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L’emergenza casa a Pavia: alcune riflessioni

Durante il corteo del 25 aprile lo spezzone antifascista delle lotte sociali ha visto anche la partecipazione dell’assemblea per il diritto alla casa, che al termine della manifestazione ha organizzato una festa popolare nel quartiere di San Pietro. Per l’occasione è stato pubblicato un opuscolo sull’emergenza casa a Pavia. Di seguito alcune ulteriori riflessioni sulla questione.

Gli sfratti

Nel corso del 2012 nella provincia di Pavia sono stati eseguiti 2000 sfratti. La maggior parte dei casi (99%) riguarda situazioni di morosità incolpevole: centinaia di persone hanno perso il lavoro dall’inizio della crisi economica e non sono riuscite a pagare l’affitto. La correlazione con la crisi iniziata nel 2007 è evidente se si guarda alla dinamica storica: gli sfratti in tutta la Lombardia sono passati dai 4666 del 2005 ai 12511 del 2010. Non esistono ancora statistiche relative agli ultimi due anni, ma è ragionevole attendersi un’ulteriore aumento, dato che nella sola città di Pavia gli sfratti eseguiti sono stati 84 nel 2011 e 183 nei primi sei mesi del 2012. Gli sfratti convalidati nel 2012 sono stati 559, nei primi tre mesi del 2013 sono aumentati del 30% (181); le ordinanze di sfratto emesse, 485 nel 2012, sono state 115 nel primo trimestre del nuovo anno.
Da un punto di vista giuridico, un inquilino moroso, benché incolpevole, non ha nessuna forma di tutela. La forza della legge sta dalla parte della proprietà privata: quando portato davanti al giudice, l’inquilino viene sistematicamente ingiunto al pagamento delle mensilità di affitto arretrate e alla restituzione della casa al proprietario. Al massimo, il giudice può concedere all’inquilino un margine di tempo in cui saldare il debito oppure organizzarsi per provvedere all’abbandono dei locali. Questo “termine di grazia”, lasciato all’arbitrio del giudice, fino a pochi mesi fa veniva pressoché sempre accordato dai magistrati del tribunale di Pavia. Recentemente si è persa questa consuetudine, con la motivazione che solo una piccola minoranza dei graziati riusciva a ripagare parte del dovuto.

L’ALER

In linea teorica, le persone e le famiglie impossibilitate a pagare un affitto ai prezzi di mercato potrebbero avere accesso agli appartamenti di edilizia residenziale pubblica (ERP) forniti dall’ALER (Azienda Lombarda Edilizia Residenziale, ente pubblico economico) o dal comune. L’ALER ha in gestione un patrimonio di oltre 2000 appartamenti, dei quali centinaia risultano sfitti: circa 200 sono inagibili, altri non sono stati assegnati dopo le ristrutturazioni effettuate o dopo il trasloco o la morte del precedente inquilino.

Molto spesso a rappresentare un problema per gli inquilini non è il canone d’affitto, ma il contributo per le spese: se per pagare il primo occorrono tra i 30 e i 150 euro, le spese (riscaldamento, manutenzione, etc) arrivano anche a qualche centinaio di euro al mese, non vengono giustificate in modo dettagliato, spesso gli inquilini non trovano riscontro nei lavori di manutenzione effettuati, accadono stranezze come la stessa cadenza annuale per taluni interventi di manutenzione, come se le caldaie si rompessero sempre lo stesso giorno dell’anno, ogni anno. Di fatto risulta un quadro nel quale le spese complessive, tra affitto e manutenzione, affrontate dagli inquilini sono quasi comparabili con quelle che affronterebbero rivolgendosi al libero mercato.

Al momento, circa un terzo degli assegnatari risulta essere in arretrato con i pagamenti. Chi si trovava senza lavoro già prima dell’inizio della crisi economica è stato travolto anche dal dramma abitativo: nel 2011 l’ALER ha sfrattato una dozzina di nuclei familiari; questo numero è raddoppiato nel 2012. Particolarmente significativo è il caso di Giuseppe Ongaro, inquilino ALER al Colombarone: ufficiale giudiziario e avvocato dell’ALER si sono presentati a casa sua per eseguire uno sfratto dovuto a un arretrato di circa 3600 euro ed egli si è suicidato buttandosi nel vuoto dal quarto piano. Il direttore generale dell’ALER Pavia, Mercuri, sostiene che l’ALER non effettua sfratti, e che comunque, essendo un ente economico, debba tenere in ordine i conti. Lo fa sfrattando gli inquilini morosi e lasciando gli appartamenti sfitti.
Dietro ai mancati pagamenti degli inquilini la dirigenza ALER nasconde le sue negligenze in merito ai lavori di manutenzione. Basta osservare i palazzi di ERP per rendersene conto: degrado e abbandono. Numerosi appartamenti assegnati a inquilini non sarebbero assolutamente agibili da un punto di vista igienico sanitario: paurose infiltrazioni d’acqua causano umidità e la comparsa di muffe sulle pareti, enormi crepe nei muri, etc. Benché segnalate dagli inquilini queste situazioni non vengono affrontate con la scusa dell’assenza di fondi. Anche le domande di trasferimento in appartamenti più idonei presentate dagli inquilini vengono sistematicamente ignorate: recentemente è balzato agli onori della cronaca, per la morte di una bimba, il caso di una famiglia, composta da genitori e quattro bambine tra i sei mesi e i cinque anni, costretta negli angusti spazi di un appartamento di 20 metri quadri in viale Indipendenza, in barba alla domanda di trasferimento.

Come cerca l’ALER dunque di sopperire alla cronica carenza di fondi? Un primo strumento sono le alienazioni. Queste avvengono in due modi: con la vendita diretta agli inquilini degli appartamenti, oppure tramite asta pubblica. In tal modo l’ALER ha fatto cassa, alienando sul mercato alcune case di sua proprietà, “svendendole” a metà del prezzo corrente di mercato.
Un secondo strumento per aumentare gli introiti sono i contratti in forma privata. Con questo strumento l’ALER assegna a famiglie in difficoltà economiche degli appartamenti, senza passare attraverso bandi e graduatorie. Si tratta di scritture private capestro, con oneri, tra canone d’affitto e spese varie, che superano quelle sul mercato, per case spesso in cattive condizioni. Firmando questo contratto, l’inquilino rinuncia al diritto a partecipare ai bandi di assegnazione normali, anche se ne avrebbe diritto. In questo modo l’ALER, fingendo di voler aiutare chi è in difficoltà, spreme dei lavoratori per il proprio tornaconto: in assenza di alternative l’inquilino è costretto ad accettare il “favore” dell’ALER.
Tra le spese che l’ALER potrebbe tagliare, ma che si guarda bene dal fare, ci sono i costi di gestione, che includono gli stipendi per il presidente (2000 euro al mese) e per i consiglieri di amministrazione (1200), tutti di nomina politica. Inoltre, solo le retribuzioni dei quattro dirigenti tecnici dell’azienda pesano sul bilancio per quasi 500 mila euro all’anno: dai 12mila euro al mese del direttore Mercuri agli 8-10mila dei responsabili d’area.
L’ex presidente dell’ALER provinciale, Zecca (in quota Lega Nord), è stato recentemente condannato in primo grado a un anno e dieci mesi per abuso d’ufficio e falso ideologico: pur avendo un domicilio a Pavia pare si facesse rimborsare le spese per mai effettuati viaggi quotidiani in auto da Bergamo, dove è residente, all’ufficio ALER di via Parodi.
Un altro scandalo riguarda l’ex assessore alla casa della giunta regionale di Formigoni, Zambetti, per il quale è stato recentemente chiesto dal Gip di Milano il giudizio immediato per concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione e voto di scambio. L’assessore, in cambio dei voti della Ndrangheta, avrebbe pagato 200mila euro in contanti e garantito assunzioni, appalti e assegnazioni di alloggi popolari a esponenti della criminalità organizzata.

Il Comune di Pavia

Le domande per un aiuto allo sportello casa del comune sono state 890 nel 2012. I fondi a disposizione del comune per erogare contributi per l’affitto, però, sono stati ridotti a un terzo di quelli disponibili nel 2011, con il risultato che su quasi 900 domande, solo quelle di 140 famiglie sono state accolte, a differenza delle 700 dell’anno prima. Si tratta di casi quasi disperati: nuclei familiari con un ISEE inferiore a 3500 €, che hanno ricevuto un bonus per l’affitto fino a un massimo di 1200 € a famiglia. Questo contributo, in realtà, non è null’altro che un finanziamento pubblico ai padroni di casa: il bonus viene infatti girato dall’inquilino al proprietario o erogato direttamente dal comune al proprietario.
Esistono case comunali a canone moderato, ma spesso rimangono vuote perché la somma tra affitto e spese risultano persino più elevate di quelle che si riescono a spuntare sul mercato immobiliare.

Tutte le famiglie che si sono rivolte allo sportello dell’assemblea per il diritto alla casa sono passate, in precedenza, all’ufficio casa del comune o ai servizi sociali. A chi non si arrende dopo il continuo gioco al rimpallo tra un ufficio e l’altro vengono prospettate ipotesi quali: la casa comunità di via San Carlo, riservata alle madri con bambini (e quindi off limits per i padri, con il risultato di disgregare le famiglie); i dormitori comunali, cui si viene indirizzati benché sia notorio il fatto che sono perennemente pieni; strutture caritatevoli cattoliche come la Casa del Giovane o la Caritas, che possono offrire un posto letto temporaneo oppure un prestito. Il comune di Pavia si è recentemente rivolto alle 24 parrocchie cittadine, piangendo per le sue casse vuote e confidando nell’elemosina del buon cristiano, perché “adottino” ciascuna una famiglia e si facciano carico della sua abitazione per un anno.
In tutto questo il comune ha chiuso e murato il centro di accoglienza, di sua proprietà, di Fossarmato; ha ristrutturato con fondi regionali alcuni appartamenti comunali, per poi lasciarli vuoti, forse in vista di alienazioni; ha sgomberato con l’intervento della forza pubblica chi ha cercato soluzioni di fortuna insediandosi in stabili o fabbricati abbandonati, senza peraltro fornire alternative. Questi sgomberi “al buio” sono stati effettuati ripetutamente, e l’assessore Galandra li ha rivendicati politicamente sostenendo di fornire in questo modo di fornire un determinante contributo alla sicurezza della città.
Qualche soluzione è stata trovata giusto per chi, in difficoltà, si è rivolto al comune attraverso reti clientelari. Ma i tagli dei fondi disponibili per le politiche sociali degli enti locali hanno parallelamente sfoltito anche le clientele dei vari esponenti dei partiti presenti in consiglio comunale. L’assessore alle politiche sociali e alla famiglia, il cattolicissimo Assanelli, a chi bussa alla sua porta non può fare altro che dire, da dietro una finestra: “Arrangiati!”, oppure suggerire di trasferirsi in un altro comune, e ribadire che l’assessore riceve le famiglie al massimo una volta l’anno. Il suo operato, poi, genera l’effetto, curioso per un ciellino sostenitore della famiglia cattolica, di incentivare la separazione dei nuclei familiari.
Lo scaricabarile tra un assessorato e l’altro, e tra comune, ALER e regione, insieme all’appalto indiretto dei servizi sociali comunali alle pratiche caritatevoli delle organizzazioni cattoliche hanno determinato l’inazione delle istituzioni. In questo contesto si è venuta a creare una emergenza abitativa impossibile da tamponare con soluzioni una tantum caso per caso.
Persino il comune, quantomeno a parole, ha iniziato a considerare negli ultimi tempi l’ipotesi di una moratoria degli sfratti. Non si tratta tuttavia dell’accettazione della proposta avanzata dall’assemblea per il diritto alla casa già ad agosto 2012, ma dell’ennesima presa in giro: assessore, sindaco e prefetto cercano di concordare con gli ufficiali giudiziari dei rinvii degli sfratti fino…al termine delle scuole! Come se, una volta che i bambini hanno finito di andare a lezione, i loro genitori non avessero più il problema di un tetto sopra la testa; come se le famiglie senza figli in età scolare non fossero neanche degne di un rinvio. Recentemente si è fatta strada anche l’ipotesi che, almeno per chi è in lista d’attesa per le case popolari, la proroga dello sfratto venga estesa fino a settembre, allorquando l’assessore Greco pensa di poter ultimare le ristrutturazioni di alcune abitazioni ERP. Noi ci crediamo poco…

I sindacati

Il sindacato si è da tempo ridotto a terza parte nella gestione dell’emergenza abitativa. Non si batte per la difesa dell’inquilino, ma per tamponare assieme al comune le situazioni arrivate all’estremo. Questa modalità di gestione conduce, in alcuni casi, a qualche “soluzione”: viene trovata una sistemazione temporanea per qualcuno. Tuttavia, questa modalità d’azione implica la rinuncia al ruolo di sostegno alle battaglie per il diritto alla casa. Significa gestire in maniera difensiva e accomodante tanti casi rispetto ai quali una presa di posizione forte verso ALER, comune e immobiliaristi porterebbe a dei passi in avanti. I funzionari sindacali sono invece troppo impegnati a non rovinare i rapporti con gli uffici del comune con cui si scambiano favori. Infatti, nel tavolo di gestione della morosità, in cui siedono con comune e ALER, i sindacati si ritrovano con il cappello in mano a chiedere un posto di fortuna in qualche dormitorio. Sicet-CISL e Sunia-CGIL fingono semplicemente di alzare la voce, attraverso interviste rilasciate ai giornali locali o“presidi” in prefettura composti da nemmeno una decina di persone, per dire “no agli sfratti”, senza proporre una soluzione alternativa. Attraverso questa pratica, che include la denigrazione dell’assemblea per il diritto alla casa e le pratiche da essa adottate, ottengono il duplice risultato di accreditarsi come interlocutori istituzionali e di spuntare accordi, sempre e rigorosamente al ribasso per gli inquilini. Sicet e Sunia sono parte del problema.

I privati

A partire dagli anni ’70 Pavia ha perso quasi ventimila abitanti, passando dagli 86mila del 1971 ai 68mila di oggi. Il calo sarebbe ancora più vistoso se non venissero computati gli oltre 7mila migranti oggi residenti in città. Ciononostante, nel corso di questi quarant’anni è continuato il consumo di territorio, specialmente di recente, ossia dall’adozione del PRG Gregotti. Il risultato conseguito: tra le 4mila e le 5mila case sfitte in città. Di queste, dato il calo (-20% annuo) delle compravendite immobiliari a partire dall’inizio della crisi economica, circa un migliaio sono nuovissime, appena costruite.

Fino a qui, dati quantitativi. Ma occorre anche guardare alla composizione della popolazione: dei 37mila nuclei familiari pavesi, infatti, quasi la metà sono composti da una sola persona, molte delle quali sono anziani. Altri dati da tenere in conto sono i flussi di migrazione interna: nel corso degli ultimi anni numerosissimi abitanti si sono spostati dal capoluogo verso i paesi limitrofi, spesso alla ricerca di un mercato immobiliare più abbordabile, così come si è assistito ad un analogo fenomeno in ingresso da Milano. Suburbanizzazione da un lato, pendolarismo verso la metropoli dall’altro: due fenomeni paralleli che hanno contribuito a ridisegnare il volto della città, ma accomunati dall’espulsione di strati sociali dalle rispettive aree di precedente insediamento.
Ovviamente, in una città con 25mila iscritti alla locale università, non si può prescindere da un brevissimo ragionamento sul ruolo degli studenti fuori sede. Pare che l’università incida sul PIL cittadino per il 10% circa, buona parte del quale è generato dagli affitti che quegli studenti che non risiedono nei collegi universitari versano mensilmente ai loro padroni di casa, e che questi ultimi reimmettono in buona parte in circolo nell’economia cittadina attraverso i loro consumi. Tra le case affittate agli studenti ci sono, presumibilmente, alcune tra le case ufficialmente conteggiate come sfitte, ma in realtà, vuoi per evadere il fisco, vuoi per inagibilità dei locali (specie nel centro storico), affittate in nero.
La sete di profitto di alcuni grandi affittacamere, unita alla disponibilità economica di molti studenti figli della buona borghesia lombarda (e abituati ai prezzi immobiliari di Milano) hanno contribuito ad un innalzamento dei prezzi delle stanze per gli studenti. Ciò ha contribuito a escludere da alcune fasce di mercato numerose famiglie di lavoratori. A questo processo si è accompagnata la gentrification del centro storico, con la riqualificazione di molte case antiche cadenti, e del quartiere, storicamente popolare, di Borgo Ticino. Professionisti, professori, medici e altre figure con disponibilità di capitali hanno acquistato appartamenti in queste zone, contribuendo alla contemporanea espulsione dei ceti popolari.
È stato infatti il mercato delle case di lusso, oltre a quello rivolto agli studenti, a trainare l’ultimo boom edilizio. Lo testimoniano i cinema cittadini, trasformati in appartamenti in vendita a 5mila euro al metro quadro. La speculazione ha preso il sopravvento, anche grazie all’afflusso di capitali mafiosi riciclati. Ciò ha condotto anche al più esplicito abusivismo edilizio, come nei casi di Punta Est e Green Campus, dove su aree destinate a servizi universitari, dunque al massimo appartamenti da affittare a prezzi agevolati agli studenti, sono sorte palazzine con appartamenti venduti sul libero mercato.

La speculazione edilizia è pratica così diffusa in città che persino Policlinico San Matteo e Università, in qualità di proprietari, rispettivamente, di vaste aree agricole e di edifici centralissimi, hanno battuto cassa in Comune, chiedendo che nel PGT in corso di approvazione venissero modificate le destinazioni d’uso delle loro proprietà, allo scopo di realizzare delle vere e proprie speculazioni edilizie in grado di rimpinguare i bilanci in affanno. Il sistema dei partiti, detenendo la bacchetta magica della variazione di destinazione d’uso, garantisce profitti milionari ad amici e amici degli amici, magari in cambio di qualche briciola. Si tratta di un meccanismo ben oliato, saltato, forse, solo con l’esplosione della crisi, che, in una città già deindustrializzata come Pavia, ha colpito il business del mattone. La ridefinizione della destinazione d’uso ha ovviamente anche implicazioni di carattere sociale.

A monte, perché attraverso quella che è già stata definita “finanziarizzazione dei rom”, aree industriali dismesse, già oggetto di insediamenti abusivi di gruppi sociali espulsi dal mercato abitativo (rom, senzatetto, etc.) diventano oggetto di una vera e propria “emergenza”creata ad arte da istituzioni e media, per risolvere la quale i grandi padroni che hanno colpevolmente e volontariamente lasciato gli stabili in stato di abbandono possono richiedere a gran voce la conversione dell’area, in vista di una cosiddetta “riqualificazione”. Anche a valle la variazione di destinazione d’uso incide, influendo sulla dinamica delle classi sociali, vale a dire determinando in quali zone si devono insediare determinati soggetti sociali, e in quali altri; determinando di quali servizi queste i vari quartieri devono essere dotati e di quali privi; praticando, detto in estrema sintesi, una ghettizzazione dei ceti subalterni.

L’assemblea per il diritto alla casa

L’assemblea cittadina per il diritto alla casa è nata sulla base della centralità della lotta per la riappropriazione di reddito e contro il capitale finanziario, ossia, a Pavia, immobiliare speculativo. L’assemblea ha potuto poggiarsi sul patrimonio di esperienze pregresse; in primis quella dell’occupazione, insieme a una famiglia, nell’estate 2010, di un appartamento a Gambolò Remondò, che ha portato al conseguimento dell’obiettivo di trovare un tetto a una famiglia sotto sfratto. Secondariamente, la battaglia per uno studentato occupato condotta dal collettivo universitario durante il ciclo di lotte contro la riforma Gelmini: lo stabile universitario dismesso è stato sgomberato con la forza dal rettore nel febbraio 2011, non senza resistenza da parte degli studenti, che hanno trascorso 2 giorni sul tetto dell’edificio. 57 studenti hanno dovuto contrastare la macchina repressiva, affrontando un processo per occupazione conclusosi con 56 assoluzioni e una condanna per manifestazione non autorizzata.

Dopo un lavoro di analisi iniziale della questione abitativa, l’assemblea ha iniziato un percorso di costante presenza nei quartieri popolari della città, fatta di volantinaggi porta a porta e nei mercati rionali, presidi, dibattiti pubblici, monitoraggi delle case sfitte e delle condizioni degli immobili di proprietà dell’ALER.
Da questa presenza sul territorio è nato l’incontro con decine di famiglie, che si sono messe in contatto con l’assemblea tramite lo sportello antisfratto, a cadenza settimanale, e hanno iniziato a confrontarsi per provare a risolvere l’emergenza abitativa insieme e non, come vorrebbero speculatori e istituzioni, soli e isolati. Lo sportello fornisce ascolto, consulenza legale, un supporto nell’affrontare i vari passaggi burocratici e non che conducono allo sfratto.

Le soluzioni concrete agli sfratti fino ad ora individuate puntano sulla solidarietà reciproca: picchetti davanti alle case degli sfrattandi per impedire a padrone di casa, ufficiale giudiziario e polizia di buttare la famiglia in mezzo alla strada; organizzazione di banchi alimentari presso supermercati, con ripartizione dei viveri tra le famiglie sotto sfratto. Il richiamo ideale è allo strumento del mutuo soccorso, così come elaborato e messo in pratica dalle prime organizzazioni operaie a metà ottocento.

Ovviamente è stato affrontato dall’assemblea anche un piano strategico di rivendicazioni generali: essenzialmente si propongono una moratoria degli sfratti e l’assegnazione immediata di tutte le case di edilizia pubblica sfitte. Questa rivendicazione è stata portata avanti sia nei confronti dell’ALER che nei confronti del comune, specie con l’occupazione del consiglio comunale avvenuta nello scorso autunno, dopo l’esecuzione dell’ennesimo sfratto. Più che interrompere la discussione del consiglio o montare provocatoriamente una tenda al centro della sala consiliare, l’occasione è stata sfruttata per dare visibilità alla lettera aperta alla città, elaborata già in agosto, e nella quale sono sostenute le proposte della moratoria e delle assegnazioni.
Nel corso dei mesi di attività c’è stato un considerevole aumento della partecipazione: chi contatta l’assemblea ha deciso di vincere quel senso di vergogna che la società impone, di uscire dall’isolamento e di affrontare collettivamente il problema dello sfratto. Si rivolgono allo sportello anche molti cittadini che non hanno uno sfratto imminente ma sono stufi di dover aspettare anni in lista d’attesa per l’assegnazione della casa popolare cui hanno diritto.

In questa fase, l’assemblea per il diritto alla casa sta concentrando i suoi sforzi verso due obiettivi. Il primo è il blocco degli sfratti: mentre viene portata avanti la campagna per la moratoria, continuano i picchetti. Il secondo è l’assegnazione di tutte le case sfitte fino alla soluzione dell’emergenza abitativa, attraverso l’autorecupero degli appartamenti sfitti attualmente inagibili. Il raggiungimento di questo obiettivo non può né escludere né prescindere dall’occupazione di appartamenti vuoti. Per raggiungere questi primi (e parziali) risultati occorre estendere la solidarietà e organizzare la presenza nei quartieri popolari.

da movimentopavia.org

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