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Siria e Africa. Il silenzio del movimento per la pace

Il silenzio del Movimento per la Pace di fronte all’intensificarsi degli interventi guerrafondai imperialisti in Africa e nel Medio Oriente è ingiustificato ed inaccettabile!

Lunedì, 25 febbraio 2013, il Segretario di Stato usamericano, John Kerry, ha dichiarato che gli Stati Uniti forniranno direttamente alla cosiddetta “opposizione siriana” supporto “non letale” in uno sforzo coordinato per rovesciare il governo siriano di Bashar al -Assad. 

Inoltre, alcuni funzionari degli Stati Uniti hanno annunciato che gli Stati Uniti provvederanno al cosiddetto “Esercito siriano di liberazione” forniture mediche e razioni da campo in dotazione all’esercito degli Stati Uniti.

Questo è un lampante passaggio verso l’escalation dell’intervento militare degli Stati Uniti in Siria, che non dovrebbe sorprendere nessuno, dato il ben noto piano statunitense per un “Nuovo Medio Oriente”, che mira a ridisegnare la mappa del Medio Oriente, allo scopo di garantire la dominazione egemonica statunitense sulla regione e sulle sue risorse.

Quello che risulta sorprendente, invece, è l’assoluto silenzio e l’inazione del “Movimento per la Pace” contro gli atti criminali che vengono apertamente commessi contro i popoli del Medio Oriente, e contro la pace e la sicurezza della regione e del mondo.

1. Supporto “non letale” per un intervento letale     

L’affermazione di John Kerry sulla natura “non letale” dell’aiuto all’“opposizione” siriana, creata artificialmente e armata dagli Stati Uniti, non è altro che una sfacciata menzogna.

Infatti, la definizione usamericana di “aiuto non letale”, in continua espansione, “copre” di fatto tutto ciò che in sé e per sé non ammazza le persone, tra cui occhiali da visione notturna e binocoli da cecchino, … giubbotti antiproiettile, addestramento al combattimento e perfino mezzi blindati per il trasporto di personale armato.(1)

E questa è solo la punta di un gigantesco iceberg. Quello che gli Stati Uniti non stanno fornendo apertamente viene trasferito ai ribelli tramite gli alleati degli USA: Arabia Saudita, Qatar, Giordania e Turchia.

Secondo il New York Times, (2) “l’Arabia Saudita ha finanziato un importante acquisto di armi per fanteria dalla Croazia, che tranquillamente sono state incanalate ai combattenti anti-governativi in Siria …. Le armi hanno cominciato a raggiungere i ribelli nel dicembre 2012 tramite spedizioni attraverso la Giordania …Queste armi, che sono stati distribuite principalmente a gruppi già armati …, comprendono un particolare tipo di fucile senza rinculo prodotto in Jugoslavia, così come fucili d’assalto, lanciagranate, mitragliatrici, mortai e lanciarazzi contro carri armati e altri veicoli blindati.”

Inoltre, a questi banditi armati il Qatar e l’Arabia Saudita hanno fornito missili terra-aria di fabbricazione statunitense da utilizzarsi contro la superiorità dell’esercito siriano e delle forze armate aeree della Siria.

Date le strette relazioni tra gli Stati Uniti, il Qatar e l’Arabia Saudita, è inconcepibile che queste spedizioni di armi di fabbricazione USA ​​in favoredell’“opposizione” siriana siano state fatte senza alcuna autorizzazione da parte statunitense.

Inoltre, secondo Asia Times, “la provincia di Hatay nel sud della Turchia è la base del quartier generale dell’Esercito di Liberazione della Siria [FSA], e lì sono stati organizzati i campi di addestramento dalle forze speciali del Qatar. Attraverso la Turchia, il FSA riceve anche armi usate in Libia, e da parte della NATO apparecchiature all’avanguardia nelle comunicazioni…” (3)

Per giunta, dalla scorsa estate, più di 150 pianificatori e consiglieri militari statunitensi sono di stanza lungo la frontiera fra la Siria e la Giordania, dove le armi croate sono state trasportate per essere consegnate nelle mani dei ribelli. (4)

Secondo un’inchiesta del New York Times, (5) la CIA ha organizzato e controllato le spedizioni di armi ai ribelli siriani dall’interno della Turchia.

Questa guerra per procura contro il popolo siriano da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati fantoccio nella regione ha già provocato il caos e la rovina per la società e l’economia siriana. Secondo un ricercatore, “un recente rapporto preparato dal Centro siriano di Ricerca politica (SCPR) ha stimato che le perdite per l’economia del paese nel corso degli ultimi 22 mesi ammontano a 48,4 miliardi dollari, l’equivalente dell’81,7 per cento del PIL del paese per il 2010.

Si stima che il PIL sia diminuito del 18,8 per cento nel solo 2012, vertice di un declino del 35 per cento dall’inizio dei combattimenti, a cui hanno contribuito le sanzioni punitive occidentali. Secondo il rapporto, le perdite in conto capitale del paese ammontano a 42 miliardi di euro, con la distruzione fisica definitiva di impianti, attrezzature ed edifici pari a 20,8 miliardi dollari.”

E come tocco finale, i “ribelli, con il sostegno occulto degli USA, hanno sistematicamente saccheggiato il sistema economico nelle zone della capitale industriale Aleppo cadute sotto il loro controllo, spogliando le fabbriche delle loro risorse e macchinari per farne contrabbando attraverso il confine con la Turchia.” (6)

È quindi del tutto evidente che, nonostante tutte le smentite ufficiali, gli Stati Uniti sono già coinvolti in una guerra letale contro la Siria, una guerra per procura, che ora è in una fase di escalation in un intervento militare diretto.

Questa escalation di intervento militare degli Stati Uniti in Siria è il risultato della constatazione da parte dei responsabili politici statunitensi del fatto evidente che il governo siriano gode del sostegno di una parte significativa della popolazione del paese, e quindi non può essere sconfitto direttamente da un branco di mercenari armati e finanziati dalle potenze occidentali e dai loro alleati nella regione.

Come ha dichiarato in una recente intervista a Radio CBC Karen Koning AbuZayd, una ex diplomatica statunitense e membro della commissione indipendente dell’ONU, deputata ad indagare sulle violazioni dei diritti umani in Siria, “esiste una certa parte della popolazione, forse la metà, se non di più, che gli sta dietro e lo appoggia [Assad].” (7)

Dopo oltre 20 mesi di tentativi criminali orchestrati dagli Stati Uniti per imporre un cambio di regime in Siria, che hanno provocato quasi 50 mila morti, 700.000 rifugiati – tre quarti dei quali donne e bambini, secondo le Nazioni Unite – e lo spostamento di più di due milioni di persone su una popolazione di 20 milioni, (8) un cambiamento di politica verso un diretto intervento militare in Siria sembra essere diventato inevitabile, se l’obiettivo degli Stati Uniti è quello di conseguire il loro predominio egemonico su un “Nuovo Medio Oriente” completamente soggiogato.

2. Terrorismo come mezzo per conseguire il cambiamento di regime in Siria

Il fatto che l’amministrazione Obama stia orchestrando la più grande campagna di terrore sponsorizzato da uno Stato per forzare il cambio di regime in Siria è ormai fuori di dubbio.

In effetti, la cosiddetta “rivolta popolare” in Siria non è altro che una campagna di terrore totalmente organizzata sotto la guida degli Stati Uniti, Francia, Arabia Saudita e Qatar, con l’aiuto di vari gruppi e organizzazioni terroristiche, la maggior parte dei quali provenienti da altri paesi arabi. Questi gruppi comprendono elementi di al-Qaeda, Jihadisti provenienti dall’Afghanistan, Somalia e Pakistan, e una manciata di disertori dall’esercito siriano. (9)

Secondo Asia Times, “Il popolo siriano che esige riforme democratiche non rappresenta una considerevole maggioranza, come è avvenuto in Tunisia o in Egitto. Inoltre, i ‘combattenti democratici’ che fanno parte dell’Esercito siriano di liberazione (FSA) non sono tutti cittadini siriani ….È noto che combattenti di al-Qaeda sono presenti tra le forze di opposizione in Siria, così come mercenari libici arrivati di recente dalla ‘rivoluzione libica’, altro buon esempio di ribaltamento di regime, definito come ‘Primavera araba’ dai media occidentali.

All’inizio della rivolta, il leader stesso di al-Qaeda Ayman al-Zawahiri ha invitato i combattenti di al-Qaeda ed eventuali mercenari sunniti ad unirsi alle forze di opposizione siriane.

Pertanto, gli Stati Uniti, al-Qaeda, i paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC) e dell’Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico (NATO) stanno tutti dalla stessa parte in questo conflitto – cercando di imporre un cambio di regime in Siria …”

L’articolo di Asia Times poi si interroga: “Dove sono le immagini delle proteste dei pacifisti? Non ce ne sono, perché questa non è una rivolta democratica come affermano i media occidentali, ma una guerra civile a tutto campo, dove i ribelli non rappresentano la maggioranza della popolazione…” (10)

L’articolo di Asia Times passa poi a descrivere come il volto terrorista di questa “opposizione” fabbricata a tavolino venga deliberatamente nascosto agli occhi della pubblica opinione dai media occidentali:

Esiste una scarsa documentazione sul popolo della Siria o sulle sue legittime richieste, e l’immaginario utilizzato è quello di bombardamenti e uccisioni da addossare al regime di Assad, comunque senza prove.

L’ultimo massacro avvenuto in Hula è uno dei migliori esempi di manipolazione mediatica: senza alcuna prova, non appena la notizia della strage è pervenuta, la carneficina è stata immediatamente attribuita a forze governative. La BBC ha perfino trasmesso una falsa documentazione fotografica di centinaia di cadaveri avvolti in lenzuola bianche, che in realtà era un servizio fotografico del 2003 prodotto in Iraq da Marco di Lauro [un fotografo e fotoreporter italiano specializzato in reportage di guerra e sociali].

La BBC convenientemente riportava in caratteri piccoli sotto una foto: ‘Si suppone che questa immagine – che non può essere verificata in modo indipendente – rappresenti i corpi dei bambini di Hula in attesa di sepoltura.’

Hanno fatto strame della Storia come mezzo per mostrare a tutto il mondo la spietatezza del regime siriano e indurre l’opinione pubblica ad approvare l’intervento umanitario / militare in Siria.

Subito dopo, la foto è stata scoperta come falsa, e però la notizia che i veri autori della strage erano in realtà membri dell’Esercito siriano di liberazione (FSA) travestiti da Shabiha (teppisti), e che le persone uccise erano Siriani filo-governativi, non ha ricevuto la stessa ‘immediatezza di trasmissione’, come era successo con la notizia data in precedenza …” (11)

Così, quando il Segretario di Stato usamericano John Kerry ha annunciato a Doha che l’aiuto statunitense pari a 60 milioni dollari in favore dei ribelli siriani non sarebbe andato a “terroristi”, egli sapeva benissimo che non stava dicendo la verità. Egli stava nascondendo il fatto che gli unici alleati che gli Stati Uniti hanno all’interno della Siria sono questi terroristi, e che, in un modo o in un altro, la parte del leone degli aiuti usamericani finirà nelle loro mani, indipendentemente da coloro che inizialmente li riceveranno.

3. Fabbricare per la Siria un governo surrogato “legittimo”

Nonostante tutti i loro sforzi criminali terroristici di imporre un cambiamento di regime illegale in Siria, gli Stati Uniti e i loro “delegati” nella regione si trovano ad affrontare un problema ben più importante e decisivo: l’assenza di una legittima alternativa al regime di Assad.

Ben consapevole del fatto che i ribelli armati all’interno della Siria non hanno credibilità, sia tra il popolo siriano che nella comunità internazionale, da parte sua l’amministrazione Obama ha cercato disperatamente di rabberciare un surrogato di governo per la Siria.

Secondo il New York Times:

“Uno degli scopi dei 60 milioni di dollari in aiuti è quello di sostenere la Coalizione siriana di opposizione, … che gli Stati Uniti appoggiano e hanno contribuito a plasmare, nel tentativo di costruirne la credibilità all’interno del paese …Inoltre, l’assistenza usamericana potrebbe aiutare la Coalizione siriana a sviluppare le capacità di governance, quando gli oppositori saranno chiamati a svolgere un ruolo in una qualsiasi transizione politica post-Assad.

I finanziamenti devono essere utilizzati nelle aree controllate dalla Coalizione siriana di opposizione per migliorare l’istruzione, i servizi igienico-sanitari e la sicurezza.

Un altro obiettivo è quello di rafforzare lo stato di diritto in queste aree …” (12)

Ma chi sono i destinatari di questi aiuti, che si trovano nella fase di addestramento ad opera degli Stati Uniti per governare la Siria?

Secondo la stessa ex Segretario di Stato Hillary Clinton: “…un mucchio di esuli senza più contatti, che dovrebbe essere sostituito con un gruppo che rappresenti maggiormente i combattenti sul terreno.” (13)

In effetti, almeno dallo scorso mese di ottobre, per governare la Siria per conto degli Stati Uniti l’amministrazione Obama ha cercato di mettere insieme, legittimare e addestrare una Coalizione con quei medesimi “esuli senza più contatti”.

Secondo un ricercatore: “Nel suo viaggio, la Clinton ha disvelato un altro gruppo di selezionati ricchi esiliati siriani che non erano stati in Siria da decenni, senza collegamenti sul campo e, soprattutto, con una presenza militare di un qualche significato assolutamente nulla.

La Clinton ha ri-nominato il gruppo come Coalizione Nazionale della Rivoluzione Siriana, e ha presentato la sua nuova creatura all’entusiastico consenso unanime dei media statunitensi…” (14)

Questa “nuova creatura” del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti è stata in seguito ribattezzata Coalizione Nazionale Siriana, e unilateralmente riconosciuta essere la “sola rappresentante legittima del popolo siriano”, senza alcuna forma di legittimazione da parte dello stesso popolo siriano:

“una dichiarazione, rilasciata al termine dell’incontro a Roma, ha descritto la Coalizione Nazionale Siriana – una formazione rabberciata alla meglio dal Dipartimento di Stato, ed ospitata in un hotel di lusso a Doha nel novembre scorso – come la ‘sola rappresentante legittima del popolo siriano’.

L’attuale Segretario di Stato John Kerry si è presentato in una conferenza stampa con a fianco Mouaz al-Khatib, il predicatore sunnita e alleato dei Fratelli Musulmani, che Washington sta preparando a diventare l’equivalente siriano di Ahmed Chalabi dell’Iraq o dell’Afgano Hamid Karzai.

La Coalizione sponsorizzata dagli Stati Uniti avrebbe dovuto convocare per sabato un incontro a Istanbul per annunciare la formazione di un ‘governo di transizione’. Tuttavia, il giovedì, veniva annunciato che la riunione era stata rinviata, probabilmente a causa di un altro dissidio sulla divisione dei posti e…dei profitti.” (15)

È abbastanza chiaro che la “rivoluzione popolare” in Siria è solo un mito creato dagli Stati Uniti per fornire “legittimità” alla sua politica di cambiamento di regime in Siria, con l’aiuto di un gruppo di mercenari e traditori. L’amministrazione Obama ha guidato l’intero processo, mentre attivamente sta cercando di organizzare una “immagine pubblica” di rispettabilità per i ribelli.

Si può presumere che il diretto intervento militare degli Stati Uniti per rovesciare il regime di Assad avrà inizio appena questa scomposta Coalizione di fantocci potrà essere unificata attorno all’agenda degli Stati Uniti, e verrà addestrata e armata in modo opportuno per conquistare il paese.

“Chiunque abbia prestato attenzione alle guerre in Iraq, Afghanistan, e in Libia capisce che lo stile degli Stati Uniti per rovesciare un regime equivale alla distruzione di quella nazione.

I suddetti tre paesi erano nazioni del tutto civili, che si reggevano in maniera indipendente, ma ora sono socialmente ed economicamente distrutti e frammentati a livello regionale, governati da chiunque nella regione abbia la ventura di possedere il maggior numero di armi …” (16)

Ne va da sé che costoro, i meglio armati, sono esattamente gli Stati Uniti!

4. Bloccare qualsiasi tentativo di risoluzione pacifica

Mentre stanno mettendo in atto aggressioni terroristiche per sloggiare il governo siriano, in concomitanza gli Stati Uniti stanno bloccando qualsiasi tentativo di risoluzione pacifica del conflitto armato creato artificiosamente. E questo, nonostante tutte le riforme avviate dal governo siriano, e respinte dalla opposizione sostenuta dal governo degli Stati Uniti, dall’inizio delle proteste nel 2011.

Fra queste riforme:

26 febbraio 2011: viene stabilita la data per un referendum nazionale sul nuovo progetto di Costituzione del paese. Le elezioni parlamentari si dovrebbero tenere entro 90 giorni dall’approvazione della Costituzione ….Se approvata, la Costituzione dovrebbe vincolare il Presidente a restare in carica per un massimo di due mandati di sette anni e introdurre un sistema pluralistico di partiti.

Questo progetto di Costituzione è un passo importante … nella storia siriana. Per la prima volta, il Presidente della Siria … verrà eletto – non essere designato per referendum – e ci dovranno essere almeno due candidati alla Presidenza. [Il referendum costituzionale si è svolto nel febbraio 2012 ed è passato. Le elezioni parlamentari si sono tenute nel maggio 2012.]

6 aprile 2011: il governo di Assad accantonava un’ordinanza che vietava alle insegnanti di indossare lo hijab – il velo che nasconde il volto di una donna, eccettuati gli occhi – una mossa vista come un tentativo di tendere la mano ai conservatori.

In un’ulteriore concessione, Assad ordinava la chiusura del Casino di Damasco.

7 aprile 2011: Assad emetteva un decreto di concessione della cittadinanza a migliaia di Curdi che vivono nella regione orientale di al-Hassake.

22 aprile 2011: Assad promulgava decreti che mettevano fine a quasi cinque decenni di governo di emergenza …in conseguenza dello stato di emergenza erano state ridotte fondamentali libertà civili, come ad esempio la possibilità di riunioni pubbliche, e si autorizzava l’arresto di un individuo supposto rappresentare una minaccia per la sicurezza.

Fra i decreti emanati, l’abolizione dei tribunali speciali per la sicurezza dello Stato.

Questi tribunali operavano in modo indipendente dal sistema giudiziario convenzionale e funzionavano per perseguire le persone accusate di sfidare il governo. I verdetti raggiunti in questi tribunali non potevano essere oggetto di appello.

31 maggio 2011: Assad decretava la concessione di un’amnistia generale che i media di Stato dichiaravano avrebbe riguardato tutti i movimenti politici, compresi i Fratelli Musulmani fuorilegge.

20 giugno 2011: Assad emanava un decreto che concedeva l’amnistia generale per i “crimini” commessi prima di tale data. Un decreto analogo è stato emesso nel gennaio 2012.

4 agosto 2011: Assad promulgava la legge elettorale per le elezioni locali, la norma sulle amministrazioni locali, che assegna alle amministrazioni locali maggiori poteri e indipendenza finanziaria …. Il processo elettorale è – per la prima volta – sottoposto alla supervisione di commissioni giudiziarie e non al ministero degli interni ….

4 agosto 2011: Assad ha decretato che in Siria viene autorizzato un sistema politico multipartitico…. la Siria era effettivamente uno Stato a partito unico a partire dal 1963, e l’articolo 8 della Costituzione stabiliva che il Partito Baath era “il partito guida dello Stato e della società.”

28 agosto 2011: Assad ha approvato una nuova legge sui media, che difende la libertà di espressione e vieta l’arresto di giornalisti. (17)

Non vi è dubbio che il governo siriano è esso stesso colpevole di repressione politica e di violenza eccessiva contro l’opposizione. Ma questo è ancora più vero per molti degli Stati arabi della regione, la maggior parte dei quali sono stretti alleati degli Stati Uniti.

Tuttavia, una volta che le rivolte hanno avuto inizio, il governo siriano ha preso immediate misure per correggere i propri eccessi.

Eppure, mentre molte organizzazioni popolari all’interno della Siria hanno abbracciato questi sforzi da parte del governo siriano per una soluzione pacifica del conflitto, gli Stati Uniti e i loro alleati costantemente li hanno respinti, perché gli Stati Uniti continuano ad insistere sul fatto che qualsiasi dialogo politico può instaurarsi solo con un cambio di regime.

Come il portavoce del Dipartimento di Stato, Patrick Ventrell, ha commentato di recente, “il processo [politico] deve includere l’abbandono di Assad …” (18)

Così l’unica scelta concessa al popolo siriano è quella di sottomettersi al programma che Washington ha deciso per la Siria.

Secondo un recente documento della Reuters, in data 25 febbraio di quest’anno, il ministro degli Esteri siriano, Walid a-Mualem, ancora una volta ha annunciato che “la Siria è pronta per colloquiare con i suoi oppositori armati”, dichiarazione qualificata dalla Reuters come “l’offerta più chiara al momento di un negoziato con i ribelli che combattono il Presidente Bashar al-Assad”, ma che ha ricevuto “una risposta sprezzante da parte del Segretario di Stato John Kerry…” (19)

Perché Washington insiste su una politica di guerra, invece di ricercare una soluzione pacifica? Perché, come un analista ha giustamente individuato, non può dettare le proprie condizioni all’attuale governo siriano, che quindi risulta “un ostacolo per l’egemonia degli Stati Uniti in Medio Oriente …” (20)

5. L’effettivo programma di Washington per la Siria

Probabilmente, la migliore descrizione dell’effettivo programma di Washington per la Siria, e non solo per la Siria, è stata fornita da Noureddin Merdaci nel suo articolo intitolato “I piani elaborati da traditori siriani al servizio delle monarchie imperialiste del Golfo.” (21)

In questo articolo si analizza come, nel novembre scorso a Doha, l’amministrazione Obama e i suoi Stati satelliti nella regione, in particolare il Qatar, hanno cercato di imporre l’ordine del giorno degli Stati Uniti alle forze dell’“opposizione siriana”, loro fantoccio:

“…Il velo comincia a sollevarsi sulle circostanze del ‘conclave’ tenutosi a Doha ai primi di novembre, che ha visto una eterogenea ‘opposizione’ – divisa, senza un programma e senza prospettive – dotarsi di un leader, Moez Ahmed al-Khatib , e di una ‘Coalizione’.

“Ma per raggiungere questo obiettivo, secondo fonti ferrate sull’argomento, gli “oppositori” siriani hanno ricevuto l’ingiunzione dal Qatar di ‘trovare’ un accordo, condizione sine qua non,… prima di lasciare la sala messa a loro disposizione. Ciò significa che l’‘opposizione siriana’ aveva una pistola puntata sulla testa, costringendola a raggiungere almeno un accordo minimo. Il primo ministro del Qatar, lo sceicco Hamad bin Jassim bin Jaber al-Thani, si interessava personalmente della riunione e dei suoi esiti…

“Allora, a Doha, è risultato inevitabile ‘unificare’ l’opposizione, la cui credibilità era stata messa in discussione, perfino da parte di uno dei suoi principali sponsor, gli Stati Uniti, che hanno fatto pesare tutta la loro influenza per ripristinare una parvenza di coerenza e visibilità ad una opposizione costruita completamente dalla Francia, Qatar, e Stati Uniti in particolare, e sostenuta dalla Turchia …. Doha ha rappresentato una rimessa in carreggiata di una ribellione che non era stata in grado di raggiungere gli obiettivi richiesti dai propri sponsor.”

Ma la parte più rivelatrice di questo articolo è la descrizione della lista delle condizioni imposte dagli Stati Uniti al futuro governo fantoccio della Siria:

“Di fatto, siamo in grado di meglio capire la situazione quando prendiamo conoscenza dei termini del ‘Protocollo di Doha’ , un documento che siamo riusciti a consultare, redatto in 13 punti:

1. La Siria deve ridurre il numero dei soldati dell’esercito siriano a 50.000 unità;

2. La Siria farà valere il suo diritto di sovranità sul Golan solo con mezzi politici. Entrambe le parti firmeranno accordi di pace sotto l’egida degli Stati Uniti e del Qatar;

[N.d.tr.: Le alture del Golan sono uno dei territori più contesi di tutto il Medio Oriente e al tempo stesso, da quasi quarant’anni, è il fronte di guerra più tranquillo della regione: altopiano dall’alto valore strategico, dal fertile terreno di origine vulcanica e ricco di falde acquifere, il Golan è stretto oggi tra Israele, Siria, Giordania e Libano. Territorio appartenente alla Siria moderna sin dal 1923, fu occupato nel 1967 da Israele per diventare, quattordici anni più tardi, parte integrante dello Stato ebraico sotto il nome di ‘distretto settentrionale’.

Questa annessione però non è mai stata riconosciuta internazionalmente e da decenni le Nazioni Unite impongono allo Stato ebraico la restituzione alla Siria del territorio occupato.

Dal 2000 i negoziati ufficiali tra Damasco e Tel Aviv sono fermi e ogni eventuale nuova trattativa dovrà di fatto ricominciare da zero.]

3. La Siria deve sbarazzarsi, sotto la supervisione degli Stati Uniti, di tutte le sue armi chimiche e biologiche e di tutti i suoi missili. Questa operazione deve essere effettuata sul territorio della Giordania;

4. Deve rinunciare a qualsiasi pretesa di sovranità su Liwa Iskenderun (Alessandretta) e ritirarsi in favore della Turchia dai villaggi di confine abitati da Turkmeni nei ‘muhafazahs’ di Aleppo e Idlib; 5. Deve espellere tutti i membri del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, e consegnare quelli ricercati dalla Turchia. Questo Partito deve essere aggiunto alla lista delle organizzazioni terroristiche;

6. Deve annullare tutti gli accordi e i contratti stipulati con la Russia e la Cina nei settori delle trivellazioni e degli armamenti;

7. Deve concedere al Qatar il passaggio del gasdotto attraverso il territorio siriano verso la Turchia e quindi verso l’Europa;

8. Deve consentire il passaggio di acquedotti attraverso il territorio siriano, dalla diga di Atatürk verso Israele;

9. Il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti si impegnano a ricostruire ciò che è stato distrutto dalla guerra in Siria, a condizione che le loro imprese abbiano l’accesso esclusivo agli appalti per la ricostruzione e per lo sfruttamento del petrolio e del gas siriano;

10. Deve mettere fine alle relazioni con Iran, Russia e Cina;

11. Deve rompere le relazioni con Hezbollah e con i movimenti di resistenza palestinesi;

12. Il regime siriano deve essere islamico e non salafita;

13. Questo accordo entrerà in vigore non appena il potere verrà assunto [nota del redattore (algerino):… dalla ‘Opposizione’].”

Correttamente, l’autore dell’articolo osserva:

“Questo è il prezzo delle pressioni straniere e della sottomissione e del tradimento da parte degli Stati arabi. Un prezzo elevato, un prezzo esorbitante, per la Siria, che tuttavia personaggi che si definiscono ‘Siriani’ hanno approvato. In effetti, questo accordo, o meglio ‘Protocollo’, è dunque il prezzo che l’opposizione siriana dovrà pagare una volta installata al potere a Damasco, come stabilito dall’articolo 13 dell’‘Accordo di Doha’.

“In questo modo, ognuno degli sponsor della ‘rivolta del popolo siriano’ ha aiutato se stesso, assecondando i suoi propri interessi e appetiti.

Gli Stati Uniti, disarmando la Siria e allontanando questa nazione dai suoi amici;

la Turchia, recuperando villaggi siriani e modificando le frontiere comuni in base ai suoi interessi;

il Qatar, garantendosi contratti per la ‘ricostruzione’ del paese;

l’Arabia Saudita, con l’insediamento di un regime islamico secondo la sua devozione religiosa.

“Questa è una effettiva castrazione della Siria, che verrà spogliata della sua sovranità proprio come è avvenuto per l’Egitto con gli Accordi di Camp David nel 1979.

In buona sostanza, è come se l’‘Opposizione’ – sostenuta a distanza dal Qatar – chiedesse l’immediato riconoscimento di Israele, tuttavia, attraverso un negoziato politico ai sensi dell’articolo 2 del “Protocollo di Doha”.

“Siamo in presenza della spartizione del tesoro siriano! Mai vengono poste le questioni sulla democrazia, la libertà, i diritti umani, la costruzione di una nuova Siria, in cui i Siriani, qualunque sia la loro origine etnica, la loro religione e le loro convinzioni personali, possano godere degli stessi diritti.

Invece, ciascuno degli ‘sponsor’ si è servito per primo, afferrando tutto quello che bramava …”

6. La grande strategia imperialista per dominare il mondo

Sarebbe un grave errore considerare l’aggressione contro la Siria come un caso isolato, con l’unica mira di abbattere Bashar al-Assad e il suo governo.

La demonizzazione di leader politici come pretesto per un intervento – come è stato fatto per l’Iraq, la Libia, la Siria, l’Iran, Panama, il Venezuela, Cuba e molti altri paesi – serve ad un duplice scopo per le potenze imperialiste.

In primo luogo, viene utilizzata come mezzo per creare giustificazioni nella mente dell’opinione pubblica, al fine di tranquillizzare tutti i potenziali oppositori all’aggressione progettata contro il paese preso di mira, promuovendo in tal modo il ben noto scenario “il bene contro il male”, abilmente utilizzato per giustificare quasi tutte le guerre imperialiste di aggressione in un recente passato. Il caso della Siria è solo un esempio.

Ma il più importante, e ingannevole, scopo di tale propaganda di demonizzazione è quello di nascondere i veri motivi dietro queste aggressioni imperialiste, e di celare agli occhi dell’opinione pubblica il più ampio progetto imperialista entro cui tali aggressioni vengono pianificate e, passo dopo passo, poste in attuazione.

Comprendere la connessione tra tutte le operazioni di aggressione imperialista in tutto il mondo, e superare la falsa percezione che ognuno di questi attacchi sia un caso isolato specifico per un determinato paese in un dato momento, è la chiave per il Movimento per la Pace, se questo vuole avere successo nella realizzazione di un preventiva mobilitazione di massa contro la guerra e le aggressioni in tutto il mondo.

A.  Il Progetto per il “Nuovo Secolo Americano”

Quello, a cui stiamo assistendo in Siria oggi, non è altro che un altro passo nella direzione della realizzazione delle politiche imperialiste sviluppate dagli infami neocons per la messa in atto del Progetto per il “Nuovo Secolo Americano”, e adottato dall’amministrazione Bush dopo le elezioni presidenziali del 2000, quando gli stessi neocons hanno assunto il controllo diretto del ramo esecutivo del governo degli Stati Uniti.

L’obiettivo di queste politiche, che sono state sviluppate subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica, e che ora vengono seguite, con piccole modifiche, dall’amministrazione Obama, è quello di garantire l’egemonia assoluta e il dominio degli Stati Uniti sul resto del mondo e sulle sue risorse per tutto il 21° secolo.

La nuova ondata di aggressioni imperialiste, che è iniziata dopo l’11 settembre con l’invasione dell’Afghanistan e proseguita con l’invasione dell’Iraq, il tentativo di colpo di stato contro Hugo Chavez in Venezuela, l’attacco della Nato contro la Libia, l’intervento militare in corso in Siria, le sanzioni economiche in atto e le minacce di guerra contro l’Iran, gli attacchi con droni contro il Pakistan, e i più recenti interventi militari in Africa, fanno tutti parte integrante di questo grande progetto imperialista, ora in fase di realizzazione con il pretesto della “guerra globale al terrorismo”.

Per capire meglio gli obiettivi strategici di questo Progetto non è necessario andare oltre la Dichiarazione dei Principi fondativi del Progetto, pubblicata nel 1997:

“Nel momento in cui il 20° secolo volge al termine, gli Stati Uniti rappresentano la potenza preminente nel mondo. Avendo condotto l’Occidente alla vittoria nella Guerra Fredda, gli Stati Uniti d’America hanno di fronte un’opportunità e devono affrontare una sfida: gli Stati Uniti hanno la lungimiranza di costruire su ciò che hanno conquistato nei decenni passati? gli Stati Uniti hanno la determinazione di plasmare un nuovo secolo favorevole ai principi e agli interessi americani?

“[Ciò di cui abbiamo bisogno è] un esercito che sia forte e pronto ad affrontare entrambe le sfide, presenti e future; una politica estera che con coraggio e decisamente promuova i principi americani all’estero; e una leadership nazionale che si assuma le responsabilità globali degli Stati Uniti ….

“Se ci sottraiamo alle nostre responsabilità, incoraggiamo le sfide che ci vengono lanciate contro i nostri interessi fondamentali.

La storia del 20° secolo dovrebbe averci insegnato che è importante adattare le circostanze prima che le crisi emergano, e affrontare le minacce prima che diventino terribili.

La storia del secolo passato dovrebbe averci insegnato ad abbracciare la causa della leadership americana.” (22) (evidenziazioni ad opera della redazione del documento)

— dalla Dichiarazione dei Principi fondativi del Progetto

Nell’esporre le modalità di conseguimento di tali obiettivi, in particolare quello di “adattare le circostanze prima che le crisi emergano, e affrontare le minacce prima che diventino terribili”, i promotori del Progetto hanno pubblicato un documento di 90 pagine, nel settembre 2000 (un anno prima dell’11 settembre) dal titolo “Ricostruire le difese dell’America: strategia, forze e risorse per un Nuovo Secolo”, in cui vengono descritti i fondamenti e le linee strategiche della politica militare degli Stati Uniti per il dominio globale.

Vale la pena analizzare alcuni estratti da questo documento, decisamente rivelatori.

Quello che segue è una versione molto condensata di questo documento di 90 pagine, che delinea le principali politiche strategiche che devono essere seguite per un dominio totale del mondo da parte degli Stati Uniti nel 21° secolo: (23)

Ricostruire le difese dell’America

Strategia, forze e risorse per un “Nuovo Secolo”

Attualmente gli Stati Uniti non devono affrontare alcun rivale globale.

La grande strategia dell’America dovrebbe mirare a preservare ed estendere nel futuro questa posizione vantaggiosa quanto più possibile. Tuttavia, esistono Stati potenzialmente potenti insoddisfatti della situazione attuale e desiderosi di cambiarla…. Preservare questa situazione strategica ottimale, in cui gli Stati Uniti si trovano ora, necessita di una capacità militare globale preminente, sia oggi che in futuro …”

In termini generali … la [nostra] strategia di difesa … [deve essere tale] per mantenere la supremazia degli Stati Uniti, precludendo l’ascesa di una qualche grande potenza rivale, e modellando l’ordine internazionale sulla sicurezza in linea con i principi e gli interessi americani ….

“La sfida per il secolo venturo è quella di preservare e valorizzare questa ‘Pace Americana’. Eppure, solo se gli Stati Uniti non manterranno la forza militare sufficiente, questa opportunità verrà persa …In particolare, … gli Stati Uniti devono:

mantenere la superiorità strategica nucleare, posizionando il deterrente nucleare statunitense secondo una rete strategica nucleare, globale, che ponderi l’intera gamma di minacce attuali ed emergenti ….

riposizionare le forze degli Stati Uniti per rispondere alle realtà strategiche del 21° secolo, spostando le forze in modo permanente verso basi del Sud-Est europeo e del Sud-Est asiatico, e modificando gli schemi di dispiegamento navale, per rispondere adeguatamente alle crescenti preoccupazioni strategiche degli Stati Uniti in Asia orientale

sviluppare e dispiegare difese missilistiche globali … per fornire una base sicura alla proiezione di potenza statunitense in tutto il mondo ….

controllare il nuovo “diritto internazionale” sullo spazio e il ciberspazio, e preparare il terreno per la creazione di … Forze Spaziali USA – con la missione del controllo dello spazio …”

incrementare la spesa per la difesa…”

“Il costo reale del non soddisfare le nostre esigenze di difesa sarà … la perdita di un ordine globale di sicurezza, eccezionalmente favorevole ai principi e alla prosperità americana …”

“Ma, come abbiamo visto negli ultimi dieci anni, non sono mancate le potenze nel mondo che hanno approfittato del crollo dell’impero sovietico come un’opportunità per espandere la propria influenza e sfidare l’ordine di sicurezza assicurato dagli Stati Uniti …”

“Oggi il compito [delle strutture militari] è quello di … scoraggiare la nascita di un nuovo competitore di grande potenza; di difendere le regioni chiave di Europa, Asia orientale e Medio Oriente; e di preservare la supremazia americana

Nel nuovo secolo, la prospettiva è quella di una varietà di teatri di guerra in tutto il mondo, contro avversari separati e distinti che perseguono obiettivi separati e distinti.

Durante la Guerra Fredda, la competenza territoriale della superpotenza rivale, il “centro di gravità” strategico, si trovava in Europa … [Ora il] nuovo centro strategico di interesse sembra spostarsi verso l’Est asiatico.

Le missioni per le forze armate degli Stati Uniti non hanno perso di importanza in questo nuovo dispiegamento. Le minacce possono essere non così grandi, ma ne esistono in numero maggiore … Oggi, quella stessa sicurezza può essere acquisita solo a livello di “dettaglio”, scoraggiando o, quando necessario, costringendo i nemici regionali ad agire in modo da tutelare gli interessi e i principi americani…

“È ormai opinione comune che le informazioni e le altre nuove tecnologie … stanno creando una dinamica che può minacciare la capacità americana di esercitare il suo potere militare dominante.

Potenziali rivali come la Cina sono ansiosi di sfruttare queste tecnologie di trasformazione in modo largo, mentre avversari come l’Iran, l’Iraq e la Corea del Nord si stanno affrettando a sviluppare missili balistici e armi nucleari come deterrente per un intervento degli Stati Uniti in regioni che loro cercano di dominare …. Se una “Pace Americana” deve essere mantenuta, e ampliata, deve avere una base sicura che poggi su una indiscussa supremazia militare degli Stati Uniti …”

“In generale, la strategia statunitense per i prossimi decenni dovrebbe cercare di consolidare le grandi vittorie riportate nel 20° secolo, …mantenere la stabilità in Medio Oriente, mentre si impostano le condizioni per i successi del 21° secolo, soprattutto in Asia orientale …

Gli Stati che cercano di imporre la loro egemonia sulla regione continuano a mettere alla prova i limiti del perimetro di sicurezza degli Stati Uniti …”

“La realtà del mondo di oggi è che non esiste la bacchetta magica con la quale eliminare le armi nucleari … e che scoraggiare il loro uso richiede una capacità nucleare da parte degli Stati Uniti affidabile e dominante …. Le armi nucleari restano una componente fondamentale della potenza militare statunitense ….

“Inoltre, vi può essere la necessità di sviluppare una nuova famiglia di armi nucleari, destinate ad affrontare una nuova serie di esigenze militari, come sarebbe richiesto quando si prendono di mira bunker sotterranei di grande profondità, dalle armature durissime, come vengono costruiti da molti dei nostri potenziali avversari ….

Della superiorità nucleare statunitense non c’è nulla di cui vergognarsi, anzi, sarà un elemento essenziale nel preservare la leadership degli Stati Uniti …”

Conservare o ripristinare un ordine favorevole in regioni vitali del mondo, come l’Europa, il Medio Oriente e l’Asia orientale investono di una responsabilità unica le forze armate degli Stati Uniti …. Il ritiro dai Balcani metterebbe in discussione la leadership statunitense in Europa – anzi, la vitalità della NATO…”

“Inoltre, queste missioni di polizia internazionale sono molto più complesse e tali da generare violenza rispetto alle tradizionali “missioni di pace”.

Esse richiedono una leadership politica statunitense e non quella delle Nazioni UniteNon possono gli Stati Uniti assumere una posizione di neutralità simile a quella delle Nazioni Unite; la preponderanza della potenza statunitense è così grande e gli interessi globali statunitensi così vasti che non si può fingere che siano irrilevanti i risultati politici nei Balcani, nel Golfo Persico o fingere indifferenza quando gli Stati Uniti dispiegano le loro forze in Africa …. Le forze americane devono rimanere schierate all’estero, su grande scala …. Tralasciare o ritirarsi dalle missioni di polizia internazionale… incoraggerà i piccoli tiranni a sfidare gli interessi e gli ideali degli Stati Uniti.

E la mancanza di preparazione alle sfide di domani assicurerà che l’attuale Pax Americana avrà presto termine …”

“Le forze USA hanno altri ruoli vitali da svolgere nella costruzione di una pace duratura americana.

La presenza delle forze statunitensi in regioni critiche di tutto il mondo è l’espressione visibile della dimensione della condizione degli Stati Uniti come superpotenza … Sarà difficile, se non impossibile, sostenere il ruolo di garante globale senza una consistente presenza all’estero …. Che le forze siano di stanza in basi permanenti o vengano dispiegate periodicamente, le operazioni all’estero delle forze statunitensi e dei loro alleati forniscono la prima linea di difesa di ciò che può essere descritto come il “perimetro di sicurezza degli Stati Uniti”…

“Mentre il conflitto non risolto con l’Iraq fornisce una giustificazione immediata, la necessità di una forte presenza statunitense nel Golfo trascende la questione del regime di Saddam Hussein … La tendenza è di allargare il perimetro di sicurezza degli Stati Uniti, con la conseguenza di mettere in atto nuovi tipi di missioni in tutto il mondo …. Il posizionamento di basi USA deve allora riflettere queste realtà … nel momento in cui il perimetro degli interessi di sicurezza degli Stati Uniti viene espanso …”

“È importante che la NATO non venga sostituita dall’Unione europea, lasciando gli Stati Uniti senza una voce nelle questioni di sicurezza in Europa …. Anche in Turchia, la base aerea USA di Incirlik… necessita di essere ampliata, migliorata e magari integrata con una nuova base nella Turchia orientale …”

“Anche se le sensibilità nazionali saudite chiedono che le forze di base nel Regno saudita rimangano nominalmente forze di spiegamento provvisorio, è diventato evidente che questa è ormai una missione semi-permanente.

Dal punto di vista statunitense, il valore di tali basi dovrebbe sussistere anche quando Saddam uscirà di scena. Nel lungo termine, l’Iran potrebbe rivelarsi una minaccia per gli interessi degli Stati Uniti nel Golfo, tanto grande quanto lo è l’Iraq. E dovessero le relazioni USA-Iran migliorare, il conservare nella regione le forze stanziate a termine sarebbe comunque un elemento essenziale nella strategia di sicurezza degli Stati Uniti, visti gli interessi statunitensi radicati nella regione …”

La prospettiva è che l’Asia orientale diventerà una regione sempre più importante, segnata dall’ascesa della potenza cinese …Aumentare la forza militare degli Stati Uniti in Asia orientale è la chiave per far fronte all’ascesa della Cina allo status di grande potenza ….

In effetti, nel tempo, la potenza statunitense e alleata nella regione può fornire uno stimolo al processo di democratizzazione all’interno della Cina stessa …

In sintesi, è il momento di aumentare la presenza di forze americane nell’Asia Sud-Orientale.

Il controllo delle linee marittime chiavi della comunicazione, la garanzia all’accesso alle economie in rapida crescita, il mantenimento della stabilità regionale, la promozione di legami più stretti con le giovani democrazie … tutto ciò è indispensabile per garantire la sicurezza degli interessi degli Stati Uniti … Per ragioni operative, nonché politiche, sarà richiesto nella regione lo stazionamento di forze aeree e di terra degli Stati Uniti, dotate di mobilità straordinaria…”

“Come supplemento alle forze di stanza all’estero secondo accordi di lungo termine, gli Stati Uniti dovrebbero cercare di stabilire una rete di “basi di dispiegamento” o “basi operative avanzate” per incrementare la portata delle forze attuali e future ….Tali installazioni costituirebbero un “moltiplicatore di forza” in operazioni di proiezione di potenza, ed un aiuto per rinsaldare i legami politici e di sicurezza con le nazioni ospitanti.

Mentre dovrebbe essere chiaro che tale politica degli Stati Uniti specifica per queste basi comporta che queste siano da intendersi come un supplemento alla struttura attuale di basi all’estero, questi insediamenti potrebbero anche essere considerati come precursori di una struttura più allargata….”

“L’importanza della potenza territoriale continua a fare appello ad una superpotenza globale, i cui interessi di sicurezza poggiano su … la capacità di vincere le guerre.

Pur mantenendo il suo ruolo di forza di combattimento, l’esercito USA ha acquisito nuove missioni negli ultimi dieci anni – più direttamente … per difendere gli interessi statunitensi nel Golfo Persico e nel Medio Oriente.

Queste nuove missioni richiederanno il continuo stazionamento di unità dell’esercito degli Stati Uniti all’estero ….Componenti costitutivi dell’esercito USA dispiegati in Europa dovrebbero essere ridislocati verso il Sud-Est dell’Europa, mentre un’unità permanente dovrebbe fare base nella regione del Golfo Persico …. La potenza territoriale statunitense è l’anello essenziale della catena che traduce la supremazia militare degli Stati Uniti in preminenza geopolitica statunitense …”

La presenza dell’Air Force USA nella regione del Golfo è di vitale importanza per la strategia militare degli Stati Uniti, e gli Stati Uniti dovrebbero prendere in considerazione la sua presenza come permanente de facto, cercando anche le modalità per ridurre le preoccupazioni regionali, saudite, kuwaitiane circa la presenza degli Stati Uniti …”

“Quando i loro missili sono dotati di testate che trasportano armi nucleari, biologiche o chimiche, anche potenze regionali di modesta valenza presentano una forza deterrente credibile, a prescindere dal rapporto di forze convenzionali.

Ecco perché, secondo la CIA, una serie di regimi profondamente ostili agli Stati Uniti – Corea del Nord, Iraq, Iran, Libia e Siria – “hanno già sviluppato o stanno per sviluppare missili balistici” che potrebbero minacciare gli alleati e le forze degli Stati Uniti all’estero ….

Tali capacità rappresentano una grave sfida per la Pace Americana e per la potenza militare che conserva questa pace.

La capacità di controllare questa minaccia emergente attraverso trattati tradizionali di non proliferazione è limitata, quando i vantaggi geopolitici e strategici di tali armamenti sono tanto evidenti e così prontamente acquisiti …”

Gli Stati Uniti e i loro alleati … sono diventati gli obiettivi primari della deterrenza da parte di Stati come l’Iraq, l’Iran e la Corea del Nord, che più desiderano sviluppare le capacità deterrenti …. Costruire un efficace, robusto, stratificato sistema globale di difese missilistiche è un prerequisito per mantenere la supremazia statunitense…”

“L’attuale Pace Americana sarà di breve durata, se gli Stati Uniti diventano vulnerabili a causa di potenze canaglia dotate di piccoli, poco costosi, arsenali di missili balistici e testate nucleari o di altre armi di distruzione di massa.

Non possiamo permettere che la Corea del Nord, Iran, Iraq o Stati consimili minino la leadership statunitense …”

E, soprattutto, nessuno di questi può essere considerato “improbabile a mettere in atto qualche evento catastrofico e scatenante – come una nuova Pearl Harbor …” (tutte le sottolineature in neretto corsivo sono di mano della redazione del documento)

B.  Ridisegnare la mappa del Medio Oriente

I criminali attacchi dell’11 settembre 2001, la “nuova Pearl Harbor” che i dirigenti USA stavano aspettando, hanno innescato il processo di attuazione della grande strategia imperialista, come delineato dal Progetto per il Nuovo Secolo Americano.

Ciò che era stato dichiarato come la “guerra globale al terrore” non è altro quindi che una copertura per un dispiegamento multiforme di forze militari statunitensi in tutto il mondo, espansione della sfera di influenza della NATO, e per l’insediamento di basi permanenti “avanzate” in tutto il mondo, con lo scopo apertamente dichiarato di “mantenere la supremazia degli Stati Uniti, precludendo l’ascesa di una grande potenza rivale”, soprattutto della Cina come il più pericoloso rivale emergente degli Stati Uniti, e di “conformare l’ordine internazionale della sicurezza, in linea con gli interessi statunitensi.”

In questo contesto, il controllo delle risorse petrolifere del Medio Oriente e del Nord Africa, e l’eliminazione di tutte le sacche di resistenza potenziale nella regione, in particolare “Iraq, Iran, la Libia e la Siria”, come principali “deterrenti” al piano degli Stati Uniti, sono la chiave per il successo di questo progetto imperialista.

Il primo obiettivo evidente era l’Iraq, che è stato invaso nel 2003, con il falso pretesto che possedeva “armi di distruzione di massa”. Però, sin dall’inizio tutti sapevano che lo scopo principale era di assumere il controllo del petrolio iracheno.

Eppure, il petrolio non era l’unico obiettivo!

Nel contesto del piano strategico globale degli Stati Uniti per il 21° secolo, i paesi come l’Iran e l’Iraq, come “potenze regionali” con la volontà di resistere al dominio degli Stati Uniti nella regione, dovevano essere indeboliti, sottomessi, o, se necessario, del tutto schiacciati dalla forza militare.

Come Noam Chomsky, una volta scherzosamente osservava, “gli Stati Uniti avrebbe ‘liberato’

l’Iraq, anche se i suoi principali prodotti per l’esportazione fossero stati sottaceti e asparagi”.

In altre parole, non solo il controllo delle risorse petrolifere, ma il completo controllo militare e politico ad opera degli Stati Uniti sull’intero Medio Oriente fa parte integrante del loro piano strategico globale.

E questo richiede la ridisegnatura della mappa politica del Medio Oriente, secondo questo progetto imperialista.

Di qui l’apparire del Progetto israelo-statunitense per il “Nuovo Medio Oriente”, introdotto ufficialmente dal Segretario di Stato di George Bush, Condoleezza Rice, nel giugno 2006, la cui denominazione, secondo un ricercatore, arrivava “in sostituzione del vecchio e più imponente termine, il ‘Grande Medio Oriente’.”

“Questo progetto, che è stato in fase di elaborazione per diversi anni, consiste nella creazione di un arco di instabilità, caos e violenza che deve estendersi dal Libano, la Palestina, e la Siria fino all’Iraq, il Golfo Persico, l’Iran, e le frontiere dell’Afghanistan presidiate dalla NATO.

“Il progetto ‘Nuovo Medio Oriente’ è stato presentato all’opinione pubblica da Washington e Tel Aviv con l’aspettativa che il Libano sarebbe stato il punto di compressione per ri-allineare l’intero Medio Oriente e quindi scatenare le forze del “caos costruttivo”.

Questo “caos costruttivo” – che genera condizioni di violenza e uno stato di guerra in tutta la regione – a sua volta verrebbe utilizzato in modo che gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e Israele avrebbero la possibilità di ridisegnare la mappa del Medio Oriente in conformità con le loro esigenze e gli obiettivi geo-strategici ….

“L’Iraq sotto occupazione anglo-americana, in particolare il Kurdistan iracheno, sembra essere il terreno preparatorio per la balcanizzazione (divisione) e la finlandizzazione (pacificazione) del Medio Oriente. Già sono apparsi sia il quadro legislativo, in corso di approvazione al Parlamento iracheno, che il nome di Federazione irachena, in vista della divisione dell’Iraq in tre parti.

“Inoltre, la tabella di marcia militare anglo-americana sembra precorrere l’incunearsi in Asia centrale attraverso il Medio Oriente. Il Medio Oriente, l’Afghanistan e il Pakistan sono trampolini di lancio per estendere l’influenza statunitense alle regioni dell’ex Unione Sovietica e alle Repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale …” (24)

E ancora più importante, insediare in modo permanente “basi militari avanzate” sempre più vicino alla Cina.

Anche se questa mappa non è ufficialmente certificata dal Pentagono, i recenti interventi militari e politici degli Stati Uniti nella regione nel corso degli ultimi dieci anni dimostrano chiaramente che si tratta di una rappresentazione logica di quello che Washington e i suoi alleati progettano per un prossimo futuro.

Uno sguardo alla mappa rivela diversi punti importanti:

L’Iraq di fatto viene tripartito in tre Stati separati, con le sue riserve di petrolio (che sono localizzate a nord e a sud della regione), divise tra due Stati sotto controllo statunitense, il “Free Kurdistan (Kurdistan libero)” e l’“Arab Shia State (Stato sciita arabo)”, e con la parte centrale povera di petrolio lasciata nelle mani dei Sunniti, che hanno combattuto contro l’intervento degli Stati Uniti.

Lo stesso accadrà all’Iran.

La provincia meridionale dell’Iran del Khuzistan (dove si trovano i giacimenti di petrolio iraniano) sarà stralciata e posta sotto controllo degli Stati Uniti come “Arab Shia State (Stato sciita arabo)”. Inoltre, le province del nord dell’Iran, che hanno potenziali riserve di petrolio ancora inesplorate a causa di un accordo storico con la Russia Sovietica fin dai tempi di Lenin, verranno separate e aggiunte agli Stati dell’Azerbaigian e del “Free Kurdistan”, sempre sotto controllo USA.

Carta geografica attuale del Medio Oriente

Carta geografica ridisegnata secondo il Piano “Nuovo Medio Oriente”

Date le preoccupazioni degli Stati Uniti circa l’instabilità del Regime saudita, anche questo paese verrà diviso in vari pezzi. I giacimenti di petrolio (situati sulle rive del Golfo Persico) saranno scorporati e, ancora una volta, messi sotto controllo degli Stati Uniti come “Arab Shia State (Stato sciita arabo)”.

Il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti, che sono già Stati satellite degli Stati Uniti, non vengono toccati.

Le parti settentrionali della Siria saranno separate e assegnate al “Free Kurdistan”, Stato fantoccio degli Stati Uniti.

Sul lato orientale della regione, una grossa fetta del Pakistan, un paese già sotto il tiro incrociato degli USA, e contro cui sono già iniziati gli attacchi con droni, verrà ritagliata e assegnata all’Afghanistan sotto controllo statunitense, e verrà il creato il “Free Baluchistan” (costruito in parte anche con territorio sottratto all’Iran), aprendo così la strada per la costruzione di oleodotti e gasdotti, che collegheranno le Repubbliche dell’Asia centrale verso l’Oceano Indiano.

Ironia della sorte, anche la Turchia (membro della NATO e stretto alleato degli Stati Uniti) perderà una fetta del suo territorio in favore del “Free Kurdistan”, controllato dagli USA.

Per di più, se il progetto per la creazione di una nuova base militare NATO nella Turchia orientale venisse implementato, il trasferimento di territori orientali della Turchia al “Free Kurdistan” renderebbe questo nuovo Stato un potenziale membro della NATO ai confini settentrionali dell’Iran.

Quindi, quando parliamo di petrolio come la motivazione degli Stati Uniti per invadere l’Iraq e minacciare un attacco all’Iran, dobbiamo capire che gli Stati Uniti non si muovono così, solo per procurasi il petrolio per il proprio uso domestico.

Piuttosto, ed è il fattore più importante, gli USA mettono in atto tale strategia perché pretendono di controllare l’offerta mondiale di petrolio nel suo complesso, soprattutto nei confronti dei loro potenziali rivali come la Cina, la Russia e l’Unione europea, e delle economie emergenti come India e il Brasile.

Il vero piano è quello di assegnare all’esercito statunitense e alla NATO la responsabilità della fornitura globale di petrolio in ordine generale.

C.  Il picco del petrolio e le guerre imperialiste per le risorse del 21° secolo

Dovrebbe essere ormai chiaro che la “guerra globale al terrore” di Washington e i suoi interventi militari in Medio Oriente e nel Nord Africa non hanno nulla a che fare con la lotta al terrorismo e alle dittature, per la difesa della democrazia e dei diritti umani, e hanno tutto a che fare con la preparazione di imminenti guerre imperialiste per le risorse del 21° secolo.

E per capire la vera natura della catastrofe pendente, si deve analizzare e comprendere il fenomeno noto come “picco del petrolio”.

È un fatto ben noto che il nostro mondo del 21° secolo si trova ad affrontare una carenza sempre più profonda di combustibili fossili, in particolare di petrolio e di gas naturale.

Con la rapida industrializzazione e la crescita economica di paesi come Cina, India e Brasile, con una popolazione complessiva di oltre due miliardi di persone, si prevede che la domanda mondiale di petrolio sarà almeno doppia entro il 2030.

Questo risulta particolarmente minaccioso per gli Stati Uniti, che, con il loro cinque per cento della popolazione del mondo, consumano circa il 25 per cento del petrolio mondiale, quasi la metà di esso importata dall’esterno.

Tutto ciò è destinato ad intensificare le rivalità fra grandi potenze a causa delle fonti disponibili di petrolio e di altre fonti di energia per i decenni a venire. Ma la crescente domanda è solo un lato del problema.

Da molto tempo ormai la discussione si è concentrata sulla rapida diminuzione della produzione globale di petrolio. Secondo diverse fonti, la produzione mondiale di petrolio ha raggiunto il picco durante il primo decennio del 21° secolo ed è iniziata la tendenza al ribasso.

Già nel 2002, Newsweek riferiva che per ogni barile di petrolio estratto viene scoperta solo la metà di un barile di petrolio nuovo. (25)

Si prevede che dal 2030 la produzione mondiale di petrolio si ridurrà della metà, mentre la domanda globale raddoppierà nel corso dello stesso periodo. Una grave carenza di energia incombe così sulla testa del mondo.

Tuttavia, questa non è tutta la storia. Ci sono altri cambiamenti in atto nel mercato mondiale del petrolio, che spiegano perché le potenze imperialiste hanno una tale fretta di ridisegnare la mappa del Medio Oriente con la forza militare.

Come mostra il diagramma sottostante, due eventi sono avvenuti in parallelo, e simultaneamente si stanno ancora verificando nel mercato mondiale del petrolio.

In primo luogo è in rapida crescita la domanda globale, combinata con una profonda contrazione della produzione mondiale di petrolio, che è di per sé un elemento sicuramente profetico di guerre per le risorse fra imperialismi emergenti.

Il secondo fattore, che non è stato discusso molto, ma che è stato chiaramente tenuto in conto dai pianificatori del “Progetto per il Nuovo Secolo Americano”, ed è stato il motivo principale per un rapido dispiegamento di forze nel Medio Oriente e nel Nord Africa da parte delle potenze imperialiste, consiste nel fatto che, dal 2008, l’OPEC è diventato il produttore dominante di petrolio al mondo, e diventerà sempre più il principale fornitore di petrolio al mondo

Produzione e consumo mondiale di petrolio

Numero annuo di barili di petrolio, dal 1960 al 2040

Fino al 2010, l’OPEC è stato responsabile per la fornitura di metà del petrolio mondiale, e si prevede che entro il 2040 la sua quota nelle forniture complessive di petrolio supererà l’80 per cento. Per di più, la parte del leone nella produzione dell’OPEC da allora sarà sostenuta dai paesi produttori di petrolio del Medio Oriente, Nord Africa e Venezuela.

Già pochi mesi prima dell’invasione dell’Iraq, l’ Observer di Londra riportava che i neocons ritenevano che il rovesciamento di Saddam Hussein e la presa del controllo del petrolio iracheno avrebbero aperto la strada al loro “secondo obiettivo”, vale a dire “la distruzione dell’ OPEC”.

(26).

E pochi mesi dopo, Newsweek dichiarava che noi ci troviamo sull’orlo di una guerra permanente contro l’OPEC per il petrolio. (27)

Uno sguardo alla lista dei membri dell’OPEC e delle loro riserve accertate di petrolio indica gli obiettivi principali di questa “guerra permanente per il petrolio” presi di mira nel passato, e che stanno per esserlo in un prossimo futuro.

Su 12 paesi membri dell’OPEC, sei – l’Arabia Saudita, l’Iran, l’Iraq, il Kuwait, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti – si trovano in Medio Oriente, con riserve accertate complessive di circa 788 miliardi di barili (70% del totale OPEC); quattro – Libia , Algeria, Nigeria ed Angola – si trovano in Africa, con riserve accertate totali di 105 miliardi di barili (meno del 10% del totale OPEC); e due -Venezuela ed Ecuador – si trovano in America Latina, con riserve accertate combinate di 217 miliardi di barili (211 miliardi barile per il solo Venezuela, che costituiscono circa il 20% del totale OPEC); per un totale di 1.110 miliardi di barili.

Prima dell’11 settembre, di questi Stati membri dell’OPEC in Medio Oriente, tutti, tranne due (Iran ed Iraq) erano già sotto il controllo diretto degli Stati Uniti; in Africa, tutti, tranne uno (la Libia), erano già direttamente controllati dagli Stati Uniti o non erano loro ostili; e in America Latina, il Venezuela era il paese che resisteva alla dominazione degli Stati Uniti.

Dopo l’11 settembre, con l’inizio della cosiddetta “guerra al terrore”, l’Iraq e la Libia sono stati aggrediti, invasi e i loro governi sono stati rovesciati; e il Venezuela è stato messo alla prova ed è stato sottoposto ad un tentato colpo di stato, sostenuto senza successo dagli Stati Uniti, contro il suo presidente democraticamente eletto e molto popolare, il compianto Hugo Chavez.

Quindi, cosa resta da fare all’imperialismo statunitense per distruggere completamente l’OPEC e garantirsi il controllo assoluto sulle forniture mondiali di petrolio, e, attraverso queste, sulle economie delle sue potenze rivali?

Schiacciare gli ultimi “deterrenti” alla totale dominazione degli Stati Uniti: l’Iran e il Venezuela. Ed è quello che al momento è messo in cantiere!

7. Prossimo obiettivo: l’Iran

Quindi, non è una sorpresa che l’Iran sia entrato nel mirino degli Stati Uniti da tanto tempo. E l’invasione dell’Iraq e l’attacco in corso contro la Siria sono solo fasi preparatorie verso una politica già conclamata di un “cambio di regime” in Iran.

In realtà, l’Iran è stato un obiettivo delle potenze imperialiste a partire dalla sua rivoluzione del 1979, che aveva rovesciato il regime fantoccio dello Scià e aveva trasformato l’Iran in una potenza regionale indipendente nel Medio Oriente.

Da allora, numerosi sono stati i tentativi da parte delle potenze imperialiste per riportare l’Iran all’ovile occidentale, il tutto senza molto successo.

Con il crescente potere dell’Iran nella regione, questo paese sta diventando sempre più un pericoloso “deterrente” per il piano di geopolitica imperialista per il “Nuovo Medio Oriente”, sia militarmente che per quanto riguarda la politica del petrolio.

Quindi, come chiaramente indicato nel documento del Progetto, “l’Iran potrebbe rivelarsi come una grande minaccia per gli interessi degli Stati Uniti nel Golfo, come lo è l’Iraq. E anche se le relazioni USA-Iran dovessero migliorare, il mantenere le forze in basi avanzate nella regione sarebbe comunque un elemento essenziale nella strategia di sicurezza degli Stati Uniti …” (vedi le citazioni di cui sopra).

E tutto questo viene ora effettuato in nome del costringere l’Iran a fermare lo sviluppo del suo programma nucleare.

Tuttavia, è evidente a chiunque conosca anche un minimo della politica USA-Israele in Medio Oriente, che l’obiettivo di entrambi gli approcci non è altro che quello di instaurare un “cambio di regime” filo-occidentale in Iran e imporre un’imperialista “pax-Americana” sull’intera regione.

Così, quando i tamburi di un attacco militare contro l’Iran stanno risuonando sempre più forte, i leader degli Stati Uniti e Israele, secondo un modello di approccio “amico/nemico”, stanno cercando di presentare all’opinione pubblica degli Stati Uniti e di Israele una alternativa apparentemente “inevitabile”, ma certamente falsa.

Mentre il “nemico” Israele sta minacciando l’Iran con modalità connaturate con lo stile Bush di “attacco preventivo”, l’amministrazione Obama, cercando di apparire come “amico”, finge di essere “contraria” ad un’azione militare unilaterale da parte di Israele, mentre costringe altri governi a prendere parte all’imposizione di sanzioni economiche devastanti contro l’Iran e il suo popolo.

In tal modo, sia l’amministrazione statunitense che il governo israeliano stanno distogliendo l’attenzione dell’opinione pubblica da diversi fatti molto significativi:

L’Iran è uno Stato non-nucleare e uno dei firmatari del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP). Viene sottoposto di continuo alla supervisione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) delle Nazioni Unite, l’organizzazione delle Nazioni Unite che deve far rispettare il Trattato TNP. L’Iran ha ripetutamente affermato che il suo programma nucleare è per scopi pacifici e non per fini militari. Non esiste alcuna prova che l’Iran stia sviluppando armi nucleari.

Lo stesso ministro della Difesa degli Stati Uniti, Leon Panetta, ha pubblicamente ammesso che “non ci sono prove che l’Iran sia in possesso di armi nucleari”.

Israele è uno Stato nucleare e un nemico dichiarato del regime iraniano, e possiede un arsenale stimato sulle 200-400 testate nucleari. Si è rifiutato di aderire al TNP. Non è sottoposto alla supervisione delle Nazioni Unite, e tanto meno al loro controllo sulle sue attività nucleari.

È Israele che ha minacciato molte volte l’Iran di attaccarlo militarmente.

Gli Stati Uniti sono uno Stato nucleare con più di 10 mila testate atomiche. Gli USA, finora, non hanno permesso alcuna ispezione dei loro impianti nucleari da parte dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA).

Gli USA sono l’unico Stato nucleare che abbia usato armi atomiche contro altri paesi (hanno fatto esplodere due bombe atomiche sul Giappone, e hanno usato armamenti potenziati con uranio in Iraq e forse anche in Afghanistan).

Le forze statunitensi dotate di armamento atomico sono attualmente di stanza nel, ed intorno al, Golfo Persico (a sud dell’Iran), in Turchia ed Iraq (ad ovest dell’Iran), e forse in Afghanistan (ad est dell’Iran).

Inoltre, anche gli Stati Uniti hanno ripetutamente minacciato l’Iran di attacco militare.

L’Iran è circondato da forze nucleari: Stati Uniti (in Afghanistan), India e Pakistan (a est); Israele, Iraq e basi statunitensi in Turchia (ad ovest); la Marina Militare degli Stati Uniti dotata di armamento atomico (a sud del Golfo Persico) e la Russia (a nord).

La maggior parte di questi paesi e di queste forze non sono ben disposti nei confronti dell’Iran. Infatti, due di essi (USA e Israele) hanno apertamente minacciato molte volte di aggredire militarmente l’Iran.

Allo stesso tempo, non dobbiamo dimenticare che gli Stati Uniti, come detta la loro strategia militare, stanno arrogandosi il diritto di usare armi nucleari contro Stati non-nucleari (come l’Iran).

Mettendo insieme tutti questi tasselli, non fa sorpresa che l’Iran sia costretto a preoccuparsi per la sua sicurezza.

Anche concesso che l’Iran si stia muovendo verso uno sviluppo di armi nucleari (evenienza sempre negata dall’Iran, e non vi è alcuna prova di ciò), cos’è che sta spingendo l’Iran in quella direzione? Non è forse il fatto di essere circondato, e apertamente minacciato, da Stati nucleari, in particolare da Stati Uniti ed Israele?

È ipocrisia assoluta che uno Stato canaglia nucleare come Israele, e una superpotenza atomica, come gli Stati Uniti, abbiano la pretesa di essere “preoccupati” per la proliferazione nucleare in Medio Oriente, e di utilizzare questo come copertura per attaccare militarmente o per imporre sanzioni economiche devastanti ad uno Stato non-nucleare e al suo popolo.

Questa ipocrisia è diventata tanto più evidente lo scorso dicembre, quando la Conferenza promossa dalle Nazioni Unite e da firmatari del Trattato di Non Proliferazione Nucleare per l’istituzione in Medio Oriente di una zona libera da armi atomiche e da armi di distruzione di massa è stata deliberatamente sabotata dagli Stati Uniti e da Israele e rinviata a tempo da destinarsi.

Anche se non sono state date spiegazioni ufficiali, ora è diventato chiaro che gli Stati Uniti hanno spinto per il rinvio della Conferenza a causa del rifiuto di Israele a partecipare.

È interessante notare che l’Iran aveva annunciato la sua volontà di partecipare, mentre le parti “preoccupate” per la “proliferazione nucleare” in Medio Oriente hanno sabotato!

Perché? Perché il problema non è il programma nucleare iraniano, e, indipendentemente da ciò che l’Iran fa, l’obiettivo resta sempre quello di forzare un cambio di regime in Iran.

L’Iran – come l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, il Venezuela e molti altri “deterrenti” alla dominazione statunitense – deve essere sottomesso e posto sotto controllo totale, sia politicamente che militarmente, se il Progetto in corso per il Nuovo Secolo Americano possa avere probabilità di successo; se le forniture mondiali di petrolio possano essere controllate dagli Stati Uniti e dai loro altri alleati imperialisti; e se le nuove basi avanzate permanenti verso la Russia e la Cina possano essere instaurate di continuo.

E tutto questo, come hanno già stabilito gli strateghi del Progetto, richiede la creazione consapevole di un “caos costruttivo” e l’accentuazione di instabilità in Medio Oriente e nel resto del mondo.

È al contesto di questa strategia assolutamente imperialista che il destino di paesi come l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, la Siria, il Mali, il Venezuela e molti altri paesi in Asia, Africa e America Latina è vincolato.

Quello a cui stiamo assistendo in Siria oggi non è altro che un altro passo verso la realizzazione di questa grande strategia imperialista per il dominio del mondo del 21° secolo.

Come un analista ha giustamente osservato: “I recenti passi di Obama sulla Siria portano ad una conclusione logica: il diretto intervento militare degli Stati Uniti. Lo scenario è ancora in fase di impostazione, in attesa che si presentino le condizioni ottimali per una missione di massicci bombardamenti USA / NATO, sullo stile Libia, per mettere fine al governo siriano.

Agli occhi di Obama, il disastro risultante varrà la confusione, dal momento che un regime non conforme agli USA verrà rovesciato, liberando così la strada al Piano progettato da tanto tempo di schiacciare l’Iran.” (28)

8. Perché il Movimento per la Pace è muto di fronte a questi impudenti intrighi ed atrocità?

Considerati tutti questi fatti, non ci resta altra scelta che essere profondamente preoccupati per la mancanza di indignazione e l’insufficiente mobilitazione di massa da parte del Movimento per la Pace, sia negli Stati Uniti che nel mondo intero.

È vero, abbiamo rilasciato numerose dichiarazioni, abbiamo firmato tante petizioni, abbiamo partecipato a diverse marce e manifestazioni di protesta, e perfino abbiamo fatto ricorso a tattiche di disobbedienza civile. E certamente nessuno può sminuire le dimostrazioni globali forti di milioni di partecipanti prima dell’invasione statunitense dell’Iraq.

Ma, come tutti sappiamo, nulla di tutto questo è riuscito a bloccare le guerre imperialiste, le invasioni, le occupazioni, i tentativi di colpo di stato, gli omicidi politici e altri simili atti criminali.

È giunto ora il tempo che il Movimento per la Pace faccia l’inventario delle sue attività passate, analizzi i suoi punti deboli, e sviluppi una strategia efficace per prevenire tutte queste atrocità e i crimini contro l’umanità.

Valutiamo le nostre debolezze.

Il movimento per la pace, sia negli Stati Uniti che a livello globale, è decisamente frammentato.

Dal punto di vista organizzativo, ci è mancata una leadership coordinata in grado di produrre una risposta tempestiva ed efficace, nazionale e globale.

Inoltre, noi ci siamo frammentati anche politicamente. Differenti settori del movimento hanno delineato le loro priorità separatamente, e per lo più stanno agendo come movimenti interessati a specifici problemi, senza riconoscere i legami organici che esistono tra le varie questioni per cui stanno lottando.

Uno è in lotta per i salari e i diritti dei lavoratori, l’altro per i diritti degli immigrati, il terzo per l’ambiente, il quarto per la pace, il quinto per i diritti civili, e così via. Così, quando il movimento per i diritti degli immigrati organizza una protesta, gli altri movimenti rimangono tranquilli, o quando gli ambientalisti entrano in azione il movimento in favore degli immigrati resta in silenzio.

Risulta evidente che tale approccio orientato monotematicamente, a scapito di un approccio sistemico, non renderà possibile per nessuno di noi essere presente ovunque.

Quasi tutti noi siamo, in un modo o nell’altro, le vittime della propaganda del governo e dei media delle grandi corporazioni.

Sono il governo e i media delle multinazionali che definiscono per noi chi è un “terrorista”, chi è un “dittatore”, chi è il “nemico” numero uno e chi deve essere attaccato immediatamente.

Le tattiche di demonizzazione messe in atto dai governi e dai media hanno sedato il movimento proprio nei momenti più critici: Castro, Chavez, Arafat, Noriega, Saddam Hussein, Gheddafi, Ahmadinejad, oggi Assad, e la lista continua.

Tutti questi leader non sono altrettanti demoni, nemmeno tutti sono democratici amanti della libertà. Questo è il punto. Essi vengono demonizzati, non perché gli Stati Uniti e altre potenze imperialiste sono preoccupati per la “democrazia” e i “diritti umani”, ma perché, ciascuno con le proprie motivazioni, si sono messi contro i piani imperialisti o si stanno frapponendo come ostacolo per i piani imperialisti.

Giusto adesso, questa demonizzazione è stata così efficace che ha paralizzato il movimento di fronte all’intervento palesemente imperialista contro la Siria.

Probabilmente, un progetto simile è in corso proprio ora in Venezuela, per impedire che il vice presidente Nicolas Maduro possa essere eletto presidente, o per demonizzarlo se non si riesce a fermare la sua elezione. [N.d.tr.: Maduro è stato eletto con percentuale non travolgente, e l’azione di demonizzazione ha avuto il suo inizio, imputandogli immediatamente brogli elettorali.]

Probabilmente la debolezza più rilevante è la difficoltà di comprendere la natura dell’imperialismo. Esiste una tendenza generale nel movimento a guardare a questi crimini e atrocità come conseguenze o di cattive politiche o di leadership incompetenti.

Questo è il motivo per cui si tende ad addossare ad individui come Bush e Cheney le colpe per l’invasione dell’Iraq, o ad Obama l’aggressione della NATO contro la Libia e l’espansione di attacchi con droni contro il Pakistan, lo Yemen e altri paesi.

Questo è un approccio del tutto fuorviante, perché vincola le aspettative e gli sforzi del movimento al cambiamento della politica e di leadership (soprattutto attraverso il processo elettorale).

Questo percorso è stato tentato più e più volte per decenni, senza alcun risultato.

Il centro della questione sta nel fatto che l’imperialismo non è né il risultato di politiche “sbagliate”, né di cattiva leadership. L’imperialismo è la vera essenza dell’attuale sistema di capitalismo globale e fino a quando il movimento non sarà in grado di afferrare questo fatto innegabile, non sarà in grado di fermare il sistema capitalista.

Capire questo è la chiave per comprendere che esiste un filo conduttore che collega tutti i problemi per cui il movimento si deve battere, quindi è necessario sviluppare una strategia efficace per il successo.

Prevenire un’altra catastrofica eruzione del militarismo degli Stati Uniti dipende dalla mobilitazione di massa del Movimento per la Pace contro la causa profonda della guerra e delle ingiustizie in tutto il mondo: l’agenda imperialista per il mondo del 21° secolo.

Sul versante positivo, stiamo assistendo a sollevazioni di massa da parte dei popoli oppressi del mondo contro questa agenda imperialista. Questo è esattamente il motivo per cui la “guerra globale al terrore” è stato dichiarata. La strategia è quella di etichettare ogni resistenza all’agenda imperialista come un “movimento terrorista” e schiacciarlo con la forza militare, mentre il Movimento per la Pace si auto-paralizza per il timore di essere identificato come sostenitore di “terroristi” e di “tiranni”.

Ma, come abbiamo ben visto, i veri terroristi e tiranni sono gli stessi imperialisti.

Quello che ci serve è un Movimento per la Pace e la Giustizia che agisca in modo coordinato, non solo in risposta ai crimini imperialisti, non solo come forza reattiva che protesta solo dopo il corso degli avvenimenti, ma un Movimento per la Pace che sia intraprendente, in grado di assumere misure preventive piuttosto che ricercare rimedi.

Dobbiamo sostituire la politica imperialista di “attacchi militari preventivi” con la politica del movimento per la pace, di “attacchi per la pace preventivi”.

Dobbiamo rispondere alle guerre e alle invasioni, non solo dopo che sono avvenute, ma anche ai preparativi seppur minimi che sono in corso per guerre ed interventi, prima che questi accadano.

Abbiamo bisogno di una politica di pace preventiva, se vogliamo salvare l’umanità dalla distruzione totale.

Note:

(1) Jason Ditz, “Definition of ‘Non-Lethal Support’ Being Broadened – La definizione di ‘aiuto non-letale’ deve essere allargata”, 26 febbraio 2013.

(2) 25 febbraio 2013.
(3) Francois-Alexandre Roy, “Regime Change in Syria: A True Story – Il cambiamento di regime in Siria: una storia vera,” Asia Times, 6 luglio 2012.
(4) Ben Schreiner, “Washington’s Strategic Policy Shift on Syria: Edging Closer to Direct Military Intervention? – Il cambiamento della politica strategica di Washington nei confronti della Siria: un lento e più serrato avvicinamento verso un diretto intervento militare?

Global Research, 28 febbraio 2013.

(5) 21 giugno 2012.

(6) Bill Van Auken, “Washington Escalates Syrian Bloodbath – Washington provoca il bagno di sangue siriano,” Global Research, 1 marzo 2013.

(7) CBC Radio, Canada, 18 febbraio 2013.

(8) Finian Cunningham “West Moves in for Syrian Endgame and War on Iran – L’Occidente si avvia verso la soluzione finale in Siria e verso il conflitto con l’Iran,” Information Clearing House, 6 dicembre 2012.

(9) Noureddine Merdaci, “Road Map Drawn Up by Syrian Traitors to Serve Imperialists, Gulf Monarchies – La nuova mappa della regione elaborata da traditori siriani al servizio degli imperialisti, e delle monarchie del Golfo,” Information Clearing House, 11 dicembre 2012.

(10) Francois-Alexandre Roy, “Regime Change in Syria: A True Story – Il cambiamento di regime in Siria: una storia vera,” Asia Times, 6 luglio 2012.

(11) Ibid.

(12)Michael R. Gordon, “U.S. Steps Up Aid to Syrian Opposition, Pledging $60 Million – Gli USA incrementano gli aiuti all’opposizione siriana, impegnando 60 milioni di dollari $,”

New York Times, 28 febbraio 2013.

(13) Neil MacFarouhar e Michael R. Gordon, “As Fighting Rages, Clinton Seeks New Syrian Opposition – Nell’infuriare della lotta, la Clinton è alla ricerca di una nuova opposizione siriana,” New York Times, 31 ottobre 2012.

(14) Shamus Cooke, “Obama’s Agenda: Direct Military Intervention and the Relentless Destruction of Syria as a Nation State – L’agenda di Obama: un intervento militare diretto e l’inesorabile distruzione della Siria come Stato Nazione,” Global Research, 2 marzo 2013.

(15) Bill Van Auken, “Washington Escalates Syrian Bloodbath, – Washington provoca il bagno di sangue siriano,” Global Research, 1 marzo 2013.

(16) Shamus Cooke, op. cit.

(17) Aljazeera web site, 15 febbraio 2012.

(18) Patrick Ventrell, dichiarazione di un facente funzione di portavoce, conferenza stampa giornaliera presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Washington, DC, 27 febbraio, 2013. (19) Shamus Cooke, op. cit.

(20) Bill Van Auken, op. Cit.

(21) Noureddine Merdaci, “Road Map Drawn Up by Syrian Traitors to Serve Imperialists, Gulf Monarchies – La nuova mappa della regione elaborata da traditori siriani al servizio degli imperialisti, e delle monarchie del Golfo” Information Clearing House, 11 dicembre 2012.

(22) http://www.newamericancentury.org/statementofprinciples.htm

(23) Il testo completo del documento, che comprende proposte dettagliate per la ristrutturazione e ridislocamento delle forze militari statunitensi in tutto il mondo, può essere trovato a:

http://www.newamericancentury.org/publicationsreports.htm.

(24)Mahdi Darius Nazemoroaya, “Plans for Redrawing the Middle East: The Project for a “New Middle East – Piani per ridisegnare il Medio Oriente: il Progetto per un ‘Nuovo Medio Oriente’,” Global Research, 18 novembre 2006 (ripubblicato 27 gennaio 2013).

“Nota dell’autore: La seguente mappa è stata progettata dal Tenente Colonnello Ralph Peters, un colonnello a riposo dell’Accademia Nazionale di Guerra degli Stati Uniti. (Map Copyright Lieutenant-Colonel Ralph Peters 2006). Sebbene la mappa non rifletta ufficialmente la dottrina del Pentagono, è stata usata nel programma di addestramento rivolto agli ufficiali superiori presso il Collegio di Difesa della NATO. Questa mappa, così come altre mappe consimili, sono state usate sicuramente all’Accademia Nazionale di Guerra e nei centri della pianificazione militare.”

(25) Newsweek, 30 settembre 2002.

(26) LondonObserver, 3 novembre 2002

(27) Ibid.

(28) Shamus Cooke, op. cit.

http://uspeacecouncil.org/?p=2266

U.S. Peace Council — 20 marzo 2013

Lo U.S. Peace Council è un’organizzazione attivista fondata alla fine degli anni 1970.

La decisione della NATO di dispiegare una nuova generazione di testate nucleari strategiche in Europa e il programma di riarmo militare pianificato dal presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan avevano segnato la fine della distensione, un ritorno alle accresciute tensioni della Guerra Fredda, e avevano rinnovato i timori di una guerra nucleare.

Al riguardo, lo U.S. Peace Council tenne tre giorni di incontri organizzativi presso la Georgetown University di Washington, DC, cui partecipavano circa 300 persone da trentatre Stati, Gran Bretagna e Unione Sovietica compresa.

Più tardi è stato uno dei tanti gruppi che hanno organizzato nel giugno 1982 una enorme protesta per la pace a New York City.

Tuttavia, Edward J. O’Malley, assistente direttore del controspionaggio dell’FBI ha denunciato che agenti del KGB erano stati istruiti “a dedicare la loro più scrupolosa attenzione al movimento contro la guerra negli Stati Uniti”, e di essersi infiltrati nel Council.

articolo segnalato da tlaxcala@googlegroups.com

(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

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