospettive si aprono per il movimento da quí alla fine della transizione, sará fondamentale la II Convención Nacional, che, il prossimo fine settimana, riunirá a Oaxaca i piú importanti movimentti sociali del paese per fare il punto della situazione e stabilire collettivamente un agenda per i prossimi mesi.

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