INTRODUZIONE
Dinanzi ad un quadro che vede le realtà politiche e sociali della sinistra di classe in preda a una vera e propria diaspora che rispecchia pienamente la situazione di estrema frammentazione dei comunisti a livello nazionale e locale, abbiamo sentito la necessità di proporre un percorso che riuscisse innanzitutto a riprendere i contatti con tutti quei compagni che hanno “preferito” un lungo periodo di inattività.
I primi incontri hanno cercato di fare chiarezza sugli obiettivi che si vogliono dare a questo percorso, precisando dall’inizio che l’intenzione non è quella di creare un “circolo di intellettuali” che si diletta discutendo di questioni internazionali, né di creare un gruppo di compagni che si occupi di organizzare scadenze di movimento o semplici appuntamenti territoriali. Purtroppo o per fortuna, l’obiettivo è tutt’altro e per certi aspetti molto più difficile.
La scelta del termine “flegreo” deriva esclusivamente dalla composizione di tutti quei compagni impegnati in questa riflessione, e dal fatto che negli ultimissimi anni il collettivo Iskra è riuscito, pur con difficoltà dovute alla composizione esclusivamente giovanile, a riproporre, soprattutto a Bagnoli, iniziative pubbliche: momenti di aggregazione, di agitazione e di lotta che da tempo erano totalmente scomparsi.
Questo laboratorio politico nasce sul territorio flegreo, ma con il tentativo di avere un respiro molto più ampio.
ALCUNI SPUNTI DI RIFLESSIONE
Misurarsi su un piano politico e teorico su come i comunisti si debbano organizzare in un contesto storico come l’attuale è sicuramente un compito di estrema difficoltà.
Crediamo necessario un percorso analitico e teorico, che tenga conto dei profondi mutamenti avuti, primo tra tutti quello relativo all’identità e alla composizione della classe operaia, soprattutto in un momento in cui si concretizza più che mai la dimensione internazionale della classe lavoratrice, come conseguenza della mondializzazione del ciclo di produzione capitalistico.
In un contesto storico ed internazionale del tutto diverso, e dopo decenni di sconfitte e arretramenti, l’irrompere della crisi e la conseguente ripresa in tutto il continente di lotte e mobilitazioni significative rende sempre più urgente e attuale il tema della ricostruzione di un’organizzazione di classe adeguata ai compiti attuali e alle sfide del capitalismo odierno. Organizzazione intesa però non come l’ennesima nuova sigla da affiancare al già sterminato elenco di partitini comunisti “dalla giusta linea”, ma come lo strumento per un lavoro organico e strutturato, capace di unire su basi comuni ciò che oggi è diviso, non per la mera riproposizione nostalgica del passato ma per la costruzione di un futuro. Detto in parole povere: la ricostruzione di un’organizzazione di classe, e quindi di una soggettività politica comunista non può che essere il prodotto di un lungo (e per forza di cose complesso) lavoro di raccordo e di unificazione politica di tutte quelle soggettività ed individualità che, a partire dal rifiuto di ogni illusione riformista e di ogni scorciatoia elettoralista, ritengono ancora attuale il tema della trasformazione rivoluzionaria dell’esistente.
E’ chiaro che, se si parte da questi presupposti, il primo passo da compiere non è certo quello di far nascere ulteriori nicchie e oricelli, ma al contrario di dar vita a forme di coordinamento che favoriscano il dibattito, il confronto e il lavoro comune tra i compagni e tra le varie realtà, mantenendone inalterata l’autonomia nei rispettivi ambiti d’intervento ma con l’obiettivo di giungere a un’analisi, a una progettualità e soprattutto a un metodo di lavoro comune, avendo come oggetto del proprio agire la realtà di classe.
Al contrario, non chiedersi affatto quale organizzazione sia necessaria e rimuovere qualsiasi proposta di discussione in questi termini (o non prenderla in considerazione ritenendola superflua), riducendo tutto a spontaneismo e movimentismo, è una scelta che alla prova dei fatti si è rivelata suicida per innumerevoli esperienze di lotta autorganizzate, poiché nel concentrarsi unicamente sull’immediato e sul contingente non tiene conto di alcuna prospettiva a medio e lungo termine.
L’ampliamento a scala internazionale della produzione, la riduzione dei costi unitari dovuti al commercio estero, l’esistenza di un’enorme esercito di disoccupati, (soprattutto nei paesi di nuova espansione economica) i processi di delocalizzazione verso i paesi di nuova industrializzazione, l’aumento dei gradi di sfruttamento del lavoro, la colonizzazione di ogni ambito dell’esistenza del capitale (che privatizza anche i cosiddetti “beni comuni”): tutto questo pone all’ordine del giorno una seria discussione.
È quasi scontato sostenere che tutto il nostro dibattito rientra in una fase di crisi del capitalismo in cui si manifestano i suoi stessi limiti e le sue stesse contraddizioni sistemiche: il lavoro salariato, l’appropriazione indebita e privata della ricchezza prodotta, l’obiettivo della produzione orientato verso i profitti e non per il soddisfacimento dei bisogni essenziali e sociali.
Dinanzi a tutto questo non paghiamo solo un certo periodo, più o meno lungo, di “assenza” ma anche una difficoltà nell’utilizzare categorie che andrebbero riadeguate per interpretare le trasformazioni del capitale e di conseguenza per comprendere le nuove forme di organizzazione di cui la classe deve dotarsi per la trasformazione dello stato attuale di cose presenti.
DENTRO LA CRISI…
La crisi generale del sistema capitalistico, con i suoi effetti devastanti che colpiscono il mondo del lavoro e la vita di milioni di proletari, inizia a creare le prime forti faglie nel sistema.
Basta osservare lo sconvolgimento di tutti gli equilibri politici ed economici che le rivolte nel Mediterraneo hanno creato con tutte le differenze specifiche (Algeria, Egitto, Yemen, Bahrein, Tunisia, Siria e Libia). Tali eventi non sono isolati e distanti da noi, soprattutto quando in Europa si riaffaccia la fame e continuano a dilagare disoccupazione, licenziamenti, cassintegrazioni, tagli e controriforme, mentre tutto quello che restava dello stato sociale (istruzione, sanità, trasporti pubblici etc.) viene spazzato via.
Una crisi colpisce giovani studenti, pensionati, operai e disoccupati, migranti e precari, lavoratori del pubblico impiego, con la solita regola della socializzazione delle perdite e della privatizzazione dei profitti. Chi è colpito da questa crisi però è mosso da una massiccia propaganda padronale che crea ad arte conflitti interni alla classe, nell’intenzione di smembrarla, dividerla e frazionarla, seminando la cosiddetta guerra tra poveri. La borghesia, che procede con questo identico metodo in tutti i paesi d’Europa, cerca in tal modo di dividere la classe per evitare di affrontare la lotta comune di tutte le categorie (secondo la regola del “divide et impera”). Dinanzi a questo attacco di tali dimensioni vi è una classe frammentata ed indebolita rispetto la sua capacità di lotta. Due classi in conflitto, una delle quali non è organizzata.
Ne sono un esempio i limiti riscontrati dalle pur forti lotte degli ultimi mesi!
In questo autunno abbiamo assistito dall’Italia alla Grecia, passando per Francia e Inghilterra, a mobilitazioni (studentesche e non) che hanno dimostrato una determinazione e una radicalità che sembravano scomparse, denunciando le politiche di sfruttamento ed opponendosi all’attuale sistema di cose.
Dalle popolazioni in lotta per il diritto alla salute e contro la devastazione dei territori, passando per le mobilitazioni studentesche, arrivando ai focolai dei lavoratori contro licenziamenti e cassintegrazioni: la rabbia di chi in quest’anno si è mobilitato massicciamente ha purtroppo solo lievemente scalfito gli interessi e i piani padronali, lasciando parzialmente intatto il piano di ricrescita economica, se non in quegli stati dove il lavoro dei comunisti non si è indebolito negli anni precedenti, scatenando vere e proprie mobilitazioni di classe (in particolare in Grecia). Solo in questi casi dopo la ventata autunnale si è continuato a mantenere un livello di conflittualità e opposizione elevato.
…IN ITALIA
Il governo Berlusconi, in perfetta continuità con gli ultimi governi di centro-sinistra, non esita a reprimere i proletari che hanno intrapreso la via della lotta al capitale e ai suoi servi, dallo scoppio della crisi nel 2008.
In questo scenario, la finta opposizione istituzionale al governo Berlusconi, rappresentata dalle forze riformiste capeggiate dal PD, al quale cercano disperatamente di aggrapparsi quelle che si auto-celebrano come simbolo della sinistra, impropriamente detta “radicale” (Rifondazione Comunista e Sinistra Ecologia e Libertà), continua a illudere milioni di lavoratori e movimenti di lotta con la possibilità di una svolta riformista-istituzionale nella risoluzione ai problemi della classe.
In Italia, e non solo, le regole del lavoro schiavistico, senza diritti ne tutele, basate sul ricatto del licenziamento (partite dal Pacchetto Treu, voluto proprio dalle cosiddette sinistre, fino al piano Marchionne come teorema di ricatto lavorativo), negano i diritti sindacali conquistati in passato. Negazione dei diritti sindacali che, complice l’operato di Cgil-Cisl-Uil, era toccata finora ai sindacati di base e alle semplice forme autorganizzate,ma che ora si è abbattuta anche sulla Fiom, la quale per un breve periodo sembrava volesse abbandonare la strada della concertazione e del compromesso alle spalle dei lavoratori, ma le ultime vicende dell’Ex Bertone dimostrano tutt’altro.
Distruggendo la sistematica contrattuale precedente e non aderendo al sistema proposto da Confindustria, ci si libera di ogni forma di contratto nazionale e si ripropone la vecchia idea dell’imprenditore che, pur di gestire a modo suo i rapporti con i suoi servi operai, vuole spazzare via qualsiasi cosa possa frenare i suoi obiettivi di profitto, in questo caso particolare l’identità di classe, che è stata grande forza dei lavoratori in tutte le conquiste del movimento operaio.
I sindacati(quelli concertativi) non sono più organizzazioni dei lavoratori in difesa dei loro diritti politici, economici ed umani, ma cani da guardia dei padroni. Sfruttamento e repressione, soppressione dei diritti e ricatti sono da sempre gli strumenti che padroni e dirigenti applicano contro gli operai da oltre un secolo, con una perfetta continuità con i padroni del nuovo millennio.
DA RIVOLTA A LOTTA DI CLASSE
Nonostante le numerose mobilitazioni, anche estremamente determinate, che hanno caratterizzato questo autunno caldo, la rabbia di classe diffusa non ha saputo ancora esprimersi come tale: innanzitutto per la permanenza di una parte di rottami politicisti che seminano ancora l’illusione che qualche tornata elettorale o cambio di governo possano restituire qualche briciolo di “diritti”; in “secondo luogo” per la continua frammentazione del fronte di classe, che non consente l’immediato collegamento dei vari fronti di lotta, da quello territoriale a quello studentesco, da quello lavorativo a quello ambientale.
Ne è un esempio la giornata della “fiducia” del 14 Dicembre a Roma, conclusione della mobilitazione studentesca contro la distruzione della scuola pubblica, che ha visto sfilare più di 100.000 persone tra studenti, precari, operai, disoccupati e migranti, e che ha dimostrato un’incredibile rabbia che è riuscita a rompere ogni argine di contenimento esterno o interno alla piazza. Una rivolta che molti hanno definito generazionale per il reale peso dei giovani studenti medi e universitari, ma dimostratasi la rivolta e il tumulto di tutti coloro che vedono distrutta ogni possibilità ed ogni speranza di un futuro stabile. Ma nonostante la sua potenziale importanza è stato difficile parlare di una svolta, proprio per l’assenza di una continuità di collegamento tra le varie parti della classe. Se il 14 Dicembre ha dimostrato una conflittualità e una rabbia grazie alla confluenza di tutti i soggetti in lotta nelle strade romane, non si è riusciti a conquistare dei veri avanzamenti per l’assenza di una soggettività che potesse portare avanti rivendicazioni globali.
Da qui è evidente che nonostante la generosità di tanti compagni, organizzazioni sindacali di base e sigle politiche che si definiscono anticapitalistiche, esiste esclusivamente un proliferare di scadenze prive di coordinazione, dove predominano spontaneismi e tatticismi. Lotte e vertenze, purtroppo sono ancora lontane da un reale coordinamento, a causa della mancanza proprio di una soggettività politica che lavori alla reale unificazione delle lotte.
L’attuale situazione impone la ricerca di un percorso comune, con ovviamente alcune discriminanti: l’opposizione ai piani del padronato internazionale, europeo e italiano di qualsiasi colore politico esso sia e l’autonomia reale di classe.
Decenni di concertazione, disgregazione sociale, frammentazione della classe, veleni razzisti-leghisti, schiavi e servi o sciocchi teorici della fine della lotta di classe, l’esperienza dei partitini sedicenti comunisti, non hanno eliminato la consapevolezza della contraddizione tra gli interessi dei lavoratori ed i progetti padronali: la “produttività” e la ricerca del profitto. È la mancanza del senso di appartenenza alla stessa condizione di sfruttamento da parte del proletariato, parallelamente allo stato di estrema frammentazione delle cosiddette avanguardie, la non omogeneità delle lotte, affiancati ai continui attacchi repressivi padronali e l’oggettiva inutilità di portare avanti unicamente ed esclusivamente singole vertenze, che rende necessario ricostruire una discussione comune.
Ed è proprio evidente come la mancanza di un punto di vista organizzato, autonomo e di classe abbia portato un enorme disorientamento nella classe stessa, che si illude di poter migliorare le proprie condizioni sociali affidandosi alla magistratura e alla militarizzazione permanente dei territori. Tutti mezzi con i quali la classe non ha mai avuto niente a che fare, identificandoli, giustamente, come apparati collaterali dello stato.
L’illusione data dai vari Grillo, Saviano e dal giustizialismo stile Travaglio, si somma alla convinzione di quella galassia di partiti sedicenti comunisti della non necessità di una svolta rivoluzionaria.
ELEZIONI 2011, COSA (NON) STA CAMBIANDO
Nonostante sia vero che le varie fasi della lotta di classe ci insegnano ad essere dialettici, abbiamo riscontrato difficoltà nell’esprimerci nell’ultima tornata elettorale chiedendo di votare il “meno peggio”. Come inutili sono stati i dibattiti, che poi si allestiscono sempre qualche mese prima delle elezioni, di possibili liste unitarie per strappare qualche posto che dovrebbe dare voce ai “movimenti”, raggiungendo poi percentuali da prefisso telefonico.
L’ultima tornata elettorale evidenzia sicuramente una sconfitta del berlusconismo, ma di certo nessun avanzamento di classe. Le vittorie di De Magistris, appoggiato a Napoli da Antonio D’Amato, il più berlusconiano degli ex presidenti di Confindustria, e di Pisapia, appoggiato a Milano da Cesare Romiti, l’indimenticato killer della classe operaia Fiat (23.000 licenziati nel solo fine 1980), possono al massimo rappresentare un nuovo vento che sconfigge il berlusconismo, ma che di certo non rappresenta una nuove visione del mondo o modelli di società diversi e contrapposti a quello attuale. Non è un caso infatti che l’astensionismo, che non è affatto indifferenza dalla politica, è aumentato anche in questa tornata (sfiorando il 50%), perché la gran parte di lavoratori, studenti e disoccupati sente l’enorme distacco che c’è tra questa politica e i loro interessi reali(salario, posto di lavoro, possibilità di studio o di reddito, abitazione mancante, futuro assente). Insomma per chi è colpito dai veri problemi sociali, questo vento di cambiamento porta con sé una forte puzza di riformismo.
CHE FARE NELL’AREA FLEGREA
Eppure non si scappa perché se la classe è nel suo insieme internazionale e internazionalista, come da marxisti abbiamo sempre affermato, noi dobbiamo fare i conti con la sezione di classe con cui siamo chiamati a misurarci quotidianamente.
Infatti questo documento, discusso nel tentativo di organizzare dei compagni in “diaspora”, nasce in un quartiere che offre molti elementi da dove poter ripartire e dire la propria. È evidente quindi che il nostro obiettivo non è quello di fare un circolo-bar di discussione e teorizzazioni senza avere un rapporto con il quartiere e con i proletari del territorio.
La zona flegrea e Bagnoli in particolare, ha attraversato una trasformazione politica e del tessuto sociale che ha inciso radicalmente sulle condizioni di vita e di lavoro dei settori popolari. Cambiamento che ha rappresentato la cancellazione dell’esperienza caratterizzata dal protagonismo e dalla partecipazione politica della classe operaia del comparto industriale.
Sembra essere trascorso molto tempo da quando circa 10.000 famiglie flegree avevano un reddito ed una occupazione stabile garantite dagli stabilimenti industriali. Dopo venti anni si contrappone una situazione a dir poco desolante. Un quartiere che è diventato un deserto postindustriale fatto di degrado, disoccupazione, precarietà.
Dopo le dismissioni della fabbrica tutte le amministrazioni e i politicanti di turno hanno sbandierato la Bagnoli del Futuro, che doveva prevedere riqualificazione, lavoro, servizi sociali e case popolari. Dai 15.000 posti di lavoro alla bonifica dei suoli dell’ex complesso Italsider-Eternit-Cementir, nulla di tutto quello che è stato promesso si è realizzato. Suoli non ancora bonificati e neanche un solo metro restituito al quartiere.
Il rilancio ambientale, economico ed occupazionale non c’è stato ed è evidente come questo territorio rappresenti in generale il fallimento dello sviluppo capitalistico, all’interno del quale è presente l’azione della sinistra istituzionale, la cui internità in questi progetti è stata dimostrata in pieno anche in Campania, dove i governi di centro-sinistra hanno aperto le porte ai vari poteri forti per la costruzione dei più sgangherati comitati d’affare, come dimostra l’evidente esempio nella vicenda rifiuti. È quindi anche evidente la responsabilità della Regione Campania e del Comune di Napoli, (Bassolino-Iervolino) che ha stravolto insieme alle destre i piani urbanistici in vista di importanti profitti e a favore degli interessi delle solite lobbies legate al clientelismo politico: così come è evidente la responsabilità della Bagnoli Futura Spa, la Società di Trasformazione Urbana che ha ricevuto quasi un miliardo di euro per la bonifica e la riqualificazione dei suoli di Bagnoli, completando esclusivamente opere di dubbia utilità come la “Beauty Farm”, non dando ai cittadini della zona alcuno sbocco occupazionale presente o futuro.
Dopo questi disastri e dopo campagne elettorali basate su false promesse di rilancio e sviluppo ora ci ritroviamo vicini ad una ennesima palla: dopo l’immenso progetto del Porto-Canale, la buffonata della Coppa America di Vela e la bufala del casinò, è il tempo del Forum delle Culture 2013, l’evento internazionale che garantirebbe a Bagnoli Futura e agli imprenditori flegrei, quei fondi che negli anni sono serviti solo per le speculazioni di quei piccoli gruppi di borghesia locale, che ha dichiaratamente derubato tutti i proletari dell’area flegrea.
Dalla presentazione della variante urbanistica per la zona occidentale (1994), sono oramai passati più di 15 anni e non si vede assolutamente quella “formazione di un unico, vasto territorio a bassa densità, dove attività produttive legate alla ricerca si integrano con molteplici possibilità di ricreazione, svago, cultura…” (come dichiarato allora).
Solo i quartieri di Coroglio, Bagnoli, Agnano, Cavalleggeri, Fuorigrotta e la Loggetta equivalgono ad una popolazione di oltre 100.000 abitanti. Non solo per questo sosteniamo che “Bagnoli” è la più grande area di riconversione urbanistica d’Europa e la sua rilevanza è di certo nazionale.
Alla luce di tutto ciò e della composizione sociale che a Bagnoli persiste nonostante le fabbriche siano chiuse da alcuni decenni, un serio percorso politico dovrebbe, come il collettivo Iskra ha iniziato a fare, prevedere sicuramente queste parole d’ordine: Casa, Lavoro e Servizi sociali.
Partendo dalla speculazione che caratterizza il mercato edilizio flegreo, causa di un’enorme emigrazione delle famiglie storiche proletarie del quartiere, andrebbe contrapposto un vero progetto di edilizia economica popolare, che denunci il piano attuale che prevede numeri insufficienti per gli alloggi popolari e che blocchi immediatamente tutti gli sfratti, fino ad arrivare alla fruizione pubblica delle spiagge di Coroglio, Bagnoli e Dazio.
Partendo dalla stessa legge 582/96 è d’obbligo la rimozione della colmata a mare – la bonifica totale dei fondali limitrofi-la realizzazione del parco pubblico verde e la costruzione di case pubbliche popolari, ma soprattutto nuove opportunità di lavoro qualificato e ampi sbocchi occupazionale per i figli degli operai delle vecchie fabbriche, che tutt’ora corrispondono alla gran parte del tessuto sociale flegreo. Il progetto Co.Ma.Ba., con tutte le concessioni vigenti, va bloccato per ridare al litorale la sua vera vocazione, contro tutti i disegni di progettistica portuale.
Sulla base di queste brevi considerazioni, pensiamo che nella zona flegrea ci siano tutte le condizioni per rompere la gabbia della rassegnazione e dell’induvidualismo e riprendere quel percorso di lotta e di protagonismo sociale che si è interrotto con la chiusura dell’Italsider.
In quest’ottica, uno degli obiettivi prioritari che come compagni e proletari flegrei ci proponiamo è senza dubbio la chiusura del gigantesco ed inutile carrozzone clientelare chiamato “BAGNOLIFUTURA SPA”. Si tratta di un obiettivo prioritario in quanto precondizione di ogni ipotesi di riappropriazione del nostro quartiere: fin quando un’area immensa continuerà ad essere appannaggio di un manipolo di parassiti che hanno come unico fine quello si speculare sui suoli e servire gli interessi del profitto. Un obiettivo che per divenire praticabile richiede l’organizzazione di una grande campagna di denuncia e di una seria mobilitazione di massa.
Restituire quindi al quartiere, e non solo, il mare e la spiaggia tramite la libera fruizione di quest’ultime, ma anche tutte le aree che strutture militari occupano totalmente facendoci sottolineare la necessità della smilitarizzazione dei nostri territori (dalla base Nato a quella navale a Nisida), parallelamente alla riabilitazione e reindirizzo per uso sociale degli edifici sfitti o inutilizzati: dall’ex Aula Bunker di Cavalleggeri d’Aosta, passando per l’ex Centro sociale di via Quaranta (Loggetta) o gli stabili dell’area ex Anm di via Cumana, arrivando fino a Villa Medusa, palazzoni di vetro a Via Diocleziano e tutti quei cantieri infiniti della zona.
Inoltre, come in tutta la città, l’emergenza rifiuti non ha risparmiato l’area flegrea (nonostante Bagnoli abbia già avviato la raccolta differenziata senza siti di compostaggio) ed è necessario promuovere ed estendere la raccolta differenziata porta a porta dei rifiuti urbani per tutta l’area e tutta la città con l’installazione degli impianti di compostaggio per la frazione dei rifiuti umidi.
Queste e molte altre contraddizioni e questioni ci impongono di avviare questo percorso, nella speranza che riesca ad essere di riferimento per il territorio, e sia complementare con il tentativo di avviare una discussione trasversale e includente che ponga al centro il tema dell’organizzazione.
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