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Mali: cherchéz l’uranium (in Niger)

Dall’11 gennaio, è partito l’intervento dell’esercito francese nel Mali, in una zona dove già da qualche anno si stava via via aggravando una situazione di conflitto sulla quale non intendiamo ritornare e rimandiamo ai molti articoli apparsi ad esempio su questa testata. La ragione ufficiale dell’intervento era dovuta all’avanzata di gruppi islamisti armati verso Bamako, la capitale:  questi gruppi da diversi mesi mantengono il controllo del nord del paese e minacciavano di occuparlo interamente. Il governo maliano, ultimo di una serie di governi deboli e corrotti sostenuti dalla Francia, non era in grado di farcela da solo a contrastare i ribelli.

  • Vista la natura del regime maliano, che l’intervento francese fosse un’operazione a sostegno “della democrazia in Mali” è ovviamente poco credibile. Più probabile che  l’intervento militare “voglia ristabilire sicurezza nella regione”.  Ma le regioni del mondo rese insicure, invivibili e piene di atrocità sono moltissime, purtroppo, nel mondo. Allora come mai, proprio il Mali? Le ragioni possono essere molteplici, e molte legate a risorse natuali o di egemonia nella regione, ma su una mi voglio soffermare qui.

    Ho sentito diverse notizie e dichiarazioni – in questi giorni – affermare che l’intervento francese nel Mali è “per l’uranio“, e che “la zona”, o “il Mali”, oppure “il Nord del Mali” tenuto dai ribelli sono ricchi di minerale uranifero. Mi sono incuriosito, dato che non mi risultava, ed ho scoperto che non è esattamente vero, ma in realtà lo è, come vedremo, e come riportano alcune fonti più informate e precise.

    Figura 1 – Il Mali tenuto dai ribelli (da wikipedia)

    Il Mali in realtà non ha miniere di uranio, anche se diverse ricerche e prospezioni si stanno (o stavano) facendo nella zona per ricercarlo, dato che è un’area con grandi potenzialità. Infatti, ed ecco il punto, il Mali confina con il Niger. Ed il Niger è davvero una miniera di Uranio ricchissima: si tratta del quarto produttore al mondo di Uranio (dopo solo Kazakhstan, Canada e Australia). Il Niger dovrebbe essere ricchissimo, e non il povero paese che è: produce infatti il 7,5% dell’uranio mondiale (4350 tonnellate all’anno di “yellow cake” U3O8), essenzialmente da una zona mineraria situata in pieno deserto, vicino alla due città minerarie di Arlit and Akokan. La zona mineraria è situata nel nord-ovest del Niger, in una zona desertica separata dal Mali soltanto da una linea tracciata a tavolino sulle carte geografiche. Si tratta della zona confinante con le aree del Mali finora tenute dalle forze ribelli. Il Niger e il Mali hanno infatti entrambi una forma oblunga, con una sezione contenente la capitale, totalmente decentrata e lontana dalla parte preponderante e principalmente desertica, un tutt’uno di sabbia e – in questo caso – uranio.

    Possiamo vedere geograficamente quale sia la situazione guardando in figura 1 la zona del Mali “tenuta” dai ribelli (confine in rosso chiaro) fino ai giorni scorsi (ora le città di Gao e Timbuctou sono state riconquistate dalle truppe francesi) e nella figura 2 la relativa breve distanza con la zona desertica del Niger dove si trova la più importante zona mineraria uranifera africana ed una della maggiori del mondo.

    Figura 2 - Il deserto Mali-Niger e le miniere di uranio (cartellino in rosso)Figura 2 – Il deserto Mali-Niger e le miniere di uranio (cartellino in rosso). In mezzo la linea di confine e a destra la città di Gao, recentemente conquistata dalla esercito francese

  • Andiamo a scoprire chi gestisce queste miniere di uranio? La società francese Areva. Anche se vi sono partecipazioni minori di altre società e paesi, sino ad ora sono stati i francesi a “farla da padrone” nell’estrazione dell’uranio nel Niger.C’è da segnalare a questo proposito una piccola ma fastidiosa interferenza, in anni recenti: la ”Societe des Mines d’Azelik SA (SOMINA)” è stata fondata nel 2007 per coltivare un’altra miniera in Niger, quella di Azelik/ Teguidda, 160 km a sudovest di Arlit e  150 km a nordovest di Agadez, nella regione che appunto da Agadez prende il nome. La miniera ha iniziato a produrre nel 2010 e si prevede possa arrivare a produrre, dalle attuali 700 tonnellate/anno, fino a  2500 tonnellate/anno nel 2015 e il doppio nel 2020. Chi possiede la SOMINA? Non i francesi, ma la nuova potenza nucleare emergente, la Cina. SOMINA è una joint venture , composta per il 37.2% dalla China Nuclear International Uranium Corporation (SinoU) , per il 33% dal governo del Niger, e per il 24.8% dalla società cinese “ZXJOY Invest”. Un brutto colpo per l’egemonia francese nell’area, questa interferenza cinese, ed un segnale da parte del governo del Niger di voler anche “guardarsi attorno” al di là del dominio assoluto francese in quel campo.
  • Fatto sta che finora, per 40 anni, la società francese Areva ha mantenuto il monopolio dell’estrazione di uranio nella regione nigerina,  in miniere lontane circa 500 chilometri dalla capitale. Circa un quinto (il 18% nel 2008) del combustibile nucleare atto a far funzionare i 58 impianti nucleari francesi proviene dalle miniere del Niger.

    La sicurezza in quella regione è molto peggiorata negli ultimi anni.  Diversi gruppi armati si sono organizzati: da una parte i tuareg,  dall’altra i gruppi  islamisti, alcuni creatisi a partire dagli ex membri del GIA (Groupe islamique armé).

    Nel settembre del 2010, alcuni dipendenti dell’Areva, in servizio nelle società che si occupano di estrazione dell’uranio, sono stati rapiti in Niger, per poi essere trasferiti in Mali. La rivendicazione è stata di Al Qaeda. Quattro di essi sono tuttora in mano ai rapitori. La società AREVA ha lanciato un allarme per la sicurezza dei propri addetti operanti nell’area e il Governo francese ha intenzione di presidiare militarmente la zona mineraria. Effettivamente, nel giro di ore è possibile raggiungere la città mineraria francese partendo dal confine Maliano. 

    Recentemente, la situzione è evoluta in maniera ancor più preoccupante per gli “occidentali”: i movimenti tuareg  sono diventati più marginali, mentre si è avuta una grande crescita del gruppo salafita Ansar Dine, alleatosi con AQMI (Al Qaeda au Maghreb Islamique). Questi gruppi hanno dato l’impressione di non accontentarsi più del controllo della zona nord-orientale del Mali al confine con il Niger, ma – come abbiamo visto – di muovere verso la capitale Maliana e potenzialmente di acquisire il controllo della zona desertica che – ripetiamo – è suddivisa formalmente fra Mali e Niger soltanto da una linea artificiale sulla carta geografica.

    I due governi del Mali e del Niger sono da sempre in condizioni di totale dipendenza dal quello francese. Quello maliano, sempre più indebolito e – per quanto riguarda l’ultimo – frutto di un colpo di stato, non era più in grado neppure di fungere da fantoccio senza l’appoggio diretto delle truppe francesi. Il Niger per decenni si è basato sugli introiti dovuti all’estrazione di uranio da parte dei francesi di Areva (prima si chiamava Cogéma). Proprio quando il governo nigerino ha dato alcuni timidi segnali di indipendenza, cercando ad esempio l’accordo coi cinesi, la Francia riprenderà  totalmente in mano la situazione, grazie anche alla posizione di forza data dall’intervento militare nei territori vicini, intervento che ovviamente “garantisce la sicurezza” anche del Niger.

    L’ipotesi che gira in questi giorni sui media è pertanto plausibile, chiariti appunto alcuni dettagli ed evitando inesattezze: un intervento militare – da parte della Francia – dovuto alla tutela dei propri approvvigionamenti energetici, ed in particolare dell’uranio. Niente “democrazia”, questo è evidente, la bugia era così pietosa che pare nessuno ci abbia creduto davvero. Sono stati costretti ad anticipare un intervento già pianificato da tempo, per scongiurare anche questo pericolo potenziale: oltre ad un altro governo fantoccio che si frantuma in Mali, anche un quinto dei propri approvvigionamenti di Uranio, e il quarto produttore al mondo di quel combustibile nucleare, in mano agli islamisti e ad Al-Qaeda.

* Docente di impianti nucleari al Politecnico di Torino

da blog di massimozucchetti su “il manifesto” online

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